Capitolo 21

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DANTE

Sillabai in silenzio l'ultima frase della poesia, rammentandola in lingua originale.

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“...Le gambe pigre. Le ginocchia. Le spalle.
La chioma di ali nere che volano attorno.
I ragni scuri del pube in riposo.”

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Ad un tratto udì la voce di colei che stavo aspettando: «Любимый!*» mormorò Raissa, divertita dalla mia concentrazione, fingendo d'essere una sconosciuta appena incrociata per strada e sculettandomi davanti. La coda di cavallo in cima al capo, ondeggiava al vento ad ogni oscillazione di fianchi.

Ricambiai il sorriso, ponendo da parte il libro sottile: «Hola, señorita. ¿Como estas?» la stuzzicai, rivolgendole uno sguardo altrettanto soddisfatto.

«Hola, señor. Muy bien.» ricambiò il sorriso. L'accento russo marcava le consonanti, stonando l'armonia della frase castigliana. Raissa Novich, di origine est europea, era una visione torrida coi suoi leggings attillati e il top sportivo, a tinta unita; forse un po' troppo magra per i miei gusti, ma sapevo accontentarmi. Le accarezzai il girovita stretto e scivolai i palmi aperti delle mani lungo il suo fondoschiena, strizzando i glutei rotondi. Lei al contrario appoggiò i suoi sul mio torace e infine unì le labbra alle mie, salutandomi con un bacio appassionato.

«Quanta dolcezza oggi. Vorresti chiedermi qualcosa in cambio, forse?» domandai compiaciuto. La conoscevo abbastanza bene da sapere che nessun suo gesto era del tutto spontaneo e disinteressato.

«Non saprei. Dì tu a me...» iniziò, continuando a baciarmi il viso: «Ho saputo da Eva che sei affascinato da una nuova persona. Lei chi sarebbe?» chiese con nonchalance fra uno schiocco e l'altro.

C'era qualcosa di strano...

«Si chiama Edith... ma da quanto tu e la bionda chiacchierate così docilmente? Credevo che non voleste alcun tipo di coinvolgimento voi due.». Tra Eva e Isa, non scorreva buon sangue; entrambe non condividevano a pieno la mia filosofia di vita, ma l'avevano accettata, provando a conviverci.

«Diciamo che ci siamo alleate per il bene comune.» spiegò evasiva la mia interlocutrice, prima di staccarsi da me ed invitarmi all'interno del palazzo sportivo.

Mi voltai a guardarla: «Alleate in cosa?» inarcai un sopracciglio, frastornato.

«Lo scoprirai presto.». mi sorrise diabolica; le si dipinse una smorfia da elfetto dei boschi, ma non volli approfondire la questione. Ero già in ritardo per la tabella di allenamento in palestra e non avevo tempo da perdere.

***

La sera arrivò presto, piombando dal cielo e cessando la luce del sole; le giornate si allungavano per l'arrivo imminente dell'estate, ma nessun bagliore era eterno. Prima che Raissa potesse raggiungermi e trascinarmi in qualche suo nuovo gioco luciferino, provai a chiamare il numero telefonico della mia niña, per organizzare qualcosa di nuovo con lei, ma questi squillò a vuoto per due minuti interminabili.

Que extraño.

Che strano.

Osservai il display, confuso. Era da ieri sera che non avevo sue notizie, ma sapevo bene che aveva la giornata disponibile. Quindi perché accidenti non rispondeva?!

Non mi piaceva essere ignorato... o forse...

Rabbrividii e corrugai le sopracciglia scure, passandomi una mano sul volto, stropicciandomi la faccia, nervoso. Avevo una brutta sensazione...

***
EDITH

E adesso che cosa avrei dovuto fare?

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E adesso che cosa avrei dovuto fare?

Dante provò a contattarmi quattro volte, inviandomi un paio di messaggi che non visualizzai per il resto della giornata, lasciandola scorrere via e senza concludere niente. Piansi tutta la notte, dissetandomi con le mie stesse lacrime e trascinandomi in giro per casa come uno zombie evaso dalla propria tomba. Presi la dolorosa decisione di troncare ogni rapporto con lui, svanendo dalla sua vita com'ero arrivata, all'improvviso. Presto, se ne sarebbe fatto una ragione e avrebbe incontrato qualcun altro con cui dilettarsi... si sarebbe dimenticato di me e nessuna complicazione in vista.

Fissai il vuoto e sospirai sonoramente mentre il malore al petto non mi dava tregua. Accesosi il giorno prima, durante il pomeriggio, continuava a bruciarmi il cuore, imperterrito...

Il poliamore decisamente non faceva al caso mio. Per quanto avrei potuto continuare a prendermi in giro?

Seduta sulla solitaria panchina del giardino della scuola, provavo inutilmente ad acquietare la mia tristezza, ripensando agli avvenimenti accaduti ieri. Eva mi aveva condotto a casa senza aggiungere nient'altro alla deprimente scenetta romantica dei due piccioni, love-love - forse perché anche lei doveva starci male -, e offrendomi qualche fazzoletto come contentino.

Che stupida sono stata.

Una lacrima solitaria mi solcò il viso nella quiete del tardo mattino, testimone silente delle mie aspettative infrante, ma non ebbi il tempo nemmeno di tirare su col naso che improvvisamente, lo stridio di ruote sull'asfalto, mi provocò un sussulto.

Ad un tratto, una macchina bianco perla - che conoscevo bene -, svoltò l'angolo a tutta velocità, frenando bruscamente ad un palmo dal cancello che limitava il prato dell'edificio scolastico.

Ma cosa...?!

Sgranai gli occhi, pressoché stupefatta e impietrita. Dante, uscì fuori dalla vettura, indemoniato e abbigliato con un abito elegante: «Tu, piccola maledetta maestrina!» urlò, fuori di sé. La sua espressione era un connubio di rabbia e preoccupazione: «Perché diavolo non rispondi al cellulare, accidenti a te?!»

Non poteva essere.

*Любимый: Amore in russo (rivolto ad un uomo).

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