Capitolo 32

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DANTE

Forse l'unica cosa che ti rendeva reale agli occhi degli altri era l'infelicità

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Forse l'unica cosa che ti rendeva reale agli occhi degli altri era l'infelicità. La sfumatura malinconica che appannava lo sguardo in una miriade di luccichii variopinti. Ed era per questo che indossavo gli occhiali da sole quando volevo nascondermi alle occhiate curiose degli altri; nessuno avrebbe notato la sensazione sgradevole del disagio che traspariva dal fondo delle pupille. E le profonde occhiaie che contornavano lo sguardo. A volte mi sentivo un cadavere ambulante e il sesso diventava l'unica cura in grado di rianimarmi... Almeno per un poco.

Fabian era fantastico quando si trattava di fisicità e coito, ma non amavo il fatto che si insediasse nella mia psiche...

Erano le dieci di mattina ed Eva s'era prodigata ad accompagnarmi all'aeroporto di Milano con la sua macchina sportiva. «Hai preso tutto? Sicuro di non aver dimenticato nulla?» chiese civettuola e con fare scherzoso, ma io non ero in vena di stare ai suoi giochi. Adesso lei sarebbe stata ai miei. Le rifilai un'occhiata di dissenso, l'ennesima della mattina.

«Si può sapere cos'hai? L'altro ieri stavi per avere una crisi e oggi...» incominciò a lagnarsi. Insopportabile.

«Hai parlato con Edith?» troncai le sue lamentele sul nascere. Usai un tono tagliente, dimostrandole tutto il mio diniego.

A quel punto la vidi impallidire, rigida, seduta al posto del guidatore, al mio fianco: «Come?».

Il traffico a Malpensa era un via vai continuo di auto e motori in decollo.
I rumori sconfusionati erano un sottofondo fastidioso che permeava la conversazione: «Ti ho fatto una domanda. Le hai parlato, vero?». Faceva ancora fresco per essere fine marzo e le mie parole vennero trasportate lontano, divorate dal vento.

«Edith, sempre Edith. Non avevi chiuso i rapporti con lei?» domandò piccata, ignorando l'incognita rivoltale e parcheggiando in divieto di sosta.

«Sì, infatti. Ma adesso devo capire se chiuderli anche con te.» specificai.

Il mio volo per l'Austria era segnato per mezzogiorno, ma con la scusa della registrazione al check-in, eravamo in largo anticipo sul tempo. Un'ottima scusante per parlare.

«Cosa?! Perché?» sbottò, allarmata. I capelli biondi parvero arricciarsi ad ogni scatto della testa.

«Perché stai diventando troppo gelosa... e ossessiva. Ultimamente le tue attenzioni mi soffocano, e sbaglio, o ci eravamo promessi che ci saremmo detti tutto?» incrociai le braccia al torace, affrontandola a muso duro. Ci frequentavamo da anni, ma eravamo poco meno che conoscenti.

«Non è colpa mia se le tue azioni sono ambigue. Avevi giurato anche che non mi avresti trascurata malgrado il tuo lavoro e le tue relazioni. In questo mese, da quando hai conosciuto la maestrina del cazzo, ci saremmo incontrati sì e no quattro volte. Eri sempre con lei!» sottolineò, scaricando a me la colpa.

Rimasi in silenzio. Colpito e affondato. Mi passai la lingua sui denti bianchi prima di risponderle: «Solo io posso chiamarla “maestrina del cazzo”.».

«Lo vedi?! Lo vedi?! Non sono io quella ossessionata. Sei tu!» accusò ancora.

«Forse dovresti vedere altre persone e prenderti una pausa da me.» le rivelai infine.

Fu Eva a tacersi, immobile. Solo dopo diversi istanti, balbettò qualcosa di sensato: «Dante, mi... mi stai lasciando?». Intravidi i suoi occhi inumidirsi, ma non versò lacrime. Sapeva che non le tolleravo.

«No, ma ho bisogno di riflettere anch'io e ritrovare un equilibrio mentale. Tu dovresti fare altrettanto.» chiarii in seguito.

«Potrei ritrovarlo con qualcun altro.» mi avvisò, tastando la mia gelosia. Io però non la provavo... Non nei suoi confronti.

«Ti augurerei solo il meglio, Eva. È solo per puro egoismo che ti voglio con me, alle mie condizioni. Devi ragionare su questo. Sei ancora disposta a stare sotto i miei capricci?» le chiesi ancora. «Edith non lo era ed io ho preferito troncare sul nascere la nostra conoscenza. Lei voleva una fiaba confezionata su misura, ma una relazione non è una storia fiabesca a lieto fine.» dissi più a me stesso che alla mia interlocutrice.

«E allora perché ci stai rimuginando?» il tono divenne dolce e grondante di tristezza.

Sorrisi appena, senza guardarla: «Perché in fondo ci godevo nell'essere idealizzato, guardato come se fossi stato l'eroe di quella storia fiabesca. Pura fantasia.».

«Anche tu stai cercando la tua principessa da salvare, dunque...» mi psicoanalizzò, pensierosa. Forse un po' rammaricata.

Non volevo che fosse triste. «O principe.» scherzai per poi scoppiare a ridere assieme a lei. Una di quelle risate condivise. Essere amato aveva dei vantaggi. Amare, solo svantaggi.

«Fatti sentire...» mi ammonì mentre aprivo la portineria a lato del passeggero.

«E tu non innamorarti di qualcun altro che non sia io.» la presi affettuosamente in giro.

«Non ti prometterò nulla di ciò.» mi confidò, stando al gioco e azionando l'accensione della macchina. Recuperai il piccolo trolley da viaggio e la giacca dal bagagliaio. La salutai con un cenno del capo e in cuor mio sperai davvero che trovasse qualcuno che la meritasse... ma non auguravo la stessa cosa a Edith. Forse Eva aveva ragione su questo. Forse ero ossessionato da lei...

Qué malo. Chuca.

*Angolino dell'Autrice*

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*Angolino dell'Autrice*

Scusate l'assenza di immagini, ma dove sono adesso non prende molto :/

Capitolo "tranquillo" direi... Chissà il prossimo... x)

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