Capitolo 35

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Alla fine io e Dylan ci siamo ignorati a vicenda per i successivi 10 giorni. Io trovando la scusa di essere troppo impegnata nel recupero di James, anche se effettivamente c'è una parte di verità. Lui non lo so, ma sicuramente non si è sforzato chissà quanto ad avere un confronto con me, e diciamo che la cosa non mi dispiace così tanto. In fondo mi serve stargli un po' alla larga e tenermi impegnata con il lavoro così da non doverlo pensare in maniera così assidua come invece mi ritrovo a fare nel corso della giornata.

Ci siamo urlati tante cose, io soprattutto ho dato il peggio di me. Lui deve decisamente metabolizzare un po' di cose, a partire dal fatto che si è confidato con me

Kimberly ha dimesso James quasi subito, permettendomi cosi di avviare subito il recupero.

Non è molto facile, è molto scosso e ancora oggi si scusa con me implorando un perdono che non devo concedergli, poiché non c'è assolutamente nulla da perdonargli. È giovane, si è affidato a quello che vede come un punto di riferimento per lui, e non posso fargliene una colpa.

I suoi incubi sono frequenti, si sveglia spesso nel cuore della notte tutto sudato e ansimante, ma abbiamo avviato un percorso di accettazione.

Gli serve metabolizzare la situazione e capire intanto che lui non avrebbe potuto in alcun modo evitare che succedesse l'inevitabile.

Continua a ripetere che avrebbe potuto salvarli, ma la verità è che non puoi prevedere il futuro. La realtà della questione è che l'inevitabile non si può evitare. Non si scappa dal destino, a prescindere da quanto le conseguenze possano essere dolorose.

Ha iniziato a reagire alle sedute. Quando ha saputo di essere stato sospeso ho visto lo sguardo afflitto del ragazzo, ma poi ha sollevato il capo e ha accettato le conseguenze promettendo di impegnarsi a fondo per rimettersi e tornare ad indossare la divisa. Ed è ciò che mi premurerò affinché accada.

Questi sono le reazioni che mi piacciono e che mi fanno amare ciò che faccio. Vedere la caparbietà e la volontà dei miei pazienti nel riuscire finalmente ad uscire dall'oscurità.

Oggi ho deciso di fare una cosa. Il silenzio è benefico per la mia mente, ma le situazioni lasciate a metà non mi appartengono, perciò, con il fiato corto e le mani sudate busso due volte in modo deciso alla porta dell'ufficio di Dylan.

In questi 10 giorni ha passato molto tempo chiuso dentro il suo ufficio. Non è uscito quasi mai se non per la pausa pranzo.

Il rifiuto di vedermi è palpabile anche a chilometri di distanza. Andrew me lo ha lasciato intendere nei giorni precedenti quando veniva a casa per stare con Emily o poter portarla fuori.

Non mi giudica e lo so, si è affezionato a me quanto io mi sono affezionata a lui, ma è anche vero che Dylan rimane pur sempre suo cugino e non ci sarà mai nulla di più importante della famiglia.

"Avanti" la sua voce mi investe come una boccata d'aria fresca dopo giorni di apnea nonostante mi giunga ovattata e filtrata dalla porta in legno spesso che ci divide.

Prendo un respiro profondo per poi abbassare la maniglia e aprire la porta.

Sussulto quando i miei occhi si posano sulla donna dal caschetto biondo sbarazzino seduta di fronte a lui, fasciata da un abitino nero con i bordi di pizzo

Ma un medico non indossa una divisa ed un diavolo di camice? Perché lei deve sempre essere vestita di tutto punto?

Storco il naso nel vederla mentre lei si volta incuriosita.

Dylan mi fissa con gli occhi socchiusi quasi facesse fatica a guardarmi per troppo tempo.

Mi schiarisco la gola a disagio non sapendo come attirare l'attenzione del maggiore senza destare sospetti alla pettegola seduta tra me e il maggiore.

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