Capitolo 44

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Avevo passato la maggior parte della mia vita in saloni spaziosi ed eleganti, con grandi candelabri di cristallo sul soffitto e buffet pieni che finivano per essere sprecati e buttati, paragonabili ad uno schiaffo alla povertà e alle mancanze altrui.

Ero sempre stata circondata da persone altolocate ed in divisa che mi guardavano curiosi e orgogliosi mentre ero avvolta nei miei abiti lussuosi scelti accuratamente da mia madre, abiti usati una sola volta perché mio padre odiava riciclare...sosteneva fosse segno di debolezza e di mancanza di possibilità economiche

Ricordo ancora una delle ultime serate a cui avevo presenziato: frequentavo ancora il liceo e il rapporto con mio padre era già ai ferri corti. Era un periodo in cui in realtà ce l'avevo anche con mia madre perché nonostante fossimo state entrambe tradite e ferite dall'uomo che avrebbe dovuto starci accanto tutta la vita, lei insisteva affinché presenziassi ed accompagnassi il generale Davis a queste serate e io li odiavo entrambi per questo. Ero quindi decisamente arrabbiata col mondo, e si trattava di molto più che una semplice crisi adolescenziale.

Quella sera avevo stretto i denti e morso la lingua più volte mentre gli invitati continuavano a guardarmi come se fossi un'attrazione da circo e insistevano nel dire che fossi uguale a mio padre. Ero così arrabbiata all'idea di apparire come mio padre ed essere anche solo lontanamente accostata alla sua immagine, che alla fine avevo dato libero sfogo ai miei sentimenti e ai miei pensieri senza alcun freno. Avevo messo in imbarazzo mio padre, lo avevo insultato e avevo insultato gli ennesimi poveri mal capitati che avevano osato paragonarmi a quello che io definivo un mostro, ed ero semplicemente fuggita via senza guardarmi indietro. Che poi a pensarci ancora oggi, di poveri e mal capitati avevano ben poco. Se l'erano cercata, perché dovevano farsi gli affari loro

Papà non mi aveva parlato per i successivi sei mesi e devo dire che la cosa mi era anche andata bene perché non avevo alcuna intenzione di forzare un rapporto già distrutto e calpestato ripetutamente da entrambe le parti.

Eppure ora eccomi qua, all'ennesimo gala gremito di ricconi e finti generosi che pensano di ripulirsi la coscienza donando nemmeno un quarto effettivo del proprio patrimonio miliardario.

Peccato che questo gala non sia di mio padre, ma bensì dei genitori dell'uomo che amo e sono persone che non ho mai conosciuto e con cui non posso lasciare che sia la bocca a parlare per me. Soprattutto perché non vado più al liceo e non sono decisamente più giustificabile con una crisi adolescenziale.

Mi accorgo di aver smesso di respirare per qualche secondo, quando sento la mano calda e grande di Dylan avvolgermi il fianco e appiccicarmi a sé.

La verità è che non ho paura del giudizio altrui, perché ormai ho imparato che non ne vale la pena. La mia ansia è dovuta all'uomo al mio fianco che è riuscito inconsciamente a trasmettermi tale sentimento nei giorni successivi alla sua richiesta di partecipazione a questa ennesima immensa falsità in cui nuotiamo entrambi da quando abbiamo memoria.

Odiamo entrambi queste cose, eppure ci ritroviamo sempre in mezzo a queste situazioni.

Siamo tesi, ma siamo qui insieme. Io sono qui perché per una volta non sono io a dover dimostrare qualcosa a qualcuno ma per sostenere la versione di me più profonda e così diversa da essere dannatamente simile.

Mi volto appena oltre le nostre spalle riprendendo a respirare quando incontro gli occhi dolci e attenti della mia migliore amica che sono già pronti a farmi naufragare nel suo sguardo accogliente, nelle sue acque calme e cullanti.

È la mia àncora e sempre lo sarà, indipendentemente dagli uomini che avremo.

Sposto appena lo sguardo per incontrare i profondi lapislazzuli di Andrew intenti invece ad analizzare la stanza con estrema tranquillità.

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