14 - La rosa della poesia

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Thalia

Gli ultimi raggi di un sole al tramonto andarono a colpire i tetti delle case di Manhattan, arrivando a sfiorare anche i grattacieli più alti. Il vento freddo dell'autunno colpì in pieno le chiome degli alberi che fiancheggiavano i marciapiedi sulla Amsterdam Ave, portando numerose foglie, ormai secche, a lasciar andare la vita a cui tanto erano aggrappate, finendo per raggiungere miseramente il suolo.

Ero in piedi sotto l'insegna del Jake's Dilemma, aspettavo in fila che arrivasse il mio turno per entrare nel locale. Quella sera si sarebbe tenuta una lettura di poesie, un evento che aspettavo arrivasse da giorni.

Intanto, nell'attesa, osservavo le fronde degli alberi che, una foglia per volta, scivolavano a terra e si mischiavano fino a creare dei disegni rossicci e gialli fra i ciottoli dei marciapiedi.

Pensai alla vita di un essere umano, tanto fragile da poter essere paragonata a una foglia autunnale che, priva di un'anima, cadeva a terra senza speranza e con l'inevitabile destino di divenire cenere.

Avevo perso tante persone, sofferto il dolore della morte e pianto ai piedi di una lapide come fossi una foglia d'autunno, secca, privata di una parte del mio cuore, che sarebbe sempre rimasta ancorata a quella tomba.

«Signorina?» a richiamare la mia attenzione fu un uomo sulla soglia. In mano stringeva una cartellina e una penna. «Ha prenotato per questa sera?»

«Non sapevo si dovesse prenotare...» presi a mordicchiarmi il labbro inferiore nervosamente. «Avete ancora dei tavoli liberi?»

Quell'uomo diede un'occhiata ai fogli della sua cartellina, poi scosse il capo dispiaciuto. «Mi dispiace signorina, oggi siamo al completo per via dell'evento.»

«Jake, la ragazza è con me.» una voce roca, profonda ma al tempo stesso dolce, si intromise nella mia conversazione con il maitre del locale.

«D'accordo Henry, allora vi accompagno al tavolo.»

Mi voltai, le labbra schiuse per la sorpresa. Davanti a me c'era lo stesso ragazzo che diversi giorni prima mi era piombato addosso, facendomi cadere la scatola di macaron per terra.

«Cerchi ancora di farti perdonare per i miei macaron, finiti sotto le ruote di una macchina?» sorrisi.

Henry, così compresi si chiamasse, mi osservava. Potevo scorgere i suoi occhi color miele spostarsi su ogni dettaglio del mio viso, ma non mi rispose, quasi stesse pensando ad altro.

«Stavolta sei tu che non mi stai ascoltando, Henry.» commentai con le braccia incrociate al petto.

«No, hai ragione. Stavo pensando a quanto fossi bella e non ho sentito una sola parola.» con dolcezza mi posò una mano dietro la schiena e insieme seguimmo il maitre, che ci accompagnò fino al nostro tavolo.

Quel locale dalle luci soffuse creava un'atmosfera quasi magica, solo dei faretti, sparsi qua e là, illuminavano la sala. Alla sinistra del bancone a specchio vi era un piccolo palchetto, su di esso posavano una sedia e un microfono. Sicuramente la lettura di poesie sarebbe cominciata a breve.

A quanto avevo capito, quel tipo di serate erano un classico a Manhattan e il Jake's Dilemma non era l'unico locale a ospitarle.

Prima che potessi sedermi, Henry mi spostò la sedia come un vero gentiluomo. Lo ringraziai imbarazzata, nessuno aveva mai compiuto un gesto tanto galante per me.

«Cosa vi porto, signori?» un cameriere si avvicinò al nostro tavolo, tra le mani stringeva un taccuino e una penna.

Henry sorrise e appoggiò i gomiti sul tavolo. «Per me un calice di rosso, anche il vino della casa va bene. Per te, angioletto?»

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora