23 - Inferno terreno e paradiso dannato

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Thalia

«Drake sto andando al lavoro, non aspettarmi sveglio.»

Uscii della mia camera e raggiunsi mio fratello in salotto, intento a guardare una serie tv su Netflix con in mano un calice di vino rosso.

Mi ero infilata il giubbotto soltanto in un braccio ed ero piuttosto indaffarata a gettare alla rinfusa dentro lo zaino delle scarpe con il tacco, una spazzola e la maschera che indossavo sotto i riflettori, di pizzo e perline.

Non ero mai arrivata tardi a lavoro, ero sempre stata precisa e ordinata non solo a scuola ma nella vita di tutti i giorni. Il libro che stavo leggendo di Kerri Maniscalco, però, mi aveva rapita al punto tale da aver perso la cognizione del tempo.

Nel libro la protagonista, Audrey Rose, era decisa più che mai a indagare sull'omicidio irrisolto di Miss Nichols. Fu inevitabile, in lei rividi me stessa e Roxy, e forse era proprio per questo che non riuscivo a staccarmi dalle pagine.

La morte ingiusta di una domestica, un fitto intreccio di menzogne ed enigmi e l'impressionante vicinanza con il presunto assassino... Ebbi un déjà-vu.

Sentii su di me lo sguardo di Drake, che aveva appena messo in pausa l'episodio che stava guardando.

«Sono qui da poco più di una settimana e ancora non mi hai detto che diamine di lavoro fai: rientri sempre a notte fonda, esci di casa a orari improponibili e giri per Manhattan da sola. È pericoloso, lo capisci o no?»

«Te l'ho detto, faccio la barista in un locale.» sbuffai mentre chiudevo la zip dello zaino, mi infilai poi l'altra manica della giacca.

«Barista? Tre giorni fa avevi parlato di fare la cameriera.»

Mi fermai lì, in mezzo al corridoio, le spalle irrigidite e il labbro inferiore stretto fra i denti. Come potevo essere stata così sciocca da incastrarmi da sola? Era proprio per questo che odiavo le bugie, perché prima o poi i nodi sarebbero giunti sempre al pettine, era inevitabile.

Mi voltai a guardarlo. L'occhiataccia che mi rivolse, colma di delusione, mi fece sentire ancor più colpevole.

Sorrisi appena, tentando di non mostrare alcun turbamento. «Infatti, perché svolgo due lavori. Stasera faccio la barista, ma alcune sere a settimana faccio anche la cameriera in un altro posto ancora. Ora scusami, ma sono davvero in ritardo.»

Non ero certa che Drake avesse creduto a quell'ennesima bugia, ma era corsa fuori dalla porta prima che potesse rivolgermi altre domande.

Scesi di corsa le scale del palazzo e mi incamminai lungo il marciapiede diretta all'Angels, non tanto distante da casa.

Alzai gli occhi al cielo. La luna quella sera era divorata a metà dall'oscurità, i suoi argentei raggi si facevano spazio tra alcune nuvole grigie che la coprivano.

Manhattan a poco a poco si stava facendo cullare dalla notte fino ad assopirsi e poche macchine sfrecciavano per le strade silenziose di quel quartiere.

Il marciapiede in ciottoli era coperto da un manto di foglie arancioni e gialle, che si sbriciolavano sotto il peso della suola delle mie scarpe, e le fronde degli alberi, nude, venivano scosse dal vento freddo dell'autunno.

In lontananza, le luci a led dell'insegna del locale spiccavano in mezzo all'oscurità di quella stradina, illuminando i volti dei clienti che si ammassavano davanti all'ingresso in attesa che Clarke li facesse entrare.

Mi avvicinai all'Angels e alzai una mano per salutare Clarke, vestito dei panni del buttafuori, ricevendo un occhiolino in risposta. Entrai nel vicolo laterale dell'edificio, dove vi era la porta sul retro utilizzata dal personale.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora