3 - Un piccolo passo verso un sogno

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Thalia

Tre giorni erano trascorsi dalla sera in cui accettai di lavorare per l'Angels e tutto sembrava filare per il verso giusto, tanto che ebbi quasi paura di compiere un passo falso, con il timore di spezzare quell'incantesimo.

Avevo un lavoro, certamente momentaneo, nell'attesa di trovare di meglio, e racimolato un po' di soldi, poiché Xavier, non appena seppe del furto, mi anticipò parte della paga. Il sole pareva esser sorto di nuovo sulla mia vita, brillando come mai prima d'ora, e nessuna nuvola grigia sembrava minacciare pioggia e sventure.

Con una tazza di tè fumante stretta fra le mani, mi sedetti sul letto con il laptop posato sulle ginocchia e cominciai a consultare i vari siti web dei migliori licei di Manhattan. Mi mancava ancora un anno, poi avrei conseguito il diploma.

Fra le tante scuole dall'ottima fama, una in particolare attirò la mia attenzione: la Marymount School of New York, sita nell'Upper East Side, che garantiva un'adeguata preparazione per i college di Yale, Stanford e infine Harvard, il mio sogno. Avevo preso la mia decisione, sarebbe stata quella la scuola che mi avrebbe accompagnata verso un nuovo futuro, verso Harvard.

Un sorriso mi curvò le labbra mentre sentivo una crescente emozione scaldarmi l'animo. Posai la tazza ormai vuota sul comodino e mi alzai dalle morbide lenzuola di cotone che rivestivano il mio letto, raggiungendo il piccolo guardaroba che arredava la mia camera in quell'ostello. Non riuscivo a contenere l'entusiasmo e ad attendere oltre, mi sarei iscritta quel giorno stesso alla Marymount per poter cominciare quanto prima a frequentare le lezioni.

Afferrai il giubbotto di jeans appeso nell'attaccapanni e infilai la prima manica, poi il mio sguardo scivolò sullo stendardo sbiadito, dai colori rosso e bianco, posato sopra la mia valigia. Venni attraversata da un senso di nostalgia, che mi spinse a sfiorare con le dita quel pezzo di stoffa.

Ricordavo bene quella mattina di luglio, pur avendo solo dodici anni, in cui mio fratello tornò da Harvard alla fine del semestre. Mai avevamo affrontato una separazione tanto lunga e sentii la mancanza di Drake ogni singolo giorno. Avevamo tentato di ridurre la distanza con numerose chiamate e messaggi, tutto ciò però non fu sufficiente. C'erano momenti in cui mi sembrava di vivere in un'apnea costante, come se la sua assenza mi avesse portato via anche l'ossigeno.

Quel giorno mi bastò incrociare delle iridi scure così simili alle mie e scorgere l'ombra di un sorriso sul suo volto dalla pelle ambrata, per riprendere finalmente a respirare. Ci abbracciammo per un tempo infinito, con tanta forza e affetto da riuscire ad aggiustare le crepe che costellavano i nostri cuori. La gioia che provavo divenne, se possibile, ancor più grande quando mio fratello mi porse un regalo: lo stesso stendardo che ancora conservavo come fosse un portafortuna.

«Questo non è che un altro piccolo passo, presto sarò lì anch'io», mormorai tra me e me.

Mi riscossi da quei nostalgici pensieri e terminai di indossare il mio giubbotto di jeans, presi poi la borsa nuova che acquistai qualche giorno fa ai Grandi Magazzini e mi lasciai alle spalle la mia camera, poi il West Side YMCA.

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Durante i miei giorni di permanenza a Manhattan, scoprii di adorare passeggiare fra le stradine dell'Upper East Side, uno dei quartieri più chic di Manhattan dove, tra l'altro, si ergeva la scuola che avrei frequentato.

Lungo il tragitto fino alla Marymount, osservai incuriosita i palazzi storici in pietra arenaria, i negozi lussuosi e i diversi ristoranti stellati e dall'aria ricercata. E mentre io mi perdevo ad ammirare ciò che mi circondava, non mi sfuggì il fatto che i newyorkesi parevano essere sempre di fretta, con la loro ventiquattro ore stretta fra le dita e lo sguardo assorto.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora