8 - Questione di chimica (parte II)

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Thalia

Le lancette del mio orologio da polso scoccarono le sei. All'orizzonte il sole si perdeva fra i colori aranciati e rosei di un cielo che sembrava esser stato dipinto, le fronde degli alberi invece vennero riscosse da flebili soffi di vento che privavano le loro chiome delle foglie e le posavano dolcemente sul freddo suolo.

L'Upper East Side, là dove vivevano Flynn e Roxy, trasudava ricchezza e prestigio. Quel quartiere di Manhattan era pervaso da sfarzosi palazzi storici e in pietra arenaria, parchi curati, caffetterie alla moda e numerosi negozi di lusso.

Lessi un'ultima volta l'indirizzo che avevo ancora scritto sul braccio, poi mi fermai in mezzo al marciapiede.

«All'angolo tra la Fifth Avenue e la Novantacinquesima Strada, dovrebbe essere questa.»

La mia attenzione venne rapita dalla maestosità di quel palazzo, la dimora di Flynn Cosgrove e della sua famiglia. Il mio sguardo risalì lentamente verso l'alto, soffermandosi su numerosi dettagli: dal portone in legno di quercia con i manici placcati in oro ai vasi che adornavano le terrazze, dalle grandi finestre degli appartamenti alla bandiera americana, che sventolava fiera sulla cima.

Mi avvicinai al citofono e feci per suonare, ma la porta d'ingresso si aprì prima ancora che potessi premere quel bottone.

«Hai intenzione di restare lì davanti ancora per molto o muovi il culo?» la voce di Flynn, roca e fredda, risuonò nell'aria.

Mi guardai attorno più volte prima di scorgere la sua figura, seduta sul cornicione di una terrazza all'ultimo piano. Fra le labbra stringeva una sigaretta da cui aspirò del tabacco, una nuvola di fumo poi si perse nell'aria.

In un primo momento mi venne istintivo raccomandargli di scendere dal cornicione, poiché poteva essere pericoloso, poi ci ripensai. Non mi avrebbe comunque dato ascolto.

Però dovetti ammettere, almeno con me stessa, che infondo covavo in silenzio della preoccupazione, celata perfettamente dietro falsa indifferenza. Prima di varcare la soglia, difatti, lo guardai un'ultima volta per assicurarmi che non stesse per cadere. Non che mi importasse poi tanto di lui, avrei mostrato altrettanta apprensione nello scorgere una qualsiasi persona seduta su uno stretto cornicione a una decina di piani da terra.

Entrai nell'ascensore di quel palazzo e premetti il pulsante che mi avrebbe condotta all'ultimo piano. Non appena le porte scorrevoli dell'abitacolo si chiusero, fra quelle quattro strette pareti si irradiò della musica classica suonata al pianoforte.

Non riuscii a trattenere un sorriso, mentre nella mia mente prendeva forma l'immagine di Flynn che saliva su quell'ascensore diretto a casa propria, costretto a udire una melodia tanto soave che sicuramente avrebbe disprezzato.

Non appena le porte si aprirono, mi addentrai in un lungo corridoio. Alla fine di quest'ultimo vi era una sola porta in legno di quercia: casa Cosgrove.

Percorsi quei pochi passi che mi separavo da quella casa, poi bussai. Ad aprirmi fu una domestica.

«Buonasera signorina, le do il benvenuto. Posso prendere la sua giacca e la borsa?» con cortesia e garbo, quella donna mi rivolse un sorriso.

«Buonasera. Certamente, la ringrazio, ma la borsa potrei tenerla? Devo studiare con Flynn e lì dentro ci sono i miei libri.»

«Dolores, ti avevo detto soltanto di aprirle il portone di sotto e non di accoglierla. Immagino che sia capace di togliersi il giubbotto anche da sola, dopotutto viene dalla sporca Harlem e lì dubito che abbiano dei domestici.» Flynn irruppe nell'atrio, vestito di nero come ogni giorno. Le sue labbra erano curvate da un sorrisetto arrogante, che racchiudeva tutta la soddisfazione che provava nello sminuirmi.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora