16 - Una bomba pronta a esplodere (parte II)

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Thalia

Ero sull'autobus, le lezioni si erano appena concluse e stavo raggiungendo casa Cosgrove per lasciare a Roxy i miei appunti, così non sarebbe rimasta indietro con il programma.

Durante il tragitto, nel silenzio di quel vuoto abitacolo, nella mia mente presero forma le immagini di un passato tormentato, dei ricordi di una vita che continuavo a sperare non mi fosse appartenuta.

Mi ero trasferita a Manhattan per fuggire dai miei demoni, per non dover seguire le orme di mio padre, che non aveva fatto altro che contornare la mia esistenza di terrore, distruzione e sangue. E pensavo di esserci riuscita a scappare da lui, dalla mia disastrosa famiglia, ma mi sbagliavo.

A dimostrazione di ciò vi era il messaggio ricevuto durante la ricreazione: "Ci vediamo presto, mi niña". Il numero non era salvato, ma non avevo dubbi che si trattasse di lui. Era solo questione di tempo e lo avrei incontrato, di nuovo.

Era inevitabile, cosa credevo? Che mi avrebbe lasciata fuggire così facilmente? Nemmeno nell'angolo più remoto del mondo sarei stata al sicuro, mi avrebbe sempre trovata.

A distogliermi da quei pensieri fu la mia fermata dell'autobus, che mi passò davanti agli occhi, oltre il vetro del finestrino. Io non l'avevo prenotata e il pullman non si era fermato, proseguiva imperterrito attraverso il traffico di Manhattan.

«Cavolo, quella era la mia fermata.» con uno sbuffo mi alzai e prenotai il prossimo bus stop, avvisando Roxy che avrei fatto un po' di ritardo.

Quando il pullman accostò davanti alla successiva fermata, mi accorsi di essere parecchio distante dalla Novantesima Strada. Avrei dovuto camminare un bel po', questo però non mi dispiaceva: mi piaceva passeggiare.

Ero quel tipo di persona che prendeva la vita come veniva e in ogni difficoltà riuscivo a vedere il lato positivo delle cose. Era questo, probabilmente, ad avermi impedito di sprofondare in passato.

«E sta' attento, cazzo!»

Sul marciapiede opposto al mio scorsi Flynn, si era appena scontrato con un uomo. Quest'ultimo si era scusato, ma non pareva avesse importanza, non per lui. Lo superò con una spallata e proseguì per la sua strada.

Mi fermai un istante nel bel mezzo del marciapiede e lo seguii con lo sguardo, cominciando a torturarmi il labbro inferiore tra i denti.

Un timido sole autunnale gli illuminava il viso, il passo era scostante e veloce, come se fosse in ritardo. Fra le dita stringeva una sigaretta consumata quasi del tutto, della cenere cadde a terra perdendosi fra la polvere della strada, nell'altra invece reggeva il suo telefono. Sembrava nervoso, inquieto e forse di malumore mentre si allontanava. Non credevo di averlo mai visto sorridere sinceramente, perché fosse felice.

Qualcosa dentro di me prese a suggerirmi di seguirlo, di corrergli dietro; si trattava dello stesso istinto che tempo addietro mi aveva convinta a partire per Manhattan. Lo avevo ascoltato in passato, perché non farlo ancora?

«Spero di non pentirmene...» mormorai prima di attraversare di corsa la strada, per andargli dietro.

Mi addentrai nel vicolo imboccato da Flynn, il Lucifero terreno di Manhattan, così lo avevo soprannominato. Ero pronta a seguirlo in quel districato labirinto fra gli Inferi del suo cuore? Ne dubitavo, ma ci avrei provato anche a costo di bruciarmi.

Qualche metro ci divideva, eppure mi sembrò di poter sentire, nonostante il chiasso provocato delle macchine, il suono del suo lento respiro e immaginai il suo petto che si alzava e abbassava.

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Lo seguii fino a Central Park. L'erba era curata, gli alberi privi di fronde si arrampicavano su quell'etere ceruleo come fossero vene sanguinose e oscure e udii le risate di alcuni bambini.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora