18 - El Dia de los Muertos

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Thalia

Avvolta nel mio giubbotto di jeans, stavo camminando lungo il marciapiede di una delle strade nel West Side. Il mio sguardo era rapito dalle case, i negozi e i locali addobbati con cappelli a punta, zucche intagliate e ragnatele. Era il trentun ottobre e halloween aveva varcato le porte di Manhattan.

Sapevo che quella fosse una festività piuttosto sentita dagli americani, che si mascheravano, festeggiavano e andavano di casa in casa a chiedere "Dolcetto o scherzetto?", un po' come accadeva nei film che mi era capitato di vedere alla televisione.

Al contrario, le tradizioni messicane erano molto diverse, dalla sfumatura più religiosa che festosa. Halloween da noi prendeva il nome di "El dia de los Muertos".

Durante El dia de Los Muertos, casa mia in Ciudad del Mexico splendeva di mille colori e di gioia, questo prima dell'arrivo di Christian.

Ai piedi dell'altare, su cui esponevamo le foto dei famigliari defunti, disponevamo i cempasùchil e tantissimi altri fiori di ogni genere. Il profumo zuccherino dei dolci appena sfornati riempiva l'aria, della musica allegra risuonava trasportata dal vento dopo minuti di preghiera.

Noi messicani credevamo che le anime dei morti giungessero al mondo dei vivi e che in quelle ore potessero stare con i propri cari, si poteva addirittura percepire la loro presenza intorno al tavolo delle ofrendas mentre gioivano per la ritrovata unione. Ma questa credo sia solo una leggenda popolare.

Quello sarebbe stato il mio primo Dia de los Muertos lontano da casa, in un luogo in cui le mie tradizioni non venivano del tutto comprese.

«Possibile che nessun fioraio abbia i cempasùchil? Sono solo delle stupide calendule gialle!» con uno sbuffo uscii dall'ennesimo vivaio, a mani vuote.

Malgrado ci fossimo soltanto io e Drake a festeggiare El Dia de loro Muertos a Manhattan, volevo comunque preparare un piccolo altare con la foto di Liam, disporre lì sopra qualche ofrendas e pregare con lui.

Mi sfilai il telefono dalla tasca del giubbotto, cercai il nome di Drake in rubrica e feci partire la chiamata, mentre mi affrettavo a raggiungere la fermata dell'autobus.

«Drake, ciao. Ascolta, sono entrata almeno in cinque fiorai, ma non li hanno. Al prossimo compro delle margherite gialle, mi arrendo! Tu hai trovato una qualche pasticceria che faccia i Dulce de Alfeñique?»

«No, mi spiace. Anche io mi sono arreso, ho comprato dei bigné.»

«Okay, andranno bene. Fra mezz'ora ci rivediamo a casa.»

Dopo aver chiuso quella telefonata cercai su Google Maps un altro vivaio, il più vicino, dove comprare un mazzo di margherite gialle. Non appena ne trovai uno, mi incamminai verso la mia nuova destinazione.

Alzai gli occhi al cielo, un brivido di freddo mi percorse la spina dorsale. Era proprio una bella giornata quella, i raggi del sole però parevano non sfiorarmi nemmeno e il giubbotto di jeans che indossavo risultava quasi inesistente contro il vento freddo che aveva colto Manhattan.

Non avevo mai affrontato un autunno tanto rigido, in Messico non esistevano le quattro stagioni e anche l'inverno non era poi così gelido.

Con le mani intirizzite dal freddo, nascoste dentro le tasche, varcai la porta d'ingresso del vivaio.

«Buongiorno, signorina. Finisco di servire il cliente prima di lei e arrivo.» annuii e mi feci da parte, attendendo il mio turno vicino ad alcuni vasi di violette.

Osservai la figura alta e dalle spalle larghe che sostava in piedi dinnanzi al bancone, era in attesa che il fioraio tornasse dal retro-bottega.

Indossava un giubbotto di pelle nera, i jeans scuri fasciavano perfettamente quelle lunghe gambe e le mani erano ornate da anelli argentei. Sul dorso vidi disegnata un'inconfondibile rosa rossa, l'unico tatuaggio non celato dai vestiti.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora