21 - Un per-niente-perfetto giorno del ringraziamento

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Flynn

Quando si parla del Giorno del Ringraziamento, automaticamente si pensa ai momenti in famiglia, alla gioia e alla gratitudine in un brindisi e all'entusiasmo di un pranzo coi fiocchi cucinato tutti insieme.

Io, al contrario, non riuscivo a pensare a nient'altro se non al mio odio per una festività tanto futile.

Trovavo a dir poco incoerente dedicare un giorno alla fratellanza, alla famiglia e al ringraziare il prossimo, quando poi trecento sessantaquattro giorni all'anno l'invidia e la cattiveria erano all'ordine del giorno.

Quanto meno non sentivo il bisogno di fingere, di indossare la maschera del falso buonismo. Ero egoista e crudele sempre, in qualunque occasione, e l'odio che nutrivo verso il prossimo non si sarebbe placato nel "Giorno del Ringraziamento".

E mentre mio padre, Monica, Roxy e Dolores si prodigavano per decorare la casa con tacchini di cartapesta e zucche di plastica e per preparare un ottimo pranzo, io ero steso sul letto con un libro fra le mani e una sigaretta che mi pendeva dalle labbra, accesa, la cui cenere cadeva leggera sul mio petto nudo.

Con la penna tracciavo linee disordinate nei paragrafi e nei discorsi che mi colpivano maggiormente, che riuscivano a suscitarmi qualcosa. Era difficile se non quasi impossibile che ciò accadesse, eppure "Romeo e Giulietta" ci riusciva egregiamente.

Stavo leggendo gli ultimi capitoli, con gli occhi divoravo righe e parole e la mia mente ricreava la scena di Giulietta fintamente morta, mentre Romeo accorreva nella cripta dei Capuleti per piangerla, ignaro del piano della sua amata.

Conoscevo quel libro a memoria, sapevo che di lì a poche pagine entrambi avrebbero inalato l'ultimo respiro pur di non perdersi, pur di restare insieme per sempre. E mi chiesi perché non fossi stato altrettanto coraggioso, perché non avevo inseguito anche io la morte per amore come Romeo.

Dopo aver perduto Séline, l'unica donna che io abbia mai amato, in quella triste e uggiosa notte, cosa mi era rimasto? Nulla, ma ero un codardo ed ero andato avanti con la mia vita.

«Papà ha detto di andare in soffitta a prendere il centrotavola, quello con le zucche e le foglie arancioni.» Roxy aprì la porta senza nemmeno bussare e irruppe nella mia stanza.

Non alzai gli occhi dal libro, sfogliai una pagina e inspirai del tabacco. Non la degnai di uno sguardo o di una risposta.

«Mi hai sentito o sei sordo? Vai in soffitta a prendere il centrotavola.» ripeté lei spazientita, le braccia incrociate al petto e il piede che batteva con impazienza contro il pavimento.

«Interrompimi ancora una volta mentre sto leggendo e farò in modo che tu ci muoia dentro quella soffitta.» spostai lo sguardo sulla sua figura, immobile sulla soglia. Nonostante tutto, Roxy non avrebbe mai oltrepassato quella linea invisibile di confine fra di noi.

Un sorriso falso le curvò le labbra. «Ironico, detto da parte tua.»

«Esci e chiudi la porta.» le ordinai dopo aver riportato gli occhi sul libro.

«Siamo pronti per pranzare, comunque. E stai tranquillo, andrò io a prendere il centrotavola.»

«Ero tranquillo anche prima, non mi sarei mai scomodato per un centrotavola del cazzo.» Roxy se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle con tanta forza da farla sbattere.

Con uno sbuffo, chiusi bruscamente il libro dopo aver infilato tra le pagine la penna, che aveva anche la funzione di segnalibro, per poi riporlo sul comodino. Mettere in pausa la lettura per uno stupido pranzo di famiglia mi disturbava parecchio.

Non era proprio il Giorno del Ringraziamento a irritarmi, a essere sincero il vero problema era la mia famiglia. Quindi alla fin fine giunsi alla conclusione che non era quella festa in sé il problema, ma il fatto che la trascorrevo con persone di cui non mi importava nulla.

𝔒𝔟𝔰𝔢𝔰𝔰𝔢𝔡 - Rose sfioriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora