CAPITOLO 98

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Quando Dyra era andata a cercare Lashrael, il mezzo Drow si era allarmato, anche in considerazione del fatto che la donna si stava asciugando le lacrime. «Sembra disposto al dialogo,» gli aveva detto, baciandogli una guancia. E ora che era davanti alla porta con un'altra caraffa, si chiese cosa sarebbe successo. Riconciliazione? O rottura definitiva? Espirò con forza e bussò.
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«Avanti.» disse Daw, aveva cercato di farsi forza, di trovare le giuste parole. Era tutto molto difficile, ma non poteva farsi davvero sopraffare, non poteva darla vinta alla megera Drow! E soprattutto non poteva far soffrire Lashrael, era per lui che aveva fatto tutto quello!
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«Mi cercavi?» domandò cauto. Che doveva dire? Non lo sapeva neanche lui.
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Lo guardò e si concentrò sui suoi occhi, sul suo viso, sulla sua espressione che non aveva nulla in comune con il Lashrael che aveva in testa. «Mi dispiace,» disse. «ho la testa incasinata. Droghe, veleni e non so cos'altro... Ma gli effetti di tutto questo si affievoliranno e spariranno, non so tra quanto tempo, ma so che succederà. Io vorrei tornare a casa.» Si umettò le labbra. «Torniamo a casa?»
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Ebbe un tuffo al cuore. Era pronto a tutto, tranne al "tornare a casa". Sentì le lacrime pungergli gli occhi e un nodo alla gola. Respirò ancora e annuì, cercando le parole che erano improvvisamente scomparse. Nonostante tutto ci provò. «Sì.» gli disse con voce tremula. «Quando vuoi.»
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«Vorrei ora,» replicò. «ma non credo di esserne in grado.» Poi guardò la caraffa. «Vorrei bere di nuovo, potresti...» Alzò la mano in direzione del bicchiere.
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«Certo.» Riempì il bicchiere. «Qui puoi rimanere quanto vuoi e quando te la sentirai ci metteremo in cammino.» disse, poi gli porse il bicchiere. Avrebbe voluto chiedergli se preferisse essere aiutato, ma rischiava di metterlo in difficoltà, perciò evitò e attese che prendesse il bicchiere.
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Prese il bicchiere e bevve. Lo fece lentamente, mentre rifletteva. «Usciamo da qui, andiamo a fare una passeggiata, ho bisogno di vedere il cielo, il sole, il vento, non voglio più stare chiuso in una stanza.» disse.
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«Va bene,» rispose. Preferiva anche lui respirare aria che odorava di alberi. Era metà pomeriggio e avrebbero potuto farlo con una certa tranquillità se si fossero diretti verso il limitare del bosco.
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Ora veniva il difficile. È tutto solo nella tua testa! È tutto solo nella tua testa!
Si fece coraggio e si alzò in piedi, le gambe ancora malferme, ma quando vide Lashrael spostarsi verso di lui alzò una mano per fermarlo. Fece un respiro profondo. «Volevo proteggerti da tutto questo odio e da tutto questo dolore,» disse, stringendo la mascella. «la testa piena di incubi e il corpo martoriato sono i miei e non i tuoi ed era quello che volevo, lo capisci?»
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«Lo capisco e lo capivo anche prima della nostra discussione, ma ero io a non volere che tu ti facessi carico della sua malvagità.» rispose addolorato, frenando l'impulso di abbracciarlo, mantenendosi a distanza. Ma faceva male. «E, a differenza di te, io non sono stato in grado di proteggerti.»

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«Non potevi farlo, ma qualcosa bisognava necessariamente sacrificare. E in questo modo, forse, tra i ranger ci sono state poche perdite rispetto a un assalto normale.» Lo osservò. «Ti senti male? Ti senti in colpa? Ti senti impotente?»
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«Tutte e tre le cose, ma puoi aggiungere a questo il fatto che sono ancora un po' arrabbiato.» sorrise mesto.
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Si adombrò. «Ho provato tutte queste cose quando ti hanno rapito gli schiavisti e anche quando sei stato torturato dall'Illithid, non ero stato in grado di prevenire quel tormento allora, ho potuto solo raccogliere i pezzi e sperare che andasse bene.» Strinse le mani in pugni. «Non voglio e non merito la tua rabbia!» Gridò l'ultima frase, tremando.
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Dunque era quello il problema. «Ho specificato con chi sono arrabbiato?» replicò. «Usciamo di qui intanto?»
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Non si mosse e scosse la testa. «Arrabbiato con me o con te stesso, fa lo stesso! Non lo capisci? È come se avessi fatto tutto questo per niente! Come se fosse stato tutto un errore!» Si portò una mano fra i capelli, fece un impercettibile passo indietro e ricadde seduto sul letto.
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«No, non capisco,» ammise con franchezza. «Va bene se mi sento in colpa nei tuoi confronti e riconosco che sì, ho sbagliato in modo catastrofico e a quanto pare sto ancora sbagliando. Va bene se mi sento male, e mi sento male davvero sia fisicamente sia perché ho sbagliato, mi sento in colpa e mi sento impotente. E come mi fai notare è giusto che mi senta impotente, perché lo sono. Non posso essere arrabbiato, però, perché evidentemente è una reazione che tu non hai provato quando ero io il caso da proteggere. E ti assicuro che questo non lo comprendo del tutto.» Non era sicuro di essersi spiegato bene, però in lui stava di nuovo montando la collera e ciò non andava bene.
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Strinse le labbra in una linea amara. Smise di guardarlo e non rispose. Non voleva e, soprattutto, non poteva in quel momento farsi carico dei sentimenti di Lashrael, aveva già i suoi con cui fare i conti e non era affatto facile. Così tacque, si chiuse nel silenzio, l'unico modo che aveva al momento per non far precipitare il tutto.
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«Chiederti perdono avrebbe senso?» domandò. «Non mi sento alla tua altezza, ritengo di non meritare le tue attenzioni né il tuo sacrificio ed è questo che mi fa stare male con me stesso, perché non ti merito.» disse infine. «Almeno questo posso permettermelo come motivo di essere in collera con l'abominio che hai di fronte in questo momento? Per questo ti chiedo perdono.»
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«Non ho niente da perdonarti, questo tuo senso di inadeguatezza non ha alcun fondamento.» rispose senza guardarlo. «Quando mi hai... Quando la matrona mi ha drogato ha insinuato odio e rabbia nei miei pensieri, per questo non posso tollerarli adesso, in nessuna forma, in nessun modo e per nessun motivo. Se non sei in grado di gestirli da solo allora, mi dispiace, non voglio ancora stare con te.»
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Lo guardò sbalordito. «Ho risposto a una tua domanda, a quanto pare non eri sincero quando me l'hai posta, non avevi intenzione di conoscere la risposta.» Rifletté. La bocca dello stomaco tornò a serrarsi in maniera dolorosa. «Non ti ho mai chiesto farti carico delle mie emozioni.» aggiunse. Il vortice del dolore era sempre più violento e oscuro. «Domani libererò la baita delle mie cose, non dovrai più preoccuparti di vipere che spuntano all'improvviso dall'erba.» Faceva veramente male. «Se stanotte vorrai cambiare stanza, quella al piano superiore nella locanda sarà libera e a tua disposizione.» Annunciò e si voltò per raggiungere la porta. Mai più lo avrebbe visto piangere. Avrebbe addomesticato da solo i propri spettri.
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Lo guardò andarsene, voltargli le spalle, chiudere la porta, lasciarlo solo.
Solo.
Libererò la baita dalle mie cose.
Non eri sincero.

Era solo, per cosa o per chi aveva fatto tutto quello?
Si alzò in piedi, allungò una mano verso il tavolino, per sostenersi, poi allo stipite della porta, l'aprì e si guardò attorno. Le scale? Si sarebbe aggrappato al corrimano.
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Lashrael non cercò Dyra, non aveva nulla da raccontare che già non sapesse. Evitò la sala comune e andò diretto verso la camera. Ma sfuggirle era impossibile. Lo bloccò sulle scale.
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Il corridoio sembrava allo stregone spaventosamente lungo e le sue ginocchia tremavano, prese fiato, concentrarsi semplicemente su come muovere un passo dietro l'altro era una salvezza. Ma la voce perfida della Matrona sghignazzava in sottofondo.
È un Drow, è normale per lui farti soffrire!
Con la mano appoggiata al muro esterno mosse la gamba, attese di vedere il muscolo cedere, ma resse, così mosse anche l'altra. Due passi, una conquista! Le scale ancora non le vedeva, ma bastava girare l'angolo.
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La guardò senza dire nulla, ma sapeva già che la lotta sarebbe iniziata a breve. Quando la raggiunse, Lashrael tentò di proseguire, ma la donna non pareva essere dello stesso avviso, gli si parò davanti.
«Ho bisogno di andare in camera, grazie,» le disse asciutto.
«Devi pagare pegno,» rispose lei.
«Puoi andare a chiedere al tuo amico, visto che con te parla,» replicò stanco.
La donna aggrottò la fronte. «È stato lui a chiedermi di te.»
Lashrael sentiva la collera ribollire ancora, ma non era Dyra il bersaglio: «È stato lui a darmi il ben servito.»
La ranger si incupì. «Cosa è successo?»
Il mezzo Drow scosse la testa. «Lui ha i suoi spettri da tenere a bada, e visto che io ho i miei non abbiamo niente da dirci.» Sì, faceva un male assurdo.
«Che senso ha?» chiese lei. «Siete impazziti?»
«Ho chiesto perdono per i miei atteggiamenti negativi nei miei stessi confronti e mi ha risposto che non può farsi carico dei miei problemi. Dyra, io non sono in grado a queste condizioni, ho provato, ma evidentemente ho fallito. Non credo che tornerà alla baita, ma se decidesse di farlo, per favore, non lo emarginate.»
La donna serrò la mascella. «Mi farai sapere dove trovarti?»
Annuì. Le fu grato di non aver cercato di fargli cambiare idea. Continuò la salita e non si curò di controllare dove si fosse diretta la sua amica.
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Daw riusciva a reggersi in piedi, camminare era un po' più complesso, ma accostato al muro ci stava riuscendo, alla fine svoltò l'angolo e raggiunse la balaustra delle scale, non aveva fatto neanche il primo gradino quando vide in basso Dyra, che lo stava guardando. Magari lo avrebbe aiutato a scendere, comunque non glielo avrebbe chiesto. Iniziò a scendere. Qualche pericolosa vertigine, ma serrò le dita al corrimano, ci mancava solo che ruzzolasse dalle scale!
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«Certo, testone come sempre. Aspetta, ti do una mano a scendere, anche se preferirei farti tornare di corsa in camera!» Dyra gli disse raggiungendolo.
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Si lasciò aiutare, senza una parola, senza ringraziarla, si separò da lei e avanzò poi verso la porta.
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«Grazie, Dyra, non avresti dovuto scomodarti, sono in grado di fare tutto, io!» gli disse ironico senza muoversi.
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Non si girò nemmeno. Non gli importava più di nulla. Era solo ora, se la cavava da solo, come era sempre stato.
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«Cazzo, mi basta farti uno sgambetto per metterti fuori uso, Daw! Guardami almeno!» esclamò.
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A quel punto si voltò. «Cosa vuoi, Dyra? Un saluto? Un commiato? Sono stanco ed è già difficile riuscire a tenermi in piedi.»
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«Non voglio un commiato perché tu non vai da nessuna parte!» replicò. «Stai di merda, in tutti i sensi. Cosa ci fai a spasso in queste condizioni? Ho parlato al vento prima?»
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Sospirò e si appoggiò con la schiena al muro. «Mi ha abbandonato. A quanto pare gli incubi sono più reali di quanto sembra, eh?»
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«È lui che ha abbandonato te, o sei tu che hai abbandonato lui?» gli disse dura. «Siete uguali in questo, ve ne rendo atto. Quando avete delle ferite da farvi leccare, guai se altri nei paraggi stanno a leccare le proprie. Quando vi siete sposati non ve lo ha detto nessuno che avreste condiviso pure la merda? E ora ne avete tanta da scansare, tutti e due! O forse vi piace sguazzarci dentro, non so.»
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La guardò duramente. «Forse non vi è chiaro che sto cercando di dividere l'immagine di Lashrael che mi hanno inculcato a forza da ciò che io so essere in realtà! Ed è, al momento, uno sforzo spaventoso! Io l'ho abbandonato? Gli ho chiesto di tornare a casa insieme! E poi gli ho chiesto di non essere più arrabbiato, con me o con se stesso, gli ho solo chiesto di non essere arrabbiato! Posso capire che si senta frustrato, impotente e che stia male, ma è così difficile evitare di farmi sentire come se tutto quello che ho fatto non è stato altro che caricargli sulle spalle un peso insopportabile? Evidentemente lo è, ma in questo momento non sono in grado di corrergli dietro, abbracciarlo e dirgli che tutto andrà bene, in questo momento credo che questa parte spetti a lui, mi sto forse sbagliando? Invece, tutto quello che ho ottenuto è farlo girare sui tacchi e andarsene, dicendomi che avrebbe preso le sue cose dalla baita, come se potessi davvero viverci senza di lui! Tutto questo sarebbe colpa mia? D'accordo, allora, mi prendo la colpa! Leccategliele voi le ferite, io farò da solo, in un modo o nell'altro.»
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«Vorrei capire se glielo hai detto in questo modo, perché per la prima volta mi trovo a constatare che parlate di cose diverse. Non siete in sintonia, e la colpa è di entrambi, ma forse è meglio parlare di non colpevolezza. Ora però vieni con me, a costo di farti del male fisico. E sai che non scherzo!» urlò, sperando che la sentissero anche altri.
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La guardò arrabbiato e disperato. «Il modo in cui gliel'ho detto? Non lo so, gli ho detto che non volevo fosse arrabbiato, neanche con se stesso, ecco cosa ho detto! Devo soppesare pure le parole per paura di ferirlo? Devo essere io a consolare lui? Spiegami, perché non ci arrivo! Sintonia? Di cosa parli, umana? Nella mia testa lui mi ha stuprato! Ovvio che ora non siamo in sintonia! Ma come ci torniamo in sintonia se le mie parole lo offendono e lui, come unica soluzione, se ne va? Spiegamelo, perché davvero non ci arrivo!» gridò, con tutto il fiato che aveva in gola e a quel punto il corpo non lo resse veramente più, crollò a terra, tremando e con il fiato spezzato.
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Sospirò. «Tanto tempo fa abbiamo avuto un confronto simile, te lo ricordi? Ci conoscevamo da poco tempo e lui si offese per qualcosa che avevi detto.» Dyra cercò di calmarsi. «Se la prese per qualcosa di molto più futile. Ti ricordi cosa ti dissi?» Sperava di calmare anche lui in quel modo, anche se riteneva che fossero davvero nel torto entrambi.
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Non la ascoltava più, tremava e voleva uscire, aveva bisogno di sentire la sua magia, di non sentirsi più in balia degli eventi, così si trascinò di nuovo in piedi, gli mancava il respiro, arrancò verso l'uscita.
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Assottigliò gli occhi. Guardò alle sue spalle per assicurarsi che qualcuno l'avesse sentita. Per fortuna vide Nik e Warren ai quali fece segno di cercare e bloccare Lashrael. Respirò per caricarsi e gli andò dietro, imperterrita. Gli si parò davanti. «Non ci sto, Daw. Sono colpevole anche io, ho protestato anche io prima della missione, sono una stronza e lo so. Per favore. Per favore dimostrami che sei più ragionevole di tuo marito. Perché lo sei, ed è per questo che ti chiedo davvero aiuto.»
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La guardò, ad occhi sgranati. «Non respiro, ho bisogno di uscire!» disse, si sentiva prossimo a collassare, non gli era mai capitato, neppure nei momenti più critici della sua vita, neppure quando era ancora con gli stregoni. Un attacco di panico, ma non sapeva dargli un nome, sapeva solo che doveva uscire da quel luogo.
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«Appoggiati a me, apro io la porta per te.» gli disse rapida Dyra. Si mise il braccio sulle spalle e lo cinse leggera alla vita. Raggiunsero la porta. Lo avrebbe accompagnato almeno fino al pozzo, nel caso in cui avesse avuto bisogno di acqua.
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Si aggrappò a lei e quando arrivarono al pozzo gli ci volle qualche secondo per placarsi. Alla fine riprese a respirare con più calma. Toccò i mattoni freschi, concentrandosi sulla porosità della pietra, sedette sul bordo del pozzo, grato di non dover più stare in piedi. «Cosa dovrei fare, dunque? Quando Lashrael ha perso la memoria mi hai detto di avere pazienza, devo avere pazienza anche stavolta? All'epoca ero pronto a tutto, adesso sono stanco, non ho le forze per combattere nessuna battaglia,» disse, affranto.
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«La tua pazienza nel caso della memoria era stata ripagata però, o sbaglio?» replicò mettendosi a sedere accanto a lui. «Lashrael ti ha chiesto per caso di consolarlo, o proteggerlo in questo frangente? Ho l'impressione che non riusciate a dialogare e mi pare davvero strano che voglia scaricare su di te le sue paure. Lui non è bravo a parlare, non lo è mai stato, questo è un dato di fatto. Mi sembra strano però che abbia voluto addossare a te i suoi sensi di colpa.» rifletté. «Vuoi dell'acqua?»
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«Sono stanco anche di dare spiegazioni,» mormorò. «Lashrael non mi ha chiesto niente, sono io che ho chiesto a lui di non essere arrabbiato, desidero solo lasciarmi alle spalle questa storia, recriminazioni, sensi di colpa, sensi di inferiorità. Devo già discutere con me stesso per ricordarmi che Lashrael non mi avrebbe mai volutamente ferito, devo ricordarmi che sapevo a cosa andassi incontro, che posso superare il male e le menzogne che mi sono state inculcate, ma non ho abbastanza energie per gestire anche i suoi problemi. Se non riesce a mettere da parte la sua ansia, per il momento, ritieni davvero che riesca a farlo io per lui? Beh, non ci riesco e credo che tu ne abbia avuto un assaggio poco fa.» Guardò verso il fondo del pozzo, si vedeva il luccichio dell'acqua. Mormorò piano l'incantesimo e provò sollievo quando una colonnina d'acqua risalì dietro suo comando, zampillando allegramente.
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«No e ti capisco, ma perché pensi che dovresti essere tu a gestire la sua ansia? O che lui si aspetti da te qualcosa di diverso dal tuo amore?» gli chiese cauta.
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«Non so cosa lui si aspetti da me, so solo cosa io non voglio da lui: non voglio che sia arrabbiato e non voglio che si senta in colpa per non avermi protetto, perché non aspettava a lui proteggermi questa volta. È stata una mia scelta, il mio compito, e l'ho portato a termine con successo! Quindi non si deve ritenere non meritevole del mio amore, a che serve l'amore se non si è disposti a fare il tutto per tutto per l'amato? Si è forse tirato indietro dall'uccidere sua madre?» La colonnina d'acqua ripiombò nel pozzo. «A che cosa è servito farmi torturare se poi lui si sente indegno di un simile sacrificio? E si arrabbia perché io non riesco a capire cosa diavolo dovrei perdonargli? Se n'è andato, Dyra, non valgo nemmeno una discussione a quanto pare.»
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Dyra scosse la testa. «Siamo tutti stanchi, questo è fuori discussione. E soprattutto abbiamo tutti i nervi a fior di pelle.» E Lashrael era doppiamente provato dagli eventi degli ultimi mesi, di certo non era cosa da sottolineare ora. «Credo che lui si aspetti solo di tornare alla vita fatta di passeggiate nel bosco, di serate passate nella veranda, cose così. Il fatto è che desidera più di ogni altra cosa che a farlo siate voi due insieme e so che ti sto dicendo solo l'ovvio, ma mi pare che sia lui che non riesce a dirlo. E, per parte mia, sono troppo in là con gli anni per vedervi discutere, ho bisogno di una vecchiaia tranquilla.» Decise di evitare di fargli notare il modo in cui anche Lydia e Ben erano usciti mortificati dallo scontro con lui. Doveva recuperare uno dei due e, stranamente, quello più semplice da recuperare sembrava proprio Daw.
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«Non ho desiderato niente altro che tornare a casa, ma quella non è più casa mia se devo pensare di andarci da solo. Preferisco tornare a sud e riprendere la mia vecchia vita a questo punto.» Che, ovviamente, non sarebbe mai più stata la stessa. «Se questo tu lo chiami discutere!» Fece una risata amara. «A me sembra un lento agonizzare. Forse c'è una cosa che non posso perdonargli...» mormorò, sentendosi spezzare dentro. «La matrona Drow mi aveva fatto credere che mi avesse abbandonato, ebbene, lo ha fatto davvero, sulla semplice base di quella che tu chiami discussione. Pensala come vuoi, Dyra, dammi la colpa se preferisci, rimane un dato di fatto. Ora, se non hai altro da aggiungere, devo trovare il modo di organizzarmi, ma temo che mi ci vorrà ancora qualche giorno di riposo prima di riuscire a fare qualcosa di concreto.»
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«Ti prego, Daw, ti scongiuro. Confrontati di nuovo con lui. Siete... Devastati. Entrambi. Non lasciate che lei riesca nel suo intento ora che è morta. Non ve lo meritate. Se me lo permetti, cercherò di creare l'occasione di farvi incontrare, o scontrare, vedila come vuoi. Voglio sentire ancora Bàrbero che si lamenta dei cigolii,» gli disse con un mezzo sorriso.
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Daw le prese una mano, la strinse tra le sue, la accarezzò delicatamente. «Dyra, io devo ringraziarti con tutto il cuore per la tua amicizia, per la tua presenza, le tue risate, le tue prese in giro e tutto l'affetto che mi hai mostrato in questi anni, ma questa cosa non la puoi risolvere tu, mi spiace,» disse, con voce estremamente calma, per la prima volta da quando si era risvegliato. «E mi dispiace darti ragione, ma ciò che ho fatto a quanto pare è stato non solo inutile, ma perfino deleterio, la vecchia megera Drow è stata più forte di tutti noi e ha vinto. Più forte di me di sicuro. Prenditi cura di Lashrael, per favore.» Lasciò andare la sua mano.
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«Siete assurdi.» Scosse la testa. «Mi ha detto la stessa cosa lui in riferimento a te. Fatela finita e tornate a scopare, per favore.»
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Gli strappò un sorriso. «Se fosse così facile... Sono bravo in quello!» Con lentezza si rimise in piedi. Avrebbe chiesto una stanza a Bàrbero per quella notte, in un'ala comune della locanda che non fosse la zona riservata, e in un paio di giorni avrebbe fatto un modo di tornare alla baita per prendere lo stretto necessario. Forse sarebbe tornato a Silverlake, dopo tutti quegli anni la cosa più saggia era riprendere i vecchi contatti.
La testa non girava più, era un buon punto di partenza, prese fiato per riprendere a camminare quando li vide comparire davanti. Warren e Lashrael sbucarono dal muretto all'angolo. Il senso d'angoscia tornò prepotente.

Strange Story - Daw e LashraelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora