Capitolo 38

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«Potrei innamorarmi sia del divano che del televisore.»

«Mia madre lo ha voluto prendere l'anno scorso, era uno sfizio che voleva togliersi da tanto tempo.»

«Ha fatto bene» dice continuando ad ammirare la tv inutilmente grande.

«Se vuoi, di tanto in tanto potremmo guardare qualche film.»

Mi guarda sorridendo.

«Accetto senza alcun dubbio.»

Averlo qui è come avere tutto quel che si vuole in un unico spazio.

Casa è sicurezza, stabilità, un luogo che ti saluta al mattino e rimane ad attendere immutato il tuo ritorno, un posto in cui poter essere se stessi e che mai ti tradirà. L'unica cosa di cui ho sempre sentito la mancanza, tra queste mura, è un amore sincero. Marco ci è entrato più volte, ma spesso mi rendevo conto di perdermi in altri pensieri, cose sconnesse dal momento presente. Con i miei genitori, per quanto tenga a loro e per quanto so che loro tengano a me, ho sempre avvertito il distacco causato da un'incomprensione tanto profonda da non permettere di vivere a pieno un sentimento sincero. Ma Tyler, che seduto qui mi permette di non sentirmi sola nemmeno per un istante, ha colmato un vuoto che mai avrei creduto potesse essere colmato.

Sento che potrei alzarmi adesso, andare ad inginocchiarmi all'altare che di notte, nel silenzio, accoglie l'offerta che mi assicura di sopravvivere, e lui rimarrebbe ad attendermi. Non mi giudicherebbe, non direbbe nulla. Semplicemente mi guarderebbe, facendomi comprendere di esserci.

Involontariamente, o forse volontariamente, mi dona il silenzio che negli anni è mancato, mi dona la presenza-assenza in grado di lasciarmi muovere i miei passi.

«Ti va una birra?» gli chiedo mentre armeggia con il telecomando.

«Certo.»

Ci dirigiamo nel cucinino, luogo nel quale fumo spesso quando i miei non sono a casa.

Stappo due birre, gliene porgo una, e brindiamo a nessuno dei due sa cosa.

«Hai proprio una bella casa Aurora. Non so chi l'abbia arredata, ma ha fatto un ottimo lavoro.»

«Mia madre ha deciso quasi tutto, a mio padre non importava granché.»

«E tu? Non l'hai aiutata?»

Poggio la birra sul piano della cucina, accendo una sigaretta ed aspiro un ricordo.

«Ci trasferimmo qui quando andavo in quarta elementare. Ero una bambina davvero allegra, non stavo un attimo ferma. Avevo anche un lato creativo che mia madre amava molto, così mi lasciò fare una cosa. Metti la sigaretta nel posacenere, ti faccio vedere.»

Lo guido fino alla camera dei miei genitori. Accendo la luce, mostrandogli fiera il mio operato.

«Ci credi che ho sempre detto che, quando avrò un figlio, vorrò lasciargli un'intera stanza per fare cose di questo tipo?»

Muove qualche passo, ammirando le tante manine azzurro chiaro che tracciano il perimetro della stanza ad un metro e mezzo circa di altezza. Seguono tutte un ordine preciso, prima sinistra e poi destra, con gli indici che si toccano tra loro.

«Mia madre non ha mai pensato di coprirle. Penso sia strano, ma mi fa piacere. È una traccia di un bel periodo, un segno della purezza.»

«Non avrebbe motivo per farlo, credo che anche per lei sia un ricordo estremamente felice.»

«Certo, ma è la parete della camera da letto di due adulti. Vieni, torniamo alle birre.»

«La camera da letto di due genitori innamorati della figlia» dice seguendomi.

Recupero la sigaretta, osservando Tyler che ancora sorride.

«La mia arte ti ha emozionato tanto?»

«Sei un talento incompreso, ma sorrido perché pensavo alla mia di quarta elementare.»

«Com'era? Anzi, com'era Tyler?»

Mi siedo sul piano e sorseggio la birra, sinceramente felice, aspettando impaziente di scoprire un nuovo capitolo della sua vita.

«Era solo, tremendamente e totalmente solo.»

Mi aspettavo tutt'altro inizio. Perdo il sorriso, ma lui continua a mostrare un ghigno che adesso assume tutt'altro significato.

Come ha fatto più volte con me, attendo che parli senza fare altre domande.

«Non capivo gli altri bambini, e c'erano tante cose di cui non andavo fiero. Inoltre a casa non ce la passavamo bene, ma queste sono altre storie. Quel che conta, è che ogni mattina uscivo di casa sperando di non arrivare a scuola, e quando le lezioni finivano, uscivo da scuola sperando di non arrivare a casa. Non mi manca per niente quel periodo, se rido è perché sono felice di vedere che fine hanno fatto alcune persone che me lo hanno reso un inferno. Non che io abbia fatto chissà cosa, ma credo di avere, ad oggi, più mezzi di ognuno di loro. E forse anche più rispetto.»

Nel tempo ho potuto osservare, ogni volta che insieme incontravamo qualcuno che conosceva, come viene trattato. Un misto di rispetto e timore traspare dallo sguardo di chi lo osserva, mentre dai suoi occhi non trapela quasi nulla. Mi chiedo quanto abbia lottato.

«Di certo farai grandi cose Tyler, ma questo lo sai da te.»

«Lo spero, altrimenti tra qualche anno non potrò più sorridere ripensando a tante cose.»

Finisce la birra, spegne la sigaretta, e cambia totalmente argomento.

«A che ora tornano i tuoi genitori?»

«Non prima delle nove. Perché?»

«Sono le cinque e mezza. Che ne diresti se guardassimo qualcosa adesso?»

«Ci sto. Ma scegli tu, io non saprei che mettere.»

Lascio che vada al divano prima di me. Una volta fuori dal suo campo visivo, mi lascio andare ad una piccola e silenziosa esultanza. Dopo mesi in cui il centro dei nostri giorni sono stata io, Tyler è tornato a parlare di sé. Anche se per pochi istanti, anche se dicendo poco, mi ha voluto confidare qualcosa di importante. Che stia tornando a fidarsi?

L'ombra di AuroraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora