Capitolo 34

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«Perché non gli parli?» chiede Sonia, nel vano tentativo di consolarmi.

Questo mi fa percepire la distanza dal mondo: le domande che i suoi componenti fanno pensando che per me sia così semplice, così lineare.

«Ma di cosa dovrei parlargli?»

«Di quello che provi. Pensaci, esce con te quasi sempre, dedicandoti un'infinità di attenzioni. Ti ascolta e ti parla come nessuno prima, e come se non bastasse ti antepone a gente come Leonardo che bacia il terreno su cui cammina. Aurora, è pazzo di te.»

Scoppio a ridere istericamente.

«Ma hai sentito cosa ti ho raccontato? Sa troppo di me.»

«E allora perché farebbe tutto questo?»

Continuo a chiedermelo, ma non trovo risposte.

«Suppongo lo faccia per aiutarmi.»

«Non puoi dire sul serio. Se così fosse, non avrebbe motivo di arrabbiarsi tanto per quello che è successo.»

Come può non capire?

«Con me si stava aprendo, ed io ho mentito. Questo lo porterà ad allontanarsi, nient'altro.»

«Nessun ragazzo si comporta così.»

Lui non si comporta mai come gli altri.

«Se avesse voluto baciarmi, o provare a spingersi oltre, avrebbe già potuto farlo.»

«Magari è diverso in questo.»

«Che vuoi dire?»

«Che non vuole che sia una cosa semplice. Tu potresti interessargli ad un livello più profondo. Anzi, sono certa che sia così.»

Mi alzo dal divano, prendo le sigarette, e la invito ad uscire in balcone.

Inizio a fumare per guadagnare tempo. Non voglio che Sonia continui a dire cose simili, non voglio che mi illuda. A dire il vero, adesso vorrei soltanto che se ne andasse.

«Che vuole mia madre...» dico sbuffando, illuminata da un'idea. Fingo di digitare un messaggio di risposta.

«Va tutto bene?»

«Mi ha appena detto che torneranno prima e che devo prepararmi perché andiamo a cena da mia zia. Finiamo di fumare e faccio una doccia, altrimenti non ci arriverò mai.»

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Come posso riportarlo indietro?

Forse però dovrei chiedermi quanto sia giusto farlo.

Una persona entra nella mia vita in punta di piedi, mi fa sentire apprezzata, presa in considerazione, e mi pone al di sopra degli altri. Mostra pazienza, delicatezza, comprende cosa nascondo e non me lo fa pesare.

Non dice nemmeno nulla per dissuadermi da quel che mi fa stare bene. Si limita a sedersi accanto a me, facendomi dimenticare per cosa soffro.

Ed io, per ringraziarla, mento come probabilmente tanti hanno fatto prima di me.

Dunque è naturale domandarsi se mi trovi nella posizione di pretendere che torni.

Ma lasciarlo andare significherebbe morire, perché adesso, grazie a lui, io vedo.

Ho sempre saputo di interpretare un ruolo, ma con il tempo, da brava attrice, ero divenuta quel ruolo. Credevo mi piacesse, di poter realmente essere una copia in mezzo a tanti cloni, fatta ad immagine e somiglianza di chi ha creato le mie dannazioni. Ma sbagliavo, e il destino è dovuto intervenire.

Per palesarsi sotto la sua strana forma, ha lasciato che odiassi quel ruolo, che pensassi di non averlo interpretato abbastanza bene. Ero certa che la rottura con Marco fosse dipesa dalla mia pessima interpretazione, ma adesso so che era legata alla presa di coscienza che mai potrò essere un'altra.

Io sono quella che sono.

Sono l'Aurora della clinica, quella presa in giro, insultata, respinta...

Sono l'Aurora che è stata tradita da se stessa, e se Tyler non fosse giunto, non lo avrei compreso.

Dunque, l'unico modo perché la pretesa che torni assuma legittimità, è accettarmi.

Farlo davvero, coraggiosamente e sinceramente.

E se prendere per mano quella bambina e condurla qui, nel presente, dovesse significare patire le pene dell'inferno, allora soffrirò. Se dovesse condurmi all'odio, mi odierò.

Ma, forse, non sarò da sola.

L'ombra di AuroraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora