Capitolo 42

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Avrebbe dovuto essere qui un'ora fa. Non è da lui arrivare in ritardo, e non lo è nemmeno non farsi sentire quando dobbiamo uscire. Ha la convinzione che chiunque voglia dargli buca, quindi si accerta sempre che il programma non sia cambiato. Inoltre, gli ho anche scritto per sapere se fosse accaduto qualcosa, ma non ha risposto. Ho un brutto presentimento.

«Aurora, va tutto bene?»

«Sì mamma, perché?»

«Sembri agitata.»

Deve aver notato che continuo a guardare il cellulare.

«Tyler è in ritardo di un'ora, e non è da lui.»

«Magari ha avuto un contrattempo» dice abbassando il volume della tv. Spero non abbia intenzione di iniziare a fare domande.

«Forse» mi limito a rispondere, sperando di scoraggiarla.

«Come vi siete conosciuti esattamente?»

Come pensavo. Adesso che siamo sole, vuole sapere.

«Amici in comune. Poi una sera mi ha chiesto di prendere un caffè e da lì è iniziato tutto.»

«Iniziato cosa? Siete soltanto amici?»

«Sì. Ma perché sembra così strano?»

«Perché ti conosco, e ho visto come lo guardi.»

Un mese fa ho litigato con Sonia. Non le chiederò mai scusa, stava diventando troppo invadente e non credo d'aver sbagliato. Anche lei continuava a fare pressioni affinché io ammettessi di provare qualcosa, e nonostante le avessi spiegato più volte qual è il territorio in cui si muove Tyler, sembrava meno importante di una ipotetica relazione.

Adesso mia madre, senza chiedermi se mi ci trovi bene, se con questo ragazzo riesca a parlare, si preoccupa soltanto di possibili sentimenti.

«Non hai pensato che magari mi ci trovi bene perché mi ascolta?» chiedo nervosamente.

«Il fatto che provi qualcosa non lo esclude.»

«No, ma sembra che a tutti importi solo che tra me e lui nasca una relazione.»

«No Aurora, ho soltanto paura.»

Le ultime parole mi colgono impreparata. Credevo che Tyler le piacesse.

«Paura di cosa?»

«Sai che ti voglio bene e voglio che tu sia felice, ma anche se Tyler sembra un bravo ragazzo, sei sicura che sia una scelta saggia?»

«Mamma dimmi dove vuoi arrivare.»

Sento la rabbia crescere.

«Non voglio arrivare da nessuna parte, ma non credi che dovresti imparare a gestire meglio queste cose? Quando tra te e Marco è finita, ho visto come sei stata. Ho avuto paura che potessi...» lascia la frase in sospeso. È la goccia di troppo.

«Dai, dillo. Potessi cosa? Tornare in clinica?»

«Aurora non ti arrabbiare per favore, stiamo soltanto parlando.»

«Parlando? Ma ti ascolti? Non ti importa che io viva o che abbia delle relazioni. A te interessa soltanto che io mangi, nient'altro! Hai idea di quanto sia brutto per me?»

Mi alzo dal divano, decisa ad andarmene.

«Che male c'è se una madre vuole che sua figlia stia bene?»

Prima di uscire, in risposta alla sua ultima domanda, mi volto a guardarla. I suoi occhi lucidi chiedono di rimanere, di tranquillizzarla con qualche parola di conforto. Ma non è lei a doversi sentire offesa, così decido di andarmene senza aggiungere altro.

Una volta in strada, inizio a camminare. Se Tyler non vorrà vedermi, bene, non scriverò ancora. Se invece dovesse arrivare, è obbligato a percorrere questo tratto.

Non riesco ancora a credere alle parole di mia madre. So che non ha mai compreso, so che per lei non c'è nulla di complicato, ma chiedermi di non vivere per paura che possa soffrire, è qualcosa su cui non posso sorvolare. Preferisce l'attrice, non vuole vedere nemmeno lei, al pari degli altri, cosa si nasconde sotto il trucco.

Una macchina si ferma al mio fianco.

«Che ci fai qui?» chiede Tyler abbassando il finestrino.

«Cammino.»

«Sali.»

Prendo posto, anche se forse non dovrei.

«Va tutto bene?»

«Tyler, non va tutto bene. E poi ti sembra normale non farti sentire?»

«Hai ragione, dovevo scriverti. Ma sai, sono stato un po' impegnato.»

Soltanto adesso noto che la mano destra presenta delle ferite sulle nocche.

«Che è successo?»

L'ombra di AuroraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora