A quanto pare, contro ogni aspettativa, conoscerò suo padre.
«Tyler, io mi vergogno. Devi prepararmi a certe cose, non so mai come comportarmi.»
«Ti ho già spiegato che perderemo una decina di minuti. Il tempo di un caffè e via.»
«Ma dovrete parlare di cose vostre, mi sento di troppo.»
Sospira profondamente, esasperato dal mio discorso che, da quando siamo partiti, verte soltanto sull'imbarazzo che di certo proverò.
«Se fossi di troppo, ti porterei? E poi non è un segreto di stato, devo semplicemente prendere da lui dei soldi che mi spettano. Che fastidio puoi dare?»
«Magari lui ne sarà infastidito.»
«Se non vuoi venire dimmelo adesso. Torno indietro, ti porto a casa, e vado da solo.»
«Non è questo, certo che voglio farti compagnia.»
«Perfetto. Allora smetti di preoccuparti e rilassati.»
Cerco di assecondarlo, lasciando che la curiosità assuma un'importanza primaria.
Voglio vedere se tra loro ci sono delle somiglianze, e anche il modo in cui Tyler si comporta quando è in sua compagnia. Non so che tipo d'uomo mi troverò ad osservare, sono soltanto consapevole che il loro non è un rapporto comune. Più che un padre, Tyler ne parla come fosse un amico con il quale litiga spesso e, per me che non riesco a parlare di nulla con i miei genitori, questo tipo di legame è difficile da comprendere.
«Lo chiami per nome? Non ricordo se me l'hai mai detto.»
«Sì, mai chiamato papà. Lui per me è Enzo.»
«Mai? Nemmeno da piccolo?»
«Da quel che dice mia madre, era lui a non volere. Lo faceva sentire vecchio, così sia a me che a mia sorella ha insegnato a chiamarlo per nome. Anzi, addirittura con un'abbreviazione, perché si chiama Lorenzo.»
Prima che possa fare altre domande, Tyler accosta.
«Siamo arrivati, è il bar di fronte.»
L'agitazione torna prepotentemente, spodestando la curiosità.
Scendiamo dalla macchina e ci dirigiamo ad uno dei tavolini posti all'esterno del bar.
Un uomo, molto più giovane di quanto mi aspettassi, si alza per salutarci non appena lo raggiungiamo.
Saluta Tyler chiamandolo "campione", poi si volta verso di me.
«Piacere, Enzo» dice stringendomi la mano.
«Aurora.»
Ci sediamo, ordiniamo tre caffè, e Tyler inizia subito a parlare con il padre.
«Non ho capito che hai detto per telefono. Dovrete fare dei lavori in un supermercato?»
«Sì, uno dev'essere ampliato. Però non c'è la certezza sul periodo, è tutto campato in aria.»
Iniziano a parlare di lavoro, ed io mi diverto ad osservarli. Se l'attenzione non si sposterà su di me, riuscirò a rimanere tranquilla.
Si somigliano, almeno per quanto riguarda il tono di voce e alcuni tratti del viso. La corporatura è differente, Tyler tra i due sembra il padre. Quel che fa impressione, però, è il modo in cui entrambi fumano. Le movenze sono identiche, sotto ogni minimo aspetto.
Arrivano i caffè e questo interrompe il loro discorso.
«Ma Aurora, sicura di non volere altro?» mi chiede Lorenzo, che nemmeno nella mia testa riesco a chiamare con un diminutivo.
«Sicurissima, la ringrazio.»
«Dammi del tu, altrimenti mi fai sentire vecchio» dice sorridendo.
«Va bene, ci proverò.»
Tyler riprende il discorso che il cameriere ha interrotto, e mi domando se lo abbia fatto per evitare che io possa vergognarmi, o perché non vuole che suo padre insista affinché ordini qualcosa di diverso da un caffè. Qualunque sia la ragione, sono felice del suo intervento.
Voglio poter rimanere ad osservarli, perché nel loro modo di comunicare c'è qualcosa di singolare.

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L'ombra di Aurora
RomantikAurora, costretta a 17 anni in una clinica per disturbi alimentari, decide di trovare un compromesso per non rimanere sotto osservazione. Le sue scelte la condurranno lungo un cammino costellato di menzogne, dolore, rabbia taciuta e finte gioie, fin...