Capitolo 47

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Ha deciso di fermarsi fuori casa mia.

Da circa mezz'ora non dice niente, nemmeno una parola. Gioca con lo stereo, passando da una canzone all'altra di una pennina che, per la mia conoscenza in materia, contiene brani che non sapevo esistessero. Ascolta quasi esclusivamente musica italiana, che a suo dire si sta perdendo. È triste che nessuno dedichi più, ai grandi del passato, l'attenzione che ancora oggi meriterebbero.

«Non hai intenzione di cedere, vero?»

«Esatto. Non scenderò dalla macchina fin quando non dirai quel che devi.»

«Sei incredibile Aurora, davvero. E se ti chiedessi io di andare?»

Perché dovrebbe farmi questo? perché tormentarmi così?

«Saresti un idiota, Tyler.»

Si volta a guardarmi, ma i suoi occhi non riescono a reggere lo sguardo. Torna a concentrarsi su un punto indefinito, ed io continuo a nutrire la speranza che, forse, a causargli tanto imbarazzo sia il pensiero di affrontare i suoi sentimenti.

«Aurora, se solo tutto non fosse così complicato, se io avessi un altro carattere...Come puoi chiedermi di parlare quando non so cosa dovrei dire?»

«C'è differenza tra non sapere che parole usare e non sapere se una cosa si vuole dire o meno. Qual è la tua situazione?»

«Non ha importanza, il risultato non è poi così diverso.»

Sento una lacrima salire. La reprimo, provando a sostituire la delusione con la rabbia.

Il ristorante, una cena così tranquilla, deve avergli fatto dire qualcosa di cui si è pentito subito. E adesso, di fronte a me che pendo dalle sue labbra, non trova il coraggio di ammetterlo.

Non riesco a pensare ad altri motivi, non può essere così insicuro da non rendersi conto di cosa provo.

La paura del rifiuto è quindi da escludere, così come il disagio provocato dallincertezza.

«Aurora, io...»

«No» gli impedisco di finire «Non dire altro. Grazie per avermi offerto la cena Tyler, adesso si è fatto tardi.»

Scendo dalla macchina, sperando di sentire la sua mano afferrarmi per impedirmi di andarmene. Ma lui non si scompone, lasciandomi andare, impedendomi ancora di farmi del male.

Chiudo lo sportello e mi dirigo verso casa, rendendomi conto soltanto adesso di quanto fossi distante.

La rabbia, la vergogna, il dispiacere, la delusione...Tutto si mescola creando qualcosa che non avevo mai provato, e mi sento quasi morire nei passi che rimangono. In quell'auto ho lasciato le mie speranze di poter essere per lui qualcosa in più, qualcosa di diverso da una povera ragazza in cerca daiuto.

«Aurora, aspetta.»

È sceso dall'auto e se ne sta lì a fissarmi, irrequieto e apparentemente spaventato.

«Cosa vuoi?»

«Per favore, torna in macchina.»

Mi volto di nuovo verso casa mia, certa di non volerlo assecondare.

«Aurora, credimi, ne varrà la pena. Ti fidi di me?»

Mi blocco. Una delle poche cose che so sul suo conto è che non ama fare del male.

Che motivo avrebbe adesso, dopo aver certamente compreso ogni cosa, dopo aver chiarito ogni suo possibile dubbio, chiedermi di rimanere?

Lotto con un improvviso accenno di amor proprio, che vuole impedirmi di farmi del male.

Lotto contro il desiderio di distanziarmene per impedire a me stessa di ferire il ragazzo che amo.

Lotto contro ogni cosa, ma mi arrendo al ricordo di una cena, e alla totale assenza di pentimento per ogni attimo fino ad ora vissuto.

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«Se pensi che faccia troppo freddo, possiamo sempre tornare in macchina.»

«Sto benissimo, sai quanto mi piace questo posto. Rimarrei anche se nevicasse.»

Siamo di nuovo alla nostra panchina, ad osservare un panorama che non mi stancherei mai di ammirare. Mi ha voluto portare qui, dicendo che era l'unico posto in cui sentiva di poter stare tranquillo.

«Aurora, sai come ho conosciuto questo posto? Non è stato per caso, ma perché pensavo che, trovando un posto in cui nessun altro andava, mi sarei sentito meno solo. Così ricordai di questa panchina, di quando da piccolo me ne parlò mio padre, e decisi di vedere se, in lei, avrei trovato una compagna. Così è stato. Non odiarmi se non riesco ad esprimermi, ma davvero non so come si fa, non quando qualcosa mi sta particolarmente a cuore.»

«Io ti sto particolarmente a cuore?» chiedo invitandolo a guardarmi.

Accetta l'invito e, quando si volta, prende il mio viso tra le sue mani, facendomi sentire tanto fragile da provare per un attimo la sensazione di aver perso i confini del mio corpo.

Poi, senza rispondere alla mia domanda, poggia le sue labbra sulle mie.

Qualcosa dentro di me esplode. Vorrei quasi piangere ricambiando il suo bacio, vorrei non aver mai conosciuto altro respiro.

Porto le mie mani sul suo viso, sperando di trasmettere tramite esse il desiderio di non separarmi più da lui, di non privarmi nemmeno per un istante dell'amore che provo.

Questo ha il sapore del primo bacio, il bacio che attendeva di essere dato dalla vera Aurora.

Continuiamo a scambiarci la silenziosa promessa, sotto un cielo che da oggi definisco anche mio.

L'ombra di AuroraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora