Capitolo 5

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Nonostante l'inizio della serata fosse stato disatroso, adesso sembrava andare meglio. Victoria si era dimostrata piuttosto simpatica, sicuramente di più di quello che aveva dato a vedere il fratello. E dovevo dire che anche alcuni piloti si erano dimostrati simpatici; Lando Norris, dopo aver superato lo stupore del mio lavoro in Ferrari, si era presentato con un gran sorriso e mi aveva dimostrato, che la sorpresa della mia presenza nel team della rossa, non fosse per il mio sesso, ma semplicemente perché si solito si vociferava mesi prima sulle new entry all'interno del paddock. Daniel Ricciardo, che nonostante fosse uno dei più grandi, sapeva divertirsi molto meglio dei giovani. E Pierre Gasly, che nonostante fosse uno dei più timidi, si era fatto avanti notando la mia difficoltà dopo il battibecco con Max Verstappen.
Charles, invece, dopo aver preso 'le mie parti', si era limitato a parlare con gli altri e a non sfiorare, neanche per sbaglio, il mio sguardo. Era tornato quello di sempre, quello che aveva detto chiaramente di sparire dalla sua vita.

Adesso eravamo tutti e sei seduti ad un tavolino di quello, che avevo capito, ormai, essere un privé di quel locale. Si erano aggiunti anche Max Verstappen e Carlos Sainz. Con quest'ultimo c'era stata solo una presentazione veloce, prima che sparisse nel nulla. Ma mi avevano spiegato che aveva da poco cambiato team, e che fosse ancora agitato per la paura di non riuscire ad adattarsi in fretta alla nuova macchina. Perciò, a volte, preso dall'ansia, si distaccava dal gruppo e cercava di calmarsi. Sapevo che fosse una cosa passeggera, visto che era il compagno di Charles e che quindi lavorava per il mio stesso team. Avevo avuto modo di vedere quanto anche lui fosse bravo come pilota. Perciò, quando era ritornato tra noi, con un sorriso sulle labbra, fui contenta che apparentemente sembrasse tranquillo. Non aveva nulla di cui preoccuparsi.

Mi era stato spiegato, poi, da Victoria, che ogni tanto organizzavano queste serate, con tutti i piloti insieme, per sbollire la tensione che si creava tra essi in pista. Vi era una regola, non scritta, all'interno della formula 1, che, però, ovviamente non tutti riuscivano a rispettare: bisognava scindere ciò che accadeva in pista, dalla vita reale, e così viceversa.

L'atmosfera sembrava finalmente calma. Tutti stavamo parlando tra noi, in completo relax. Ma ovviamente non si poteva mai essere tranquilli con Max Verstappen.
"Scusate un attimo" alzò la voce per attirare l'attenzione di tutti i presenti. Gli sguardi si puntarono sulla sua figura, alcuni confusi, altri consapevoli del fatto che non ne sarebbe uscito nulla di buono.
"Prima, Catherine, non ci ha spiegato qual é il suo ruolo nel team Ferrari. Sono curioso" continuò tornando all'attacco nei miei confronti. Non riuscivo a capacitarmi del perché ce l'avesse tanto con me. Non lo conoscevo e lui non conosceva me, ma si divertiva, lo stesso, a cercare di mettermi a disagio davanti a tutti loro. Ma non sapeva, che con me, non sarebbe mai riuscito nel suo intento.
"Non penso siano affari tuoi" risposi senza lasciar trasparire alcuna emozione dal mio tono di voce. Cercai di ignorarlo, tornando a prestare attenzione a Victoria, che mi aveva posto una domanda sul college che avevo frequentato. Ma la mia provocazione non aveva fatto demordere il pilota numero 33, che ancora più ostinato, decise di insistere.
"Era semplice curiosità. Penso che tutti a questo tavolo se lo siano chiesto" disse continuando a cercare di farmi irritare. Ma ottenne l'esatto opposto. Un sorriso spuntò sulle mie labbra. Mi divertiva il suo tentativo inutile di farmi sentire sotto pressione. Prima che potessi ribattere, però, qualcun altro intervenne.
"In realtà no, Max, te lo stai chiedendo solo tu" rispose Ricciardo, altro pilota della McLaren e ex compagno di Verstappen, cercando di farlo smettere. Se c'era qualcuno che conosceva bene Max, questo era proprio l'australiano.
"Non ci crede nessuno Dan" ribatté l'olandese, ignorando la risposta del pilota numero 3, che risultava più un incitazione nei suo confronti per farlo demordere dal continuare.
"Max smettila" lo ammoní la sorella. Ma neanche lei riuscì a farlo tacere. Anzi, aumentò la fierezza del fratello. Più lo ammonivano per il suo atteggiamento, più il suo ego cresceva.
"Non sto facendo niente di male. Ho fatto una semplice domanda" disse, infatti, alzando le mani davanti a sé come segno di difesa e abbozzando un sorriso sempre più grande sulle sue labbra.
"E io ti ho dato una semplice risposta, che tu non hai accettato" intervenni di nuovo io, continuando a mantenere la calma. La miglior arma, come ormai avevo capito da parecchi anni, era la non curanza. Questo era ciò che mi ripetevo sempre come un mantra.
"Non l'accetto perché non ci vedo niente di male a dire che lavoro fai nel team della rossa. Non penso tu sia la loro puttana, quindi perché evadere così la domanda?! Aspetta, non è che lo sei?"
A quel punto scese il gelo su tutto il tavolo. Dovetti contare fino a 100 e ripetermi nella mia testa di mantenere la calma, per trattenermi dal fare qualcosa di stupido. Era questo che voleva, probabilmente. Portarmi al limite. Ma quando il pilota del team di cui facevo parte, si alzò infuriato, una lampadina si accese nel mio cervello. Verstappen aveva fatto tutto ciò, non per istigare me, ma per portare al limite Leclerc. A quanto pare sapeva benissimo quale fossero i suoi punti deboli. E questo era uno di quelli.
"Ok, adesso ne ho abbastanza" disse alzandosi furioso dalla sedia e dirigendosi verso Verstappen, pronto a partire all'attacco. Ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, Gasly e Ricciardo, intervennero fermandolo.  E mentre i due piloti cercarono di tenere a bada il monegasco, in preda ormai alla collera, mi alzai con tutta la calma possibile e mi avvicinai, faccia a faccia, al pilota della Redbull.
"Sai, se volevi cercare di mettermi a disagio o di incutermi qualsiasi timore, ti informo che non ci sei riuscito. Le tue parole non mi toccano proprio. Ma una cosa lasciatela dire, caro Max: devi essere un uomo talmente piccolo e insicuro per screditare così una donna" dissi in tono di scherno e scandendo bene ogni parola per far sì che il messaggio venisse recepito. Ottenni ciò che volevo. Stupore e rabbia si fecero spazio nei suoi occhi e gli diedi il colpo di grazia, quando invece di aspettare una sua risposta, con tutta la tranquillità che mi contraddistingueva, e che per alcuni poteva cozzare con le parole che quel ragazzo aveva pronunciato, gli diedi le spalle e tornai a sedermi nello stesso posto in cui ero seduta prima.
Impreparato da quella mia reazione, non sapeva che fare. Restai a fissarlo con un sorriso divertito mentre probabilmente nella sua testa stava rielaborando ciò che era appena successo. Pochi minuti dopo, si guardò intorno e quando vide tutti guardarlo in attesa di un qualsiasi cenno, furioso per essere rimasto senza parole, digrignò i denti, e, voltandoci le spalle, uscí velocemente dal locale.

"Catherine, sono davvero dispiaciuta per il comportamento di mio fratello" disse Victoria, dopo qualche minuto dall'accaduto. Mi voltai a guardarla confusa, trovandola a testa bassa, come se fosse lei la colpevole di tutto ciò.
"Ehi, non ti devi preoccupare. La colpa non è tua" dissi mettendole una mano sulla spalla per consolarla e costringerla ad alzare la testa e riportare lo sguardo sul mio.
"Ma se non ti avessi costretta a venire, non sarebbe successo tutto questo" continuò a darsi la colpa e a sentirsi in imbarazzo.
"Victoria, è tuo fratello, ma non devi rispondere tu delle sue azioni. Non potevi sapere che sarebbe successo tutto questo" risposi, e finalmente sembrò stare meglio. Tornò a stare dritta e riacquistare un po' della sua determinazione.
"È sempre così. Non riesce a tenere mai a freno quella cavolo di lingua e questo pregiudica anche le mie amicizie" spiegò sbuffando. Mi dispiaceva per lei. Avere un fratello del genere, non era facile. Era ingestibile e a tratti fuori di testa.
"Beh, è una persona complicata e leggermente sfacciata, ma se le tue vecchie amicizie si sono lasciate intimorire, probabilmente non meritavano di essere definite tali" risposi alzando le spalle. E a quel punto sorrise. Lo pensavo davvero, se quelle persone l'avevano abbandonata solo per quel motivo, non meritavano di continuare ad avere la sua intenzione. La ragazza al mio fianco, non aveva niente a che fare con l'atteggiamento del fratello. E solo uno stupido, poteva lasciarsi condizionare da questo.
Un pensiero nacque dentro di me, in quel momento.
Forse essere amica di Victoria Verstappen, non sarebbe stato male.

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Io e l'olandese stavamo parlando tranquillamente, dopo ciò che era successo. Tutto sembrava essere tornato alla normalità, e a quel tavolo non si apriva argomento sull'atteggiamento del pilota numero 33.
Solo uno però, sembrava ancora completamente annebbiato dalla rabbia.
Quando, infatti, il pilota numero 16, tornò al tavolo seguito da Riccardo e Gasly, a stento riusciva a trattenere la voglia di uscire da quel locale e andare a cercare l'olandese.
Ciò che era uscito dalla bocca dell'olandese, era veramente stato disgustoso, ma non riuscivo a spiegarmi questa reazione di Charles. Noi due, non avevamo quel rapporto per cui lui potesse sentirsi toccato da quelle parole che erano state rivolte nei miei confronti. Ma poi pensai che probabilmente voleva difendere le donne in generale, perché qualsiasi uomo avrebbe dovuto astenersi dal denigrare una donna in quel modo.
Si, sicuramente era per questo.
Ma nonostante ciò, mentre parlavo con la sorella del pilota della Redbull, non riuscivo a non guardare con la coda dell'occhio il monegasco. Sembrava immerso nei suoi pensieri e non prestare attenzione, realmente, alla conversazione con Lando e Pierre.
Quando si accorse, però, che aveva uno sguardo fisso su di sé, si girò a vedere chi fosse e trovò i miei occhi. Non li distolsi, anche se colta in fragrante. Mi corse un brivido lungo la spina dorsale, che mi fece comparire, su tutto il corpo, anche la pelle d'oca, ma, fortunatamente, nessuno se ne accorse. Continuai ad esaminare il suo sguardo, e il tormento, che vi leggevo dentro, mi lasciò senza parole. Corrucciai le sopracciglia, chiedendomi quale fosse la causa di tutta quella rabbia che vedevo repressa dentro di sé. E quando si accorse che lo stavo studiando, creò un muro tra noi, negandomi l'accesso ai suoi sentimenti. Tornò ad essere indifferente e probabilmente preoccupato per il fatto che fossi riuscita a guardargli, anche se per poco, dentro, si alzò dalla sua sedia e senza salutare nessuno, uscì, di nuovo, e, stavolta definitivamente, dal locale.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora