Capitolo 73

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Quella domenica mattina mi ero svegliata con una brutta sensazione addosso. Come se qualcosa di lì a poco sarebbe successa. Avevo cercato di metterla da parte e di apparire tranquilla a Charles. Non volevo mettergli preoccupazioni inutili con il mio umore altalenante. Aveva una gara da correre quel giorno. Doveva rimanere concentrato. Soprattutto per una gara che si era mostrata difficile per il nostro team fino a quel momento. Purtroppo le qualifiche non erano andate bene per entrambi i piloti. Certo, Charles era riuscito a qualificarsi almeno per il Q1 e partire dalla settima posizione, mentre Sainz purtroppo aveva guadagnato solo un quindicesimo posto. In ogni caso, però, non era ciò a cui aspiravamo. Il circuito di Ungheria era sempre stato uno dei più favorevoli per la nostro monoposto, ma ormai avevamo capito che quell'anno nulla sarebbe stato come ci aspettavamo. Tutto stava andando a rotoli e non potevamo fare nulla per cambiare la situazione.
Tra l'altro, ieri, oltre a rubarci un bacio, di nascosto da tutti, non avevamo potuto fare niente. Anche solo scambiarci due semplici parole non era stato possibile.
Binotto aveva indetto una riunione di emergenza per cercare di migliorare la situazione. Il che aveva costretto sia i meccanici che tutti i membri del team a rimanere nel paddock fino a tardi per modificare alcune cose nella macchina.
I piloti, invece, dopo un certo orario, erano stati mandati via per riposare e per poter affrontare al meglio la gara. Quindi oltre a scambiarci uno sguardo furtivo, non avevamo avuto modo di fare altro.
E la stessa cosa valeva quella mattina.

Leclerc era dovuto uscire presto dall'hotel per incontrarsi con il suo preparatore atletico, Andrea. E subito dopo aveva dovuto subire i procedimenti abitudinari del pregara. Io, invece, mi ero potuta svegliare ad un orario decente dopo le ore passate a lavorare durante la notte e, quando ero arrivata ai box, Charles non era lì. E non l'avevo visto ancora.

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Ero impegnata a parlare con un membro del team delle strategie, cercando di capire se le condizioni di quel giorno della pista ci permettevano di usare le strategie a noi più favorevoli. E proprio in quel momento Charles fece il suo ingresso.
Cercai di non fissarlo e di continuare a prestare attenzione al mio interlocutore, ma il fatto che il monegasco portasse gli occhiali da sole, e che quindi non potessi vedere dove fosse indirizzato il suo sguardo, mi innervosiva, e anche parecchio. Ero consapevole di essere impazzita. Catherine Smith che vuole che un ragazzo le presti attenzione non era una casa da tutti i giorni. Anzi, non era mai successa. E non pensavo neanche che potesse mai accadere. Ma era così. Quel ragazzo aveva stravolto ogni mia certezza.

Invece che continuare dritto davanti a sé, si avvicinò a dove eravamo noi. Per un attimo il terrore che si avvicinasse anche solo per parlare di lavoro, mi investì. Tutti sapevano che non andavamo d'accordo e che apparentemente non era possibile una conversazione civile tra noi. Quindi, se anche solo mi avesse rivolto la parola di sua spontanea volontà, la cosa sarebbe stava strana agli occhi di chiunque ci osservava.
Al contrario di ciò che mi aspettavo, però, Charles non si fermò. Proseguì alle mie spalle senza degnarci di uno sguardo. Una cosa però la fece. E nessuno la notò. Proprio nel momento prima di sorpassarmi, attento a non farsi vedere, sfiorò la mia mano delicatamente. E seppi che era il suo modo di farmi sapere quanta voglia avesse di stare solo noi due, lontani da tutto e da tutti.

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Non ci eravamo più scontrati con il pilota numero 16 e ora, prima della partenza del Gran Premio, vedevo dai monitor del box il momento in cui si infilava il casco. Era pronto ad entrare in macchina, concentrato al massimo. Si poteva capire dal suo sguardo determinato che potevo osservare visto che la visiera era ancora alzata.
Entrò in auto facendo un lungo respiro, come a voler togliersi di dosso un po' di tensione che era normale avere prima di ogni partenza.
In me, invece, quella sensazione della mattina, tornò ancora più prepotente. È come se sapessi che di lì a poco sarebbe successo qualcosa che nessuno si aspettava.
Mi auguravo davvero che fosse solo semplice ansia, ma era raro che succedesse. Certo la paura che a Charles sarebbe potuto accadere qualcosa, dato il rischio che correva ogni volta salendo su quell'auto, si poteva definire normale, anche soprattutto dopo ciò che era nato tra noi. Ma era diverso quello. Era molto diverso.

Cercai di calmarmi, facendo dei lunghi respiri. Poi a passo lento e deciso, mi diressi verso il muretto. Non guardai nessuno e mi infilai le cuffie senza dire una parola. Agli occhi degli altri potevo sembrare imperturbabile. Concentrata sulla gara. Ma in realtà dentro avevo una tempesta in subbuglio.

Ormai era tutto pronto. Il giro di formazione era appena terminato, e quando l'ultima monoposto prese posto sulla griglia di partenza, la bandiera verde fu sbandierata.
Nel momento in cui il semaforo si spense i piloti spinsero sull'acceletarote. Charles aveva un buono spunto, ma ovviamente quella sensazione che sentivo non fu sbagliata. All'arrivo della prima curva, davanti Bottas fece una manovra un po' azzardata, frenando tardi e colpendo l'auto di Norris che fu trascinato e costretto a colpire anche Verstappen. Ma ciò che accadde dietro fu anche peggio.
Il pilota numero 16 aveva l'interno. E così facendo a destra non poteva superarlo nessuno. Soprattutto se significava passare sull'erba, dove il grip delle ruote era altamente negativo. Eppure quel giorno Stroll non era dello stesso parere.
Nessuno se lo aspettava, nessuno se lo sarebbe mai immaginato, ma il canadese decise proprio di passare a destra, guidare sull'erba. E ovviamente perse il controllo dell'auto colpendo l'autovettura di Charles che sfiorò anche quella di Ricciardo.

Restai con il fiato sospeso. Non per la paura che Charles non stesse bene, perché aveva già risposto ai team radio, ma per il terrore di essere consapevole che sarebbe potuta andare molto peggio. Non si poteva correre così. Non si poteva rischiare in questo modo. Cavolo, guidare sull'erba era da pazzi. Infilarsi in spazi come quelli per sorpassare era da incoscienti. Va bene il coraggio, il rischio, l'adrenalina, ma quello era troppo. Permettere ai piloti di poter fare una cosa del genere era inaccettabile. E non lo pensavo solo perché era stato Charles a subirne le conseguenze. Lo avrei affermato per qualsiasi altra persona che si sarebbe ritrovata nella stessa situazione.
Perciò quando Leclerc uscì dall'auto arrabbiato, non potei far a meno di sentire anche io la rabbia crescere dentro me.
E anche se Lance, dopo aver provato a rientrare i box per riparare i danni, era stato costretto a ritirarsi, non potei far a meno di sentire la voglia di correre da lui ed insultarlo. Fargli capire quanto fosse stato stupido a fare una mossa così azzardata.
E lo avrei fatto. Mi sarei alzata e gliene avrei dette quattro davanti a tutti. Al costo di farmi cacciare dal paddock. Ma non ne avevo avuto modo. Perché era passato del tempo da quando stavo rimuginando se alzarmi o meno da quello sgabello. E proprio quando mi ero decisa finalmente, Charles era tornato ai box e ci stava già pensando lui ad andare dritto da Stroll.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora