Quella mattina mi svegliai senza il pilota numero 16 al mio fianco. Ieri, dopo le qualifiche, era completamente sparito. Avevo provato a cercarlo ovunque. Nel suo motorhome, per tutto il paddock, nella sua stanza di hotel, ma niente. Non sapevo neanche quante chiamate senza risposta erano partite dal mio telefono. Ad un tratto, forse stanco della mia insistenza, aveva addirittura spento il telefono. E allora ho smesso. Ho fatto un passo indietro e mi sono detta che aveva bisogno di tempo. Aveva bisogno di calmarsi e di sfogare la sua rabbia lontano da me.
Non potevo negare, però, la delusione di questa sua scelta. Volevo si aprisse con me. Che mi rendesse partecipe di qualsiasi cosa gli stesse frullando nella sua testa. Della rabbia, della tristezza, di qualsiasi emozione lo stesse investendo in quel momento.
Avevo paura non si fidasse di me. Che avesse cambiato idea. Che fosse stanco. Non sapevo più a cosa pensare. Ma non volevo neanche creare un caso per niente. Magari voleva davvero solo stare da solo. Eppure la sensazione che qualcosa stesse succedendo, non voleva lasciarmi in pace. Sentivo come se per tutto questo tempo avessi ignorato delle questioni importanti. Che mi fossero sfuggiti dei dettagli.
Mi alzai dal letto ripetendomi di restare calma, di concentrarmi sulla gara. E fu quello che feci nonostante, una volta arrivata ai box, Charles fosse già lì e non mi avesse degnata neanche di uno sguardo, quando sapeva per certo che fossi arrivata.
Mi concentrai sul lavoro e basta. E quando partì la gara, mi rinchiusi nei box insieme ai meccanici. Se non voleva gli stessi vicino, non lo avrei fatto. Perciò non sarei stata al muretto con la sua voce nelle cuffie e la tentazione di aprire il collegamento via radio.
Seduta su una sedia, lì dentro, parlai solo quando fu il momento di farlo rientrare. Non c'erano possibilità per noi di migliorare la quinta posizione. Così sarebbe finito il Gran premio e quando la macchina fu parcheggiata all'inizio della pitlane, aspettai. Lo feci almeno per mezz'ora ancora seduta nello stesso posto. Quando la consapevolezza che non lo avrei visto rientrare, mi raggiunse, mi alzi e, sospirando, lasciai il circuito.
Per il secondo giorno mi aveva esclusa e, nonostante cercassi qualsiasi cosa a cui appellarmi per giustificarlo, non ci fu niente capace di spazzare via il dolore che sentivo crescere in me.
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Se negli ultimi Gran Premi avevo viaggiato con Charles sul suo jet privato, quel lunedì mattina decisi di non farlo. Non perchè non lo volessi, semplicemente non sapevo se lo volesse lui. Non avevo intenzione di essere invadente e nei giorni precedenti aveva manifestato apertamente la non voglia di vedermi. Perciò non sarei stata invadente e avrei lasciato scorrere ancora un pò di tempo.
Appena atterrai in Italia, insieme a tutta la squadra Ferrari, fummo accolti da una calca di tifosi all'intero dell'aereoporto. Gli italiani non solo erano accoglienti e calorosi, ma anche letteralmente pazzi. Nel senso buono del termine ovviamente. Dovemmo essere scortati verso l'esterno dalla sicurezza e rifugiarci all'interno dei furgoncini oscurati che si trovavano già pronti a portarci all'albergo.
Non sapevo se i piloti della rossa fossero già arrivati, però, quando misi piede nella hall dell'hotel vidi Ricciardo, Norris e Gasly parlare tra loro. Non avevo voglia di parlare con nessuno in quel momento ed ero riuscita ad evitarli, nei giorni passati, restando chiusa in camera. Ma, ora, davanti a loro, non potevo far finta di non averli visti. Diedi un veloce saluto, abbozzando un sorriso che sembrava più una smorfia. Sperai di aver fatto intendere la mia non predisposizione ad intavolare una conversazione ed invece no. Daniel mi avvolse un braccio intorno alle spalle arrestando il mio tentativo di fuggire in camera con la chiave, che mi era stata appena consegnata, ancora in mano.
"Dove eri sparita? E' da tanto che non ti vediamo. Non dirmi che il monegasco ti ha rinchiusa nella torre come Rapunzel" disse in tono divertito l'australiano. E avrei voluto ridere anche io a quelle parole ma non ne ero dell'umore adatto. Non vedevo e non sentivo il pilota della rossa, al di fuori del lavoro, da ormai 3 giorni. Speravo vivamente si rifacesse vivo. Che fosse solo un momento di sconforto in cui voleva rimanere solo. Lo speravo davvero. Ma più il tempo passava, più la speranza scivolava via. Avrei capito un giorno, due, ma se al terzo ancora non tornava da me, ci doveva essere un problema di fondo. Non ero sicura di volerlo sapere.
In un modo o nell'altro, vi dovevano essere sempre problemi tra noi. O per colpa mia, o per colpa sua, finivamo per evitarci e perdere tempo. Io avevo smesso di escluderlo promettendogli di renderlo partecipe delle mie paure ed, ora, era lui a tenermi fuori dai suoi momenti di difficoltà.
"Avevo del lavoro da fare" risposi cercando di far intendere fosse meglio non andare oltre nelle domande. E dalle occhiate che ricevetti da tutti e tre i ragazzi, capii di esserci riuscita. Mentre i due piloti della McLaren, cambiarono argomento cercando di rendere l'atmosfera più leggera, il pilota dell'AlphaTauri continuava a rivolgermi uno sguardo confuso. Avrei voluto dirgli di smetterla. Che non sapevo neanche io cosa stesse succedendo. Anzi, pensai addirittura di chiedergli di indagare sull'amico per capire cosa diavolo stesse succedendo nella sua testa. Ma proprio mentre le parole mi stettero per uscire dalla bocca, sentii qualcuno avvicinarsi e fermarsi al mio fianco. Esattamente tra me e il francese.
Quando aprì bocca per salutare tutti e vidi quanto fosse calmo, la rabbia divampò in me. Mi aveva evitato per tutto quel tempo ed ora faceva finta che tutto andasse bene. Che non fosse successo niente.
Non ce la feci a resistere a quella messa in scena. Rivolsi le spalle a tutti e mi diressi alla mia camera, cosa che avrei volentieri fatto molto prima risparmiandomi questa scena a dir poco ridicola.
Proprio nell'attivo in cui infilai la chiave, mi sentii afferrare per un braccio ed essere tirata contro un corpo. Mi ritrovai davanti due occhi verdi che conoscevo, ormai, fin troppo bene, ma che in quel momento non avevo per niente voglia di vedere.
"Che succede?" chiese quando tentai di liberarmi dalla sua presa. Che succedeva? Come aveva il coraggio di chiedermelo? Era scappato via da me ben due volte. Mi aveva esclusa da un momento difficile. Come poteva far finta di niente? Come poteva non capire il mio dolore?
"Davvero hai il coraggio di chiedermelo?" risposi incredula. Mi sarei aspettata che avesse continuato ad ignorarmi, o peggio, che mi avesse urlato contro per la mia insistenza nel cercarlo. Di certo non mi sarei mai aspettata che quel lunedì sarebbe riapparso comportandosi come se avesse evitato le mie chiamate e gli incontri di persona.
Vidi i suoi occhi cedere leggermente. E li distolse per un secondo prima di riportarli a me e far crollare le barriere che aveva cercato di costruire.
"Mi dispiace essere sparito, ma avevo bisogno di tempo da solo. Ho sfogato tante volte la mia rabbia su di te anche se non c'entravi niente. Questa volta volevo farcela da solo" ammise per poi sospirare frustrato. Ma io capii dal suo sguardo evasivo, dal tono incerto di voce, che non stesse dicendo tutta la verità. Non aveva mai nascosto la rabbia in mia presenza. Le aveva sempre dato libero sfogo. E gli avevo detto parecchie volte che, anche se le parole che tirava fuori, a volte, erano in grado di ferirmi, preferivo soffrire che vederlo reprimere quel sentimento troppo forte da trattenere dentro. Perciò quelle erano solo stronzate.
"So che stai mentendo" esordii tenendo il mio sguardo nel suo "Ma so anche che non sei pronto a dirmi cosa davvero ti ha portato a comportarti così. Posso accettarlo per il momento, come tu hai accettato il mio silenzio parecchie volte. Ti prego di una cosa però. Non isolarti. Non escludermi dalla tua vita. Resta con me. Vieni da me. Anche se non vuoi parlare. Anche se non vuoi spiegare. Condividi il tuo dolore con me anche senza parole, perchè mi fa male pensarti solo ad affrontarlo. Io sono qui, accanto a te, per cercare di alleviarlo, anche se per poco" aggiunsi afferrandogli il viso e creando un contatto tra le nostre fronti.
Non ci fu bisogno di risposte, perchè a darmele furono i suoi occhi. La gratitudine e un altro sentimento a cui non sapevo ancora dare un nome, vi erano riflessi in essi. E il bacio che susseguì poi, mi diede un altro pò di sollievo. Anche se la paura di perderlo, di non riuscire a tenerlo con me, si facevano più vive dopo quell'episodio.
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I Need You // Charles Leclerc
RomanceLei non sapeva cosa volesse dire avere bisogno di qualcuno al suo fianco. Troppo impegnata a lasciare i sentimenti fuori per non soffrire. Troppo sovrastata dalle paure dovute al suo passato tormentato. Puntava solo a eccellere nel suo lavoro. Quell...