Capitolo 34

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Avrei voluto resistere di più, davvero. Ma vederla lì, mentre ballava con Riccardo, ridendo spensierata e senza un goccio di alcool addosso, mi innervosiva, talmente tanto, da farmi venire voglia di strapparmi uno ad uno i capelli. Almeno il dolore fisico avrebbe sovrastato quello interiore. Non riuscivo a capire perché il mio corpo reagisse in questo modo. Ma non potevo più trattenerlo ed ero pronto ad intervenire se Max Verstappen non mi avesse intralciato il cammino.
"Leclerc da quanto tempo" disse con un sorrisetto sghembo sulle labbra. Eccolo qui il momento del suo attacco. Ormai avevo imparato a conoscerlo e a memorizzare le sue mosse. Attirava la sua pedra al momento giusto, per poi tirargli il colpo di grazia. Con il corso degli anni, avevo cercato di imparare ad ignorarlo, ma non sapevo ancora cosa mi avrebbe aspettato quella volta.
"Verstappen, ci siamo visti domenica in gara. Se tu dici che è tanto tempo" risposi ironico. Distolsi un attimo l'attenzione da lui per portarla alle sue spalle. Daniel e Catherine stavano ballando ancora più vicini. Serrai mascella contrariato e non mi accorsi che Max cambiò posizione, spostandosi al mio fianco e guardando nel mio stesso punto.
"Quella ragazzina deve essere un portento a letto, se anche Ricciardo è caduto nella sua trappola" alle sue parole, riconcentrai l'attenzione, di nuovo, sull'olandese. Che cazzo aveva detto?
"Rimangiati le parole, Verstappen" minacciai al limite della mia pazienza. Sapeva benissimo che ero già nervoso, lo aveva capito, e aveva anche indovinato il motivo. Quindi era venuto da me, per innervosirmi ancora di più e ci stava riuscendo alla grande.
"Non è colpa mia se la tua sgualdrina se la fa con tutti i piloti del paddock. Io ti avevo avvisato Leclerc, ma non mi hai voluto ascoltare. Forse hai bisogno di vederlo con i tuoi occhi, forse ci dovrei provare anche io. Magari capiresti quanto poco innocente sia quella ragazza" disse e non ci vidi più, con tutta la forza che avevo, gli sferrai un pugno in faccia. E avrei continuato se qualcuno non mi avesse fermato subito da dietro. Cercavo di liberarmi da chiunque avesse la presa su di me.
"Amico calmati!" sentii dirmi ad un orecchio. E quando capii che si trattava di Daniel, mi infervorii ancora di più, se possibile.
"Lasciami immediatamente!" urlai in preda alla rabbia. E capendo che se non mi avesse mollato, avrei colpito anche lui, mi lasciò andare. Mi girai a guardare l'australiano con sguardo di fuoco. Avevo così tanta voglia di tirare un pugno anche a lui, e sembrava averlo capito, dato che mise le mani davanti a sé, in segno di difesa. Ma non potevo farlo, perché non aveva fatto nulla di male. Perché se davvero gli piacesse quella ragazza, non avevo nessun diritto di intromettermi. Io non potevo dargli niente, perciò dovevo stare al mio posto.
Quando, però, proprio quest'ultima si piazzò davanti a me, afferrandomi per il mento e portando il mio sguardo nel suo, non potei far a meno di pensare che forse non era vero. Che forse potevo lasciarmi andare, che forse non l'avrei fatta soffrire e lei non avrebbe fatto soffrire me. E quando mi fui calmato e mi afferrò la mano, per trascinarmi via da lì, ci credetti ancora di più, e il mio corpo non poté fare altro che seguirla.

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"Dove hai la macchina?" chiese una volta fuori. Non risposi alla sua domanda.
Invertii semplicemente i ruoli e, questa volta, fui io a trascinarla. Non avevo la forza di dire niente, perché ero ancora arrabbiato, e avevo paura che, se avessi aperto bocca, non fosse uscito niente di buono.
Perciò mi limitai a guidare in silenzio verso l'hotel e quando arrivammo, scesi dall'auto e mi diressi verso la mia stanza senza neanche aspettarla. Prima che potessi chiudermi in essa, però, si posizionò tra me e la porta, impedendomi così di aprirla.
"Voglio sapere cosa è successo" disse come un ordine e non una domanda. Il che, in una situazione normale, mi avrebbe fatto ridere, ma in questo momento aumentava ancora di più la mia rabbia.
"Non è successo niente. Ora spostati" dissi cercando di mantenere la calma e sperando che capisse che, in quel momento, avevo bisogno di rimanere solo. Ma lei era più cocciuta di me e non avrebbe lasciato perdere per nulla al mondo.
"Perché gli hai tirato un pugno allora?" chiese ancora, con un sopracciglio alzato in senso ironico. Non riusciva a capire che più faceva così, più il mio autocontrollo si riduceva. In discoteca era riuscita a calmarmi con un solo tocco, ma ora sembrava volermi istigare per lasciarmi sfogare con lei. Doveva essere masochista per volere una cosa del genere. Aveva avuto solo un assaggio della mia collera, e quello che le avevo detto l'altra sera, ne era solo un piccolo accenno. Purtroppo avevo il problema di dire cose che non pensavo in momenti di rabbia. Il cervello si annebbiava non permettendomi di capire più niente. Vedevo tutto nero e qualsiasi cosa mi venisse in mente, usciva dalla mia bocca senza riflettere. Io non volevo ferirla come avevo già fatto, ma se non mi lasciava in pace, l'avrei fatto non intenzionalmente.
"Perché mi andava!" urlai al limite dell'esasperazione. Poi presi un respiro, sotto il suo sguardo indagatore, e cercai di calmarmi.
"Ti prego, Catherine, puoi lasciarmi solo?" chiesi a denti stretti e ad occhi chiusi. Stavo cercando di raccattare tutto l'autocontrollo rimasto all'interno del mio corpo e fare affidamento solo su di esso.
Ma quando parlò, lo persi completamente.
"Non me ne vado, finché non mi dici che è successo"
Riaprii gli occhi di scatto e nonostante in questo momento la stessi fulminando, lei continuava a sostenere il mio sguardo. Non ci vidi più e, come al solito, in questi momenti, persi il filtro tra cervello e bocca.
"È colpa tua cazzo! Mi farai uscire pazzo. Hai ballato in quel modo con Daniel, e io.... Cavolo! Non riesco neanche a spiegare cosa ho provato! Ma di una cosa sono sicuro, se non si fosse materializzato Verstappen, con il suo solito fare da stronzo, quel pugno lo avrebbe preso lui" urlai a pochi centimetri dal suo viso. Appena mi resi conto di ciò che avevo detto e, ancor di più, dopo che vidi il suo sguardo completamente sorpreso, mi pentii all'istante. Non l'avevo ferita, ma avevo confessato qualcosa che sarebbe stato meglio tenere per me stesso.
Mi allontanai da lei, spaventato, le voltai le spalle, chiusi gli occhi e mi maledii dandomi mentalmente dello stupido. Cosa hai fatto, Charles? Lei non doveva sapere che effetto mi facesse. Non potevo creargli e crearmi false speranze. Io per lei, non potevo essere niente e lei per me, altrettanto.
Ma quando mi girai di nuovo, credendo che se ne fosse finalmente andata, la trovai ancora lì, intenta a fissarmi intensamente. E nonostante sapesse che tutto quello che stavamo facendo fosse sbagliato, si avvicinò velocemente a me e posò, con estremo bisogno, le sue labbra sulle mie.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora