Capitolo 29

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Il venerdì delle prove era arrivato e la nostra situazione non era delle migliori. La macchina era troppo lenta, e soprattutto quella di Charles aveva troppi problemi. Durante la sessione mattutina, ma anche quella pomeridiana, il pilota numero 16 aveva provato qualsiasi cosa pur di migliore la situazione. Niente sembrava funzionare e nonostante davanti le telecamere fingesse sorrisi e speranza, che durante la notte ci potessero essere dei miglioramenti, dentro di esse era frustrato ed arrabbiato e già prospettava un weekend pieno di delusioni. Non potevo bisimarlo. Essere positivo, in queste circostanze disastrose, era impossibile.

Fortunatamente, però, il sabato delle qualifiche qualcosa sembrava essere cambiato. Non come ci si aspettava da due Ferrari, ma comunque eravamo riusciti a conquistare qualche posizioni in più. Il quinto posto per Sainz e il settimo per Leclerc. La macchina del monegasco continuava ad avere problemi.

Quello che successe la domenica, durante la gara, fu un altro conto. All'inizio sembrava filare tutto liscio, poi sia la macchina del pilota numero 16, sia quella del numero 55, mostrarono un grave degrado gomme, costringendo Charles a due soste. Qualsiasi strategia decidemmo di fare, non aveva portato a niente, se non ad un misero sedicesimo posto. Lo spagnolo invece riuscì a mantenere l'undicesima posizione. Entrambe le Ferrari erano fuori dalla zona punti. La gara peggiore da inizio campionato. Speravo vivamente che qualcosa cambiasse, perché neanche tutte le tattiche esistenti al mondo, avrebbero potuto fare la differenza con questa macchina, che di buono, non aveva nulla.

Quando Charles rientrò ai box, era furioso. Nei team radio di fine corsa, sembrava essersi trattenuto, ma sapevamo tutti che una volta lontano da occhi e orecchie indiscrete, avrebbe fatto uscire fuori il suo vero stato d'animo.
Ciò che mi stupì però fu il suo sguardo colmo di rabbia puntato su di me. Capii all'istante che sarei diventata io la sua valvola di sfogo. Mi preparai mentalmente alla sua sfuriata. Certo, non era colpa mia ciò che era successo e avrei risposto a tono alle sue accuse, ma se potevo fargli scaricare un po' della frustrazione che aveva addosso, l'avrei fatto.
"Tu sei pagata per creare delle strategie che aiutino a guadagnare posizioni, non perderle" disse a denti stretti, quando fu faccia a faccia con me. Il suo sguardo sembrava volermi dare fuoco all'istante, ma non mi lasciai intimorire. Restai in silenzio per il momento, perché sapevo che ignorandolo, lo avrei provocato ancora di più.
"Che cosa avevi nella testa quando mi hai chiesto di rientrare per la seconda volta?! Sono arrivato sedicesimo cavolo! Neanche un cavolo di punto e tutto per colpa della tua stupida strategia!" urlò furioso, avvicinandosi ancora di più al mio viso. Sorrisi divertita, scatenando in lui ancora più rabbia.
"Che cazzo hai da ridere?" chiese strattonandomi per un braccio. Stava perdendo il controllo, ma sapevo che non sarebbe andato oltre. Non lo avrebbe mai fatto. Semplicemente si sentiva preso in giro, e il fatto che aveva avuto una gara così deludente, lo rendeva vulnerabile.
Tutti ci guardavano con circospezione, pronti ad intervenire se Charles avesse superato il limite, ma non ce ne era bisogno. Infatti, tornando seria, decisi finalmente di parlare.
"Non rido. Trovo divertente il fatto che tu dia la colpa a me. Più di questo non potevo fare. Il problema era meccanico e io non mi occupo di quello" risposi calma, ma comunque con tono deciso. Non rispose per un paio di minuti, durante i quali, continuava a tenermi per il braccio con una presa ben salda e a guardarmi come se volesse sbranarmi. Sembrava non aver neanche sentito le mie parole, come se stesse avendo una lotta interiore. Non sapevo per cosa però. Che cosa stava passando per la sua testa? Era così difficile comprenderlo, perché era così scostante con me. Mi usava sempre come caprio espiatorio per tutto ciò che sembrava andargli male. Però poi sembrava anche provare un attrazione fisica per me. Lo dimostravano i baci che c'eravamo scambiati fino ad ora. E avremmo potuto fermarci alla prima volta, se veramente pensassimo che fosse stato un errore. Ma abbiamo continuato a farlo.
Anche ora a questa distanza ravvicinata e con il suo sguardo di fuoco nel mio, il mio corpo richiama il suo, come il suo richiedeva il mio. Ma ciò che ci salvava, o forse ostacolava, erano le nostre menti, intrise di paura per quello strano bisogno che avevamo l'uno dell'altro. E nessuno dei due, per dei traumi subiti in passato, avremmo ceduto a quella necessità. Non potevamo dipendere da un'altra persona, non potevamo soffrire di nuovo.
Per questo, dopo una lunga lotta, occhi contro occhi, Leclerc cedette. Abbassò lo sguardo, lasciò la presa, girò le spalle, e, così come era entrato, uscì.

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"Non posso credere che sto uscendo con Carlos Sainz" disse Victoria incredula.
Aveva bussato, alla mia camera di hotel, un'ora prima, in preda all'agitazione, per questo fatidico appuntamento. Ero contenta per lei. Aveva risolto tutto con il pilota spagnolo, ovviamente non facilitandogli le cose. Infatti, non appena si era accorta che a bussare alla sua porta fosse stato il pilota numero 55, aveva cercato di cacciarlo via, non dandogli neanche un attimo di tempo per aprire bocca. Carlos quindi era stato costretto a tapparle letteralmente la bocca e, solo allora, aveva potuto spiegare ciò che realmente era successo. Poi, a quanto avevo capito, le aveva chiesto di uscire ed ora l'olandese era piombata nella mia stanza per aiutarla a decidere cosa indossare stasera.
Ciò che non sapeva, però, è che non ero mai stata brava in queste cose. Non mi interessavano gli appuntamenti romantici. Anzi, se c'era proprio una cosa che odiavo, erano le smancerie. Prepararsi in ansia per l'appuntamento con un ragazzo, non faceva per me.
Quindi mi limitai ad annuire ad ogni vestito che mi mostrava e, nonostante le sue lamentele per questa cosa, alla fine decise da sola. Era già pronta, anche se mancava ancora un'ora prima che Carlos passasse a prenderla. Ma lei era così in trepidazione, da non riuscire ad aspettare.
"Lo hai detto almeno 20 volte" risposi alzando gli occhi al cielo. Ero contenta per lei, si, ma non potevo non pensare che tutto questo fosse un po' troppo esagerato. Se già faceva così al primo incontro, in caso di matrimonio, che avrebbe fatto?
"Scusa è che non ci posso credere che uno come lui possa essere interessato ad una come me" disse esprimendo, per la prima volta, ciò che realmente pensava. Rimasi confusa da questa affermazione. Davvero si sentiva inferiore a quel ragazzo?
"Victoria che cosa intendi?" chiesi, allora, verificando se quello che pensavo, fosse ciò che realmente attanagliava la sua mente.
"Beh, lui è un ragazzo simpatico e pilota di Formula 1. Io, invece, sono semplicemente la sorella di Max Verstappen, che è rimasta sempre nell'ombra del fratello e non si è realizzata in nessun modo" rispose abbassando lo sguardo sui suoi piedi, probabilmente a disagio per ciò che stava dicendo. Mi faceva male vedere quanta poca fiducia avesse in sé stessa. Le sue parole mi facevano capire ancor di più, quanto la sua famiglia avesse puntato tutta la sua attenzione sul pilota numero 33, ignorando così la ragazza olandese che sedeva al mio fianco in questo momento. Ma l'errore non era di Victoria. L'errore era di suo padre e di sua madre, per essere stati accecati dalla voglia di successo, e anche del fratello, per non aver impedito tutto questo.
"Non è così. Tu meriti un ragazzo come lui. Non fare più discorsi del genere perché non sei inferiore a nessuno" dissi costringendola così a riportare lo sguardo su di me. Le vennero le lacrime agli occhi quando vide che ero davvero sincera. Ma tutto questo sentimentalismo non era per me, perciò quando cercò di parlare, la fermai subito.
"Vai che si sta facendo tardi. E divertiti" le dissi, invitandola ad alzarsi e uscire dalla porta della mia stanza. Rinunciò a dire quello che aveva sulla punta della lingua e con un sorriso, più grande di prima, annuì e, di corsa, lasciò la mia camera.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora