Capitolo 37

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Era il venerdì delle prove e, a differenza della settimana scorsa, quella volta, avremmo dato uguale spazio ai giri veloci e al passo gara, in modo da cercare di equilibrare tutte e due le cose per dare il miglior risultato possibile a questo weekend.

Alla fine della seconda prova, sembravano prospettare bene entrambe le cose. Eravamo quarti e quinti per il giro veloce e per il passo gara sembrava andare bene come la volta scorsa.

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Stavo uscendo dal motorhome, quando qualcuno mi sbarrò la strada. E quel qualcuno avrei fatto molto volentieri a meno di vederlo.
"Ehi, ragazzina" salutò Verstappen con un sorriso di scherno. In quel momento mi maledii di essere sempre l'ultima ad andare via. La perfezionista che era in me, aveva l'abitudine di sfruttare fino all'ultimo secondo del tempo disponibile per verificare che non le sfuggisse niente.
"Ciao anche a te ragazzino" risposi imitando il suo stesso tono, per poi cercare di superarlo. Ma ovviamente essendo più alto di me, non ci riuscii.
"Dove vai così di fretta?" chiese con tono provocatorio. Era venuto qui per innervosirmi, ma non ci sarebbe riuscito.
"Non vedo come possano essere fatti tuoi" risposi, incrociando le spalle in segno di sfida. Io non ero come gli altri. Io non gliela avrei data vinta. Per qualsiasi motivo fosse lì, non mi interessava.
"Puoi farmi passare ora?" chiesi indicandogli di spostarsi. Sembrò infastidirsi a questa mia domanda e si avvicinò di qualche passo, rimanendo a pochi centimetri di distanza. Non arretrai, però. Altrimenti avrebbe pensato che mi incutesse timore, cosa che era lontana da me provare.
"Non finché non verrai a letto con me" disse come se non avesse chiesto niente di insolito. Sbattei le palpebre un paio di volte per capire se realmente tutto ciò era successo. Non dovevo rimanere stupita dalla schiettezza di Verstappen, ma questo era troppo anche per lui. Pretendere che una ragazza venisse a letto con te, era da uomini che non si potevano neanche definire tali.
Ero indecisa se piangere o ridere, ma alla fine optai per la seconda opzione. Il suo sguardo, vedendo la mia reazione, si infervorí ancora di più e senza aspettare una mia risposta, mi afferrò per il braccio e con prepotenza mi avvicinò ancora di più al suo corpo. Smisi di ridere all'istante.
"Che c'è ora non ridi più? Andare a letto con tutti i piloti del paddock va bene, ma con me non vuoi. Non ti senti all'altezza?" chiese con scherno e gli occhi pieni di rabbia per la mia presa in giro. Non so per quale motivo si rivolgesse a me in questo modo. Nulla gli dava il diritto di comportarsi così. Non gli avevo fatto niente, né per trattarmi in questo modo, né per fargli pensare di essere una donna dai facili constumi. Ma lui si era comunque preso la briga di giudicarmi senza conoscermi e senza una valida prova ad avvalorare la sua tesi.
"Non sei tu alla mia altezza" risposi con un sorrisetto finto. Per poi cercare di scrollarmi di dosso la sua presa, che alle mie parole, divenne più intensa. Non mi stava facendo male. Non potevo arrivare a pensare che si potesse spingere oltre. Per com'era la sorella, anche lui doveva avere per forza dei valori. E non credo che avrebbe mai potuto alzare le mani su una ragazza. Certo le persone non si conoscono mai fino in fondo, ma a me sembrava solo un ragazzo abituato ad avere tutto ciò che voleva, anche se profondamente insicuro di sé stesso, tanto da sminuire le persone che lo circondavano per sentirsi migliore.
"Ti consiglio di lasciare la presa su Catherine il prima possibile" disse una terza persona. Mi girai a guardare chi fosse e fui sorpresa di trovare Gasly. Stava guardando minacciosamente l'olandese che non sembrava intenzionato a mollare la presa sul mio braccio.
"Altrimenti che fai? Chiami il tuo amichetto per venire a farmi picchiare?" chiese il numero 33 per poi scoppiare in una risata sarcastica. Se non avessi capito cosa in realtà si celasse dietro quel ragazzo, adesso probabilmente starei pensando che fosse pazzo.
"No semplicemente chiamo la sicurezza, Verstappen. E non credo che per i giornalisti appostati fuori, possa passare inosservato un pilota che viene trascinato via" rispose Pierre con un sorrisetto sulle labbra. Alle sue parole Verstappen tornò serio e, dopo aver dato un ultimo sguardo di fuoco ad entrambi, lasciò la presa e andò via senza guardarsi indietro.
"Stai bene?" chiese il francese, avvicinandosi alla mia figura e cercando di guardare se sul mio polso ci fosse un segno lasciato dalle mani dell'olandese.
Nascosi il braccio dietro alla schiena, infastidita dal suo esaminarmi, ma cercai di mantenere la calma. Infondo aveva solo cercato di aiutarmi.
"Si sto bene. Grazie comunque per essere intervenuto, anche non ce ne era bisogno" risposi alla sua domanda nel modo più gentile che mi fu possibile.
"Di niente" disse non convinto della mia risposta. Ma non gli prestai attenzione e dopo averlo salutato, lo superai e uscii, come pochi minuti prima, aveva fatto Max Verstappen.

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Victoria, Sainz, Ricciardo ed io, stavamo cenando allo stesso tavolo quella sera, nella sala pranzo dell'hotel in cui alloggiavamo. Ormai la loro compagnia era diventata normalità nella mia vita. Soprattutto l'australiano, che sembrava come se mi avesse preso sotto la sua ala protettiva.
Stavamo chiacchierando del più e del meno, per lo più Carlos e Daniel che parlavano delle prove libere di quella mattina, quando lo spagnolo richiamò l'attenzione di qualcuno che era appena entrato in quella stanza. Non ci prestai molta attenzione, finché il posto accanto al mio non fu occupato da una persona che conoscevo fin troppo bene. Mi irrigidii. Più cercavo di evitarlo, più me lo ritrovavo intorno. D' altronde, come si poteva evitare la persona per cui si lavorava e che era uno dei protagonisti del mondo di cui volevi fare parte? Era impossibile.
Cercai comunque di non prestargli attenzione e di costringermi a non girarmi neanche un attimo nella sua direzione.
Però Charles non era della mia stessa opinione, e mentre ero girata verso Victoria a cercare di seguire un po' della sua conversazione con Norris, che si era aggiunto insieme al monegasco al mio fianco, quest'ultimo di avvicinò al mio orecchio senza accorgermene. Mille brividi si fecero spazio per tutta la mia schiena. Speravo che non se ne fosse reso conto.
"Chi ti ha fatto quel livido sul braccio?" sussurrò al mio orecchio con tono serio. Socchiusi gli occhi cercando di riprendere il controllo e quando ci riuscii, mi girai a guardarlo, trovandolo ansioso di una risposta. Avevo come la vaga impressione che già sapesse ciò che era successo. Probabilmente il suo amico francese gli aveva raccontato tutto e ora voleva solo una mia conferma. Ma io non gliela avrei data.
"Nessuno, ho semplicemente sbattuto contro lo spigolo di un mobile" dissi sicura della mia bugia. Alle mie parole il suo sguardo si rabbuiò. Rimase a guardarmi ancora per un paio di minuti, poi deluso, scosse la testa, si alzò dal tavolo e, senza salutare nessuno, lasciò la stanza.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora