Capitolo 14

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Ancora una volta, non riuscivo a capire quel ragazzo. Ancora una volta, la sua reazione era immotivata. L'attimo prima non mi rivolgeva la parole, e il secondo dopo si arrabbiava se Verstappen diceva quelle cose su di me. E si, il pilota della Redbull era un gran cretino, ma la mia risposta l'aveva rimesso al suo posto. Di certo non serviva l'intervento di Leclerc. Soprattutto se pregiudicava il suo posto in Formula 1. Solo per questo ero intervenuta, impedendogli di fare una stupidaggine di cui poi, a mente fredda, si sarebbe pentito. Ma comunque non mi spiegavo il suo comportamento. Se diceva che con me non voleva avere niente a che fare, perché poi reagiva così. Si certo come ho detto a lui, probabilmente era per difendere le donne in generale e non per me. Ma la reazione era troppo esagerata per essere solo quello.
Dovevo togliermi quest'idea malsana dalla testa, però. Lo aveva fatto solo per quello, non c'era altro. Non potevo illudermi.

"Ehi aspettami" urlò Victoria, facendomi arrestare di colpo. Non mi ero accorta neanche di aver iniziato a girovagare senza una meta precisa. Ero troppo assorta nei miei pensieri.
"Scusami" dissi ancora in uno stato confusionale, quando fu davanti a me.
"Stai bene?" chiese preoccupata. Annuii, cercando di darmi un contegno. Ero sempre riuscita a mantenere a bada la tempesta che tenevo dentro, ma Leclerc stava distruggendo pian piano la mia barriera. E non andava bene per niente.
"Ne vuoi parlare?" chiese ancora, con la speranza che potessi confidarle per la prima volta qualcosa. Per lei era segno di fiducia. Ma io ancora non ero pronta.
"Non c'è nulla di cui parlare" dissi alzando le spalle, non curante. E lei ovviamente non ci credette. Non credevo neanche io alle mie parole.
"Farò finta di crederci per questa volta" infatti disse, con sguardo ammonitore.
La guardai con gratitudine. Aveva tanta pazienza con me.

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Avevamo una settimana di riposo a disposizione. Poi dal lunedì dopo saremmo tornati a lavoro per affrontare il circuito di Monaco. Charles sarebbe stato più irascibile del solito dato che era il Gran Premio di casa sua. Sicuramente aveva il desiderio di salire sul podio, ma la macchina che aveva a disposizione, a meno che non sarebbe avvenuto un miracolo, non glielo avrebbe permesso.

Comunque mentre tutti partivano per tornare, anche se per poco, dalle loro famiglie, io già ero diretta a Montecarlo. Sarei stata, una settimana in più, nell'albergo in cui avremmo alloggiato per la prossima gara.

Le mie non furono giornate di riposo, anzi. Lavorai più del normale. Semplicemente per il fatto che non fare niente significava avere più tempo di pensare, e io non potevo farlo. Con gli anni avevo capito che rimuginare sul passato non portava a niente. Certo, neanche accantonarlo come facevo io era un granché, ma riportare alla mente dei vecchi ricordi, poteva farti entrare in un circolo vizioso da cui difficilmente riuscivi a venirne fuori. E c'era stato un periodo di buio totale per me. Solo con le mie forze ero riuscita a ritirarmi su. Non volevo ripeterlo.
Quindi meno tempo avevo per pensare, meglio era.
Uscivo a farmi un giro per la città, tornavo in albergo per studiare il circuito, guardavo serie TV la sera su Netflix. Non doveva esserci neanche un secondo libero.

In quel momento ero uscita. Volevo vedere le strade su cui si sarebbe svolto il circuito, così da portarmi avanti o da catturare alcuni dettagli che mi erano sfuggiti guardando solo foto e video.
Ciò che mi incuriosiva di più, era la curva più affascinante e pericolosa di quel circuito. Lì accadevano la maggior parte degli incidenti. Infatti, era la più amata dai telespettatori. Ma si sapeva che Montecarlo, era il Gran Premio più bello di tutto il calendario. Questa città aveva qualcosa che le altre potevano solo sognare.

Ero arrivata proprio a quella curva e mi fermai nel bel mezzo del marciapiede, ovviamente non senza qualche protesta dei passanti. Non mi interessava. Ero troppo impegnata a cogliere ogni dettaglio utile. Dopo pochi minuti ripresi a camminare, continuando a guardare la strada e non dove mettevo i piedi. Infatti non feci molti passi, prima di finire addosso a qualcuno. Mi girai pronta a chiedere scusa, ma mi trovai un ragazzo dall'aria familiare. Dovevo dire che aveva cercato di travestirsi il meglio possibile, ma io lo avrei riconosciuto comunque. La mia intenzione era fare finta di non aver capito niente e proseguire per la mia strada, ma a quanto pare lui non era della mia stessa opinione. Infatti quando mi scusai e lo sorpassai, mi afferrò per il braccio fermandomi.
"Catherine?" chiese sorpreso, corrucciando le sopracciglia.
"Charles?" finsi di essere sorpresa anche io.
"Che ci fai qui?" chiese confuso. Potevo immaginare il suo sguardo perso sotto gli occhiali da sole che portava.
"Stavo studiando la pista" risposi indicandogli la strada accanto a noi.
"Ma è la settimana di riposo" disse continuando a non capire. E neanche io capivo il perché mi stesse facendo tutte quelle domande.
"Mi porto avanti con il lavoro" dissi una mezza verità. Non eravamo nello stato di fare confidenze l'un l'altro, visto il rapporto. Non che con un rapporto diverso, l'avessi comunque fatto.
"Perché?" chiese curioso e forse anche un po' infastidito. Probabilmente non si aspettava di vedere la mia faccia nel bel mezzo della sua città. E neanche io mi aspettavo, che tra tutti, avrei incontrato proprio lui. Ma a quanto pare il destino ce l'aveva con noi. Più volevamo stare lontani e più stavamo a stretto contatto.
"Perché mi andava così" risposi alzando le spalle non curante. Rimase in silenzio per un po' a studiarmi, poi iniziò a trascinarmi per tutta la città, dal braccio su cui non aveva mai lasciato la presa.
"Ehi lasciami!" protestai cercando di oppormi. Ma ovviamente era più forte di me. E dall'andatura che aveva preso, sembrava anche abbastanza arrabbiato. Questa, però, non era una novità; lo era sempre. Il motivo questa volta, però, era più ridicolo del solito. Il fatto che fossi nel luogo in cui era nato e cresciuto, non poteva impedirlo. Anche perché se non fosse stato oggi, sarei comunque venuta la settimana prossima. Stavo iniziando a stancarmi di questi strani cambiamenti di umore del pilota. Alla festa sembrava pronto a sbranare chiunque avesse detto una parola di troppo su di me, oggi invece era pronto a sbranare proprio me, perché avevo invaso il suo luogo di pace.
Finalmente si arrestò. Eravamo in un vicolo isolato. Probabilmente aveva scelto questo posto perché avremmo potuto discutere liberarmente senza il pericolo che fosse riconosciuto.
Non mollò però la presa dal mio polso. Si tolse gli occhiali da sole per fissare i suoi occhi nei miei. La poca distanza e il suo tocco mi impedirono di sbraitargli contro, ma in ogni caso mi mostrai indifferente a tutto quello.
"Ripeto: perché sei qui?" chiese, con tono più calmo.
"Ripeto: per studiare la pista" risposi, riprendendo le stesse parole di prima. E lo capii dai suoi occhi che non ci credeva.
"Perché stai mentendo?" chiese, ma più che altro sembrava che la domanda l'avesse formulata a sé stesso. Io comunque non risposi, rimanendo zitta e ferma nella stessa posizione. Lui cercò qualche spiegazione nel mio sguardo, ma io non ero disposta a concedergliene. Perciò, quando non trovò niente, la rabbia riprese il possesso del suo corpo lasciandomi di scatto il braccio e andando via furioso.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora