Ero dovuto andare via. Non potevo resistere neanche un secondo lì con lei. Non poterla toccare, baciare o anche solo guardarla, mi stava logorando dentro. Desiderai di non averla mai incontrata, di non aver preso nessuna sbandata, di non essermi concesso, di non essermi aperto. Perché ora il dolore era troppo forte. Ora mi stava uccidendo. E tornare a casa mi sembrava una buona idea, così almeno non avrei dovuto vederla per altri due giorni e fingere che non mi importasse. Perché in realtà mi importava e non poco. Mi importava di lei, del suo continuare ad essere fredda, del suo mantenere comunque una distanza, del suo non riuscire a superare il passato e le paure. Ma non potevo più fare finta di niente. Non potevo fingere che sarebbe cambiata, che non mi avrebbe lasciato non appena avesse capito che non poteva più rimandare l'inevitabile. Se fossi andato avanti sarebbe stato peggio. E il dolore è comunque tanto, troppo per essere sopportato. E allora mi ero rifugiato nell'alcool, negli amici, nel divertimento con l'unico intento di dimenticare. Ma più bevevo, più le immagini di lei che mi baciava, abbracciava, nuda dentro il letto al mio fianco, mi uccidevano, e ancor di più la scena di me che me ne vado e di lei che resta lì, inerme, lasciandomi andare. E allora la rabbia aumentava, la sofferenza anche e di conseguenza anche la voglia di non averla mai incontrata. Però subito mi davo dello stupido, perché un merito ce l'aveva, mi aveva portato a vivere ed essere felice davvero.
Non sapevo neanche che ore fossero in quel momento, né tanto meno il giorno della settimana. Avevo perso la cognizione del tempo. Seppi solo che quando sentii bussare alla porta della mia stanza, mi svegliai con un gran mal di testa e la voglia di rimettere tutto ciò che avevo bevuto la sera precedente. Sapevo di essere andato un po' troppo oltre e di dover smettere e riprendere il controllo, ma non riuscivo. Sarebbe significato affrontare la realtà e io ancora non ci volevo credere. Perciò lasciai perdere chiunque fosse al di là della mia stanza, presi il cuscino e mi coprii la testa. Ciò, però, non mi impedì di sentire comunque il rumore delle nocche sul legno che sembrava non voler cessare per nessuna ragione al mondo. Mi sfuggì un lamento dalle labbra.
"Charles, dobbiamo parlare. Alzati e apri questa porta" disse la persona che a quanto pare non voleva desistere. Sapevo di cosa voleva discutere. Ci aveva provato da quando ero atterrato qui e aveva visto la mia faccia arrabbiata e distrutta. Ma io ero stato evasivo e lo avevo dirottato sul bisogno di rilassarmi. Perciò aveva lasciato perdere. Ma erano tre giorni che non facevo altro che bere come una spugna e dormire per ore. Non parlavo, non uscivo di casa se non per andare in qualche locale, non mi allenavo. Niente di niente. Mi stavo solo autodistruggendo.
"Charles, cazzo! Sto perdendo la pazienza. Se non apri tu, giuro che sfondo la porta a calci" urlò ormai perdendo la calma. Mi ero chiuso qui dentro a chiave perché sapevo che il mio migliore amico avesse le chiavi di riserva del mio appartamento. Gliele avevo date per controllare che fosse tutto apposto nelle settimane in cui non ero a casa per qualche Gran Premio. E avevo notato che fosse stufo del mio comportamento, perciò anche se ero sbronzo da fare schifo, quando ero tornato, mi ero barricato lì dentro con la speranza che prima o poi si sarebbe arreso dal non ricevere risposta. Invece era determinato ad ottenerla.
Allora sbuffando, mi alzai controvoglia dal letto e aprii la porta pronto a subirmi domande a cui non avrei dato alcuna risposta.
"Fatti una doccia che puzzi di alcool anche a chilometri di distanza e vieni in salotto" mi disse con una faccia disgustata dal mio aspetto. Aveva ragione. Puzzavo da morire, ma non mi importava di niente. Non erano questi i miei problemi. Lo era non riuscirmi a togliere dalla testa quella fottutissima ragazza.Nonostante la mia voglia e il mio interesse fossero pari a zero, ascoltai ciò che mi disse il mio amico. Dopo aver fatto una doccia ed essermi cambiato, uscii dalla camera per dirigermi in sala. Lo trovai seduto sul divano con i gomiti appoggiati alle ginocchia ad aspettarmi. Era impaziente e lo si poteva capire benissimo da continuo movimento del piede destro. Sapevo si stesse trattenendo dall'urlarmi contro già da tempo e prima o poi avrebbe perso la calma. Ma non mi avrebbe mai e poi mai permesso di ridurmi ad uno straccio ed era per questo che era uno dei miei migliori amici.
Mi sedetti sulla poltrona di lato al divano con aria svogliata. Non era un mio desiderio subire la ramanzina su quanto stessi sbagliando a comportarmi in quel modo.
Aspettai che fosse lui a parlare. Io non avvvo nulla da dire. Sbuffò osservando la mia espressione disinteressata.
"La devi smettere" esordì in tono di rimprovero e feci per ribattere ma non me lo permise.
"No, Charles, sul serio. Smettila. Ti stai comportando come un ragazzino e tu non lo sei affatto. Hai delle gare da fare e devi essere lucido. Non puoi bere fino a non ricordare neanche il tuo nome ogni sera. Non lo hai mai fatto e non inizierai ora. Quindi dimmi che cavolo c'è che non va e la risolviamo insieme, ma smettila, ti prego" continuò guardandomi fisso negli occhi serio. Apprezzavo il suo tentativo di aiuto, ma non poteva fare nulla per aiutarmi. Non era lui ad essere stato rifiutato, ad essersi affidato alla persona sbagliata, ad essere stato abbandonato. Non era lui che doveva subire tutto quel dolore per aver trovato la felicità e averla persa di nuovo. Non era lui che doveva cercare di sopravvivere dopo che aveva vissuto davvero. Non era lui ad essere stato spezzato dopo essersi sentito completo. Nessuno poteva capirmi, nessuno poteva sentirsi come mi sentivo io. Quella ragazza mi aveva dato tutto e me lo aveva tolto senza esitazione. Aveva pensato solo a sé stessa, lasciandomi sprofondare in un burrone senza via d'uscita. E avrei dovuto rialzarmi per forza, perché tutti se lo aspettavano da me, ma non ora. Ora volevo solo crogiolarmi nel rammarico di essermi lasciato andare e nel ricordo di ciò che volevo dimenticare.
"Non puoi fare niente Riccardo. Non puoi fare niente, credimi. Devi solo lasciarmi fare" risposi con sguardo assente. Perché era così che mi sentivo. Vuoto, perso. Peggio di come mi ero sentito dopo la morte di due persone a me care. Non mi ero comportato così neanche per loro. Ero arrabbiato si, avevo sfogato la mia rabbia lanciando tutto ciò che mi trovavo tra le mani, ma non mi ero mai fatto del male così. Non mi ero mai inflitto quel dolore fisico per non sentire quello interiore. Ed era una merda sentirsi in quel modo. Come se ti fosse stato rubato un pezzo di anima.________________________________
Dopo quella conversazione Riccardo era rimasto lì con me a guardarmi preoccupato per tutto il tempo. Non avevo più parlato, né mi ero mosso dalla mia posizione. Volevo solo essere lasciato in pace e i pensieri mi fottevano la mente. Quando era arrivata la sera, il desiderio di affogare di nuovo il dolore in whisky o qualsiasi alcolico avessi in casa, si fece risentire. E fu il mio migliore amico ad impedirmi di ubriacarmi ancora. Gli insulti e le minacce che gli lanciai non lo fecero desistere, perciò mi ero rinchiuso nella mia camera, cercando di non impazzire e di non fare qualche stronzata. Non volevo prendermela con lui. Non con una di quelle poche persone che stava solo cercando di aiutarmi. Ma in quel momento non ero lucido. Quel fottuto mal di testa dovuto al continuo pensare e il dolore che mi divampava sotto pelle, mi stavano facendo letteralmente perdere la mia sanità mentale.
E in quel momento qualcuno suonò al campanello. Il che non fece che irritarmi ancora di più. Chi cavolo era? Chi altro doveva farmi uscire fuori di testa? Perché non mi lasciavano in pace? Perché non mi permettevano di farmi del male?
Uscii dalla camera come una furia e precedetti Ricciardo che stava andando ad aprire al posto mio. Quando la spalancai in preda alla rabbia e vidi la persona dall'altro lato che mi cercava, mi immobilizzai all'istante.
"Che cazzo ci fai qui?" riuscii a chiedere con voce sprezzante.
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I Need You // Charles Leclerc
RomanceLei non sapeva cosa volesse dire avere bisogno di qualcuno al suo fianco. Troppo impegnata a lasciare i sentimenti fuori per non soffrire. Troppo sovrastata dalle paure dovute al suo passato tormentato. Puntava solo a eccellere nel suo lavoro. Quell...