Capitolo 98

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Non riuscivo a capire perchè mi sentissi così tanto in colpa. D'altronde Max era stato molto più cattivo di me con le parole, ma, nonostante ciò, il suo sguardo ferito continuava a rimanere impresso nella mia testa. Avevo capito sin dall'inizio che in realtà la sua cattiveria era una maschera che utilizzava per coprire la fragilità. La pazienza, però, aveva un limite e vedere tutte le persone, a me più care, essere prese di mira, mi mandava fuori di testa.

Ero talmente concentrata nei miei pensieri, mentre camminavo a passo spedito verso la mia stanza, che non mi accorsi di Charles impegnato a chiamarmi fino a quando non sentii la sua presa sul braccio. In un attimo mi ritrovai il petto attaccato al suo e i miei occhi immersi nei suoi verdi intensi.

Il suo sguardo era preoccupato ma allo stesso tempo incazzato. Sapevo per certo avesse assistito a tutta la scena lì dentro, ma non era intervenuto non perchè non volesse. Semplicemente aveva scelto di preservare me e la mia scelta di non far sapere ancora a tutti di noi. E poi era cosciente del fatto che sapevo benissimo difendermi da sola e, probabilmente, se avesse detto anche una sola parola per difendermi, mi sarei arrabbiata con lui.

"Stai bene?" chiese cercando di trattenere la rabbia che gli divampava ancora dentro. Sapevo quanta fatica avesse fatto a non andare contro Max Verstappen. Colui che da sempre aveva cercato di fargli perdere le staffe. E gli ero davvero grata. 

Continuava ad ispezione il mio sguardo per comprendere se stessi realmente bene, ma non avrebbe avuto senso fingere. Ormai mi conosceva fin troppo bene. Allo stesso tempo, però, non riuscivo neanche a parlare. Ero ancora sconvolta dopo ciò che era successo in quella stanza. Vedere Daniel per la prima volta furioso, Max pronto ad aggredire il suo amico e pronunciare quelle parole contro l'olandese, mi aveva destabilizzato. Perciò mi limitai a scuotere la testa e fregandomene di essere ancora in mezzo al corridoio, alla mercè di qualsiasi passante, avvolsi le braccia attorno al suo busto e appoggiai la testa sul suo petto lasciandomi cullare dal suo profumo e dai battiti del suo cuore. 

Se mesi fa mi avessero detto che sarebbe bastato questo ragazzo a far sciogliere le mie barriere, a insegnarmi la fiducia, a farmi iniziare a vivere, a infondermi calma e sicurezza, non ci avrei mai creduto. Eppure era sufficiente questo per ristabilire la tranquillità e quando, dopo alcuni minuti, in cui mi aveva cullata tra le sue braccia, avevamo deciso che fosse meglio staccarci e tornare in camera, ero pronta a parlare e a raccontargli cosa attanagliava la mia mente.

"Ho esagerato?" chiesi insicura, dopo essermi seduta sul bordo del letto. Era la domanda che continuava a ripetersi nel mio cervello da quando ero uscita da quella sala. Avevo esagerato con le parole? Ero andata troppo oltre? Charles guardò per un bel pò i miei occhi, cercando di leggerci dentro, poi sospirò. 

"Sei troppo buona, Catherine, nonostante tu riesca bene a fingere di non esserlo. Non dovresti sentirti in colpa per quello che gli hai detto perchè, onestamente, lui ha detto cose di gran lunga peggiori" disse con rammarico. Ed aveva completamente ragione. Mi aveva dato della poco di buono più volte, dalla prima volta che c'eravamo conosciuti, e l'unica 'colpa' che avevo, era quella di  lavorare per il pilota numero 16. Solo questo era bastato, all'olandese, per iniziare a sparare a raffica su di me.

"E' vero, ma ho spiattellato davanti a tutti le sue debolezze. Ho fatto lo stesso gioco che suo padre ha fatto con me. Sono esattamente come lui, Charles" ribattei afflitta a quella consapevolezza. Quanto Jos Verstappen, quella sera, aveva rivelato più di quanto gli fosse dovuto, alcune parti della mia vita che ci tenevo a tenere segrete, ero sicura di aver avuto lo stesso sguardo che avevo visto nel pilota della Redbull pochi istanti fa. Ero uguale alla stessa persona che avevo più volte ripudiato.

In un attimo, il monegasco, si avvicinò a me, si abbassò sulle ginocchia per essere alla mia altezza, e mi afferrò il viso con entrambe le mani per costringermi a legare i miei occhi ai suoi.

"Non dirlo neanche per scherzo Catherine. Non sei neanche paragonabile ad un uomo del genere. Lui ha cercato di utilizzare il tuo vissuto per farti soffrire, perchè sapeva fosse l'unico modo per ferirti, nonostante tu non gli avessi fatto un bel niente. Neanche lo avevi visto prima di allora, ma per il semplice fatto che sostenevi sua figlia nella relazione con Carlos, aveva deciso di prenderti come nuovo bersaglio. Tu a Max hai detto quelle parole perchè hai visto tutti stare male per i suoi attacchi. Addirittura Daniel ha ceduto e si è lasciato andare alla rabbia. Catherine, tu non sei una cattiva persona e non inizierai ad esserlo per aver detto due parole di troppo in un momento in cui hai perso la lucidità" disse per tutto il tempo lasciando il suo verde annegare nel mio sguardo. Non ero ancora completamente sicura di poter sentirmi giustificata ad aver pronunciato quelle parole. Ma sentir dire da Charles, e quindi eliminare quella mia paura, di non essere come il padre di Max, mi aveva tolto un gran peso di dosso. Anche se non potevo biasimare quel pallino, in un angolo della mia testa, che ancora paragonava il mio modo di reagire così simile al suo. E' vero, come aveva detto il pilota numero 16, Jos aveva volutamente voluto ferirmi senza neanche conoscermi, il che lo contraddistingueva con il mio cercar di difendere solo i miei amici. 

"Grazie" dissi semplicemente. Non sapevo per cosa esattamente lo stessi ringraziando. Se per le parole che aveva detto, se per avermi seguita nella mia fuga, se per avermi consolata e aver provato a spazzare via le mie paure o, anche, per il semplice fatto di esserci sempre. Perchè Charles, in un modo o nell'altro, c'era sempre stato per me. 

"Non mi devi ringraziare" ribattè per poi avvolgermi ancora tra le sue braccia. E, ancora una volta, mi abbandonai a lui.

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Non c'era tempo per rimuginare su ciò che era successo la sera prima quel lunedì. Avevamo un altro Gran Premio quella settimana, perciò, qualsiasi cosa mi stesse passando per la testa in quel momento, qualsiasi pensiero, doveva essere accantonato. Dopo il Belgio ci sarebbero state due gare di fila: l'Olanda e l'Italia. 

Nonostante questo, però, non potevo non pensare, durante tutto il tempo del viaggio in aereo, se fosse stato il caso di provare almeno a parlare con Max. Anche se il senso di colpa si era alleviato sia per la consapevolezza, a mente fredda, di aver ricevuto offese più pesanti da parte sua, sia per le rassicurazioni che il monegasco mi aveva dato la sera prima, sentivo comunque il bisogno di cercare di rimediare. 

Max non era cattivo. Semplicemente vivere con un padre che si sentisse il re del mondo solo perchè sapeva usare molto bene le parole per far sentire deboli gli altri, lo aveva portato ad essere allo stesso modo. Se contiamo il fatto che anche la madre, troppo impaurita dal marito, che aveva il controllo di tutto, non aveva fatto nulla per cercare di mettere in riga il figlio, si spiegavano parecchie cose. Jos non sembrava l'uomo disposto a dare amore nemmeno alle persone che lui stesso aveva creato. L'impressione che mi dava nel suo comportamento nei confronti del figlio non mi sembrava neanche un pò rassicurante. Avevo il dubbio che, un altro motivo che spiegava il comportamento di Max, fosse anche la voglia di quell'uomo di vederlo seguire le sue orme. Voleva che suo figlio fosse un pilota, ma non per lasciarlo divertirsi o perchè fosse la sua passione, semplicemente perchè voleva fosse così punto e basta. Non credo che l'olandese avesse mai avuto scelta nel suo futuro. Ed ecco anche spiegato il motivo per cui Victoria non si sentisse considerata, fin dalla nascita, da quello che sarebbe dovuto essere suo padre. Tutta l'attenzione dell'ex pilota, era rivolta a Max. A renderlo perfetto, a spingerlo al limite. Tutto si concentrava su ciò che sarebbe stato il suo futuro. E quella pressione per un ragazzino doveva essere ingestibile. 

Non mi sentivo di biasimarlo per ciò che era diventato. Se per sfuggire dall'ansia, impartitagli dal padre, si era rifugiato in quella corazza di menefreghismo. O se, a volte, sopraffatto dalla paura di non essere abbastanza, si rifugiava nella rabbia. 

Ognuno aveva un bagaglio che si portava dietro come un macigno. Io il mio lo tenevo ben stretto, ancora insicura sul lasciarlo andare. 

Questi pensieri mi accompagnarono fino al sabato, quando tutto fu pronto per le qualifiche. Quando raggiunsi il muretto per seguire i team radio ed essere sicura che tutto procedesse per il meglio. E mi accompagnarono anche quando, alla fine, sentii forte e chiara la frustrazione di Charles per essere arrivato quinto alle spalle di Gasly. Continuava a chiedersi come fosse possibile. Come un AlphaTauri riuscisse ad essere più veloce di una Ferrari.

E nel momento in cui uscì dalla monoposto e a passo di marcia scappò via infuriato, mi ricordai di quanto anche Charles portasse quel bagaglio pesante sulle spalle. Non avevo idea a cosa fosse dovuto e mi ritrovai proprio in quel momento a chiedermi se un giorno sarei riuscita a saperlo.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora