Capitolo 45

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"Va bene, potete andare" disse la steward, dopo essersi ripresa dallo sguardo del monegasco.
"Bene" rispose quest'ultimo allontanandosi da lei con un sorrisetto soddisfatto. Poi afferrò le sue valigie e iniziò ad avviarsi. Quando si accorse che non lo stavo seguendo, però, si fermò e si girò a guardarmi male. Ero ancora immobile, frastornata dalle mie emozioni.
"Muoviti o farai perdere il volo anche a me" disse incitandomi a seguirlo. Uscii fuori dal mio stato di trance e, sbuffando per il suo modo di fare, presi anche io i miei bagagli e lo seguii in silenzio.
Quando arrivammo vicino al suo jet, mi guardai intorno per vedere dove fosse quello dello staff, ma avevo un vago sospetto.
"È già partito. Devi venire con noi" disse, infatti, Charles vedendo che non ero ancora salita.
"Io..." iniziai per poi non sapere cosa dire effettivamente. Stare nel suo stesso aereo, in uno spazio ristretto, non mi avrebbe fatto per niente bene. Mi guardò, domandandomi cosa aspettassi ancora, imprecando subito dopo, dicendo che se non mi fossi mossa, saremmo atterrati in ritardo a Silverstone. Perciò presi un respiro profondo e, rassegnandomi, mi affrettati a salire.

Mi ero seduta il più lontano possibile, per quanto mi era concesso dallo spazio non molto ampio di quel veicolo, dal pilota numero 16. Non facevo altro che guardare fuori dal finestrino, per non incrociare neanche il suo sguardo. Se non avessi dimenticato quel cavolo di biglietto, ora non sarei in questa situazione. Ma ormai era fatta e più che darmi della stupida, non potevo fare niente. Mi sarebbe servito di lezione per la prossima volta.
"Ehi, tutto bene?" chiese Carlos, sedendosi nel posto libero di fronte al mio. Loro, al contrario mio, si spostavano da un sedile all'altro a loro agio. In quell'aereo oltre ai piloti, vi erano anche i loro collaboratori più stretti, ovvero i loro preparatori atletici e i loro menager. Erano poche persone, comunque, per le dimensioni di quel jet.
"Si sto bene" risposi, continuando a guardare il panorama al di fuori.
"Sicura?" chiese, ancora, insicuro. Mi irritai all'istante.
"Si, Carlos, sto bene. Smettetela di chiedermelo, è sempre la stessa risposta, diamine!" dissi alzando leggermente il tono di voce e girandomi verso di lui per guardarlo male.
Non volevo prendermela con lui, perché non c'entrava niente in quella situazione. Ero nervosa per tutto ciò che era successo quella mattina e la solita calma e freddezza, che mi contraddistingueva, era sparita per il momento. Perciò assillarmi con quelle domande, non era stata una buona mossa. E sapevo che sia lui, che Victoria e Daniel, avessero buone intenzioni, ma me l'ero sempre cavata da sola e questa storia doveva finire. Stavo bene, punto. Potevo essere vuota e in uno stato pietoso, ma stavo bene.
"Scusa, non vole-" lo stoppai prima che potesse continuare.
"Lascia stare" dissi, sospirando e alzandomi dal mio posto. Dovevo rimanere un attimo da sola per calmarmi. Probabilmente, però sbagliai a fare quella mossa, perché non appena fui in piedi, mi resi conto che alzando la voce, avevo attirato l'attenzione di tutti su di noi. E ora avevo i loro sguardi puntati addosso, soprattutto due indagatori occhi verdi-azzurri. Distolsi immediatamente gli occhi dai suoi e a passo svelto, mi rinchiusi in bagno.

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Quando eravamo atterrati in Inghilterra e subito dopo eravamo stati trasportati all'albergo, l'unica cosa che avevo fatto, era stata portare le valigie in camera per poi uscire di nuovo.
In quel momento, invece, mi trovavo nel giardino di quell'hotel. Avevo bisogno di aria, ma allo stesso tempo non volevo allontanarmi troppo. La cosa positiva era che, essendo sera, non avevo incrociato nessuno che conoscessi. Potevo finalmente stare in pace con me stessa. O almeno così credevo.
Sentii qualcuno sedersi vicino a me, su quella panchina. Mi girai di scatto a guardare chi fosse e restai stupita di trovare Leclerc. È vero quella mattina, mi aveva aiutata con quell'hostess, ma per il resto mi evitava, come stavo facendo io.
Non disse niente e continuò a guardare davanti a sé. Avrei dovuto alzarmi ed andarmene. Sarebbe stata la scelta migliore e più coerente con il comportamento che stavo cercando di tenere nei suoi confronti. Ma se avevo capito una cosa del nostro rapporto, è che non c'era nulla che avesse un filo logico. Perciò rimasi lì e ritornai a guardare anche io davanti a me.

Dopo minuti che sembravano eterni, decise di parlare.
"Non ti chiederò se stai bene perché, a quanto pare, te lo chiedono in molti" disse con un sorrisetto impercettibile sulle labbra.
"Ma so che qualcosa ti tormenta e vorrei sapere cosa" aggiunse poi tornando serio e deglutendo per il timore di non ricevere una risposta. Lo guardai e aspettai che anche lui lo facesse.
Quando i suoi occhi incontrarono i miei risposi.
"Quel qualcosa è più vicino a te di quanto pensi"
Non avevo soddisfatto la sua curiosità, ma gli avevo dato un indizio con cui avrebbe potuto capire. Il suo sguardo confuso, però, mi comunicò che non avesse capito proprio un bel niente. Sorrisi divertita per il suo smarrimento. Ma non sarei andata oltre.
"Grazie per stamattina comunque" dissi, tornando a guardare i fiori intorno a noi.
Aspettai per un paio di minuti che rispondesse, ma non lo fece. Pensai fosse andato via, ma quando mi rigirai verso di lui, lo trovai ancora con la stessa espressione di prima, intento a fissarmi. Non mi diede il tempo di chiedergli cosa stesse pensando che mi afferrò il viso con entrambe le mani e poggiò le sue labbra sulle mie.
Ero impreparata e sconvolta da tutto questo. Tanto da non riuscire a rispondere al bacio. Poi, quando mi tirò più vicina a lui, mi sbloccai e gli concessi l'accesso. Era un bacio bisognoso il suo, come se sentisse il bisogno di avermi vicino. Ancora una volta le emozioni si fecero spazio all'interno del mio corpo come un vulcano in eruzione. Uno strano bruciore si faceva spazio nello stomaco, il cuore iniziava a battere più forte, la mente si liberava da ogni pensiero, ma poi la paura sovrastava tutto e mi riportava alla realtà. Ricordandomi che pochi giorni prima mi aveva fatta soffrire e non aveva neanche provato a giustificarsi. Mi staccai e mi alzai improvvisamente da quella panchina, mantenendo gli occhi chiusi per tornare in me.
"Che succede?" chiese ancora con il fiatone Charles, alzandosi anche lui in piedi. Non risposi, portandomi le mani nei capelli per far tornare il mio respiro regolare.
Mi afferrò un braccio e mi girò verso di lui.
"Guardami" disse, appoggiando la mano libera sulla mia guancia. Scossi la testa, ancora in preda alla paura. Quel sentimento più forte degli altri, che ti paralizzava in un istante.
"Catherine, guardami" ripeté ancora, con tono più dolce. Ma niente da fare, neanche quella volta lo ascoltai.
Appoggiò la sua fronte alla mia e intensificò la presa sul viso e sul braccio, come se volesse riportarmi nella realtà. Ma era proprio quella la dimensione da cui volevo scappare.
"Guardami, ti prego" supplicò questa volta, preoccupato. Cercai di calmarmi con respiri profondi. E quando riacquistai un minimo di controllo, dato che anche per la sua vicinanza mi era difficile, aprii finalmente gli occhi e incontrai immediatamente i suoi, intrisi di terrore.
Sospirò sollevato.
"Mi dispiace per tutto ciò che ho detto e fatto. Per averti risposto male dopo averti fatta venire su quel divanetto, per aver insinuato che fossi una poco di buono, per non riuscire a spiegarti perché ho fatto tutto questo. Ma un motivo c'è, solo che non so neanche io bene quale è. Una cosa, però, voglio che tu la sappia. Qualsiasi cosa ti riduca in questo stato, mi spaventa. E se posso fare qualcosa, anche solo stare in silenzio accanto a te, sono disposto a farlo" disse con tutta la sincerità possibile. Ancora una volta, non risposi, stupita e impaurita contemporaneamente dalle sue parole. E avrei voluto davvero, spiegargli ciò che mi portavo dentro, cosa mi spaventasse, ma non riuscivo, non potevo. Se lo avessi fatto, non sarei potuta tornare indietro. E chi avrebbe rimesso insieme i miei pezzi, se mi avesse di nuovo ferita?

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora