Capitolo 38

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Ci aspettava un altro weekend in Austria, sullo stesso circuito. Tutti si aspettavano dei passi ancora più avanti della gara precedente. E avevamo cercato di migliorare anche in qualifica. Però il venerdì durante la prima prova, avevamo notato che puntare sul giro veloce, come nei gran premi precedenti, ci portava a perdere nel passo gara. E allora dovemmo prendere la decisione importante di mettere da parte la qualifica e concentrarci sulla gara di domenica.
Perciò quando sabato si trattava di decidere con quale mescola partire al via, adottammo la strategia migliore di rischiare di non qualificarci per il Q1, ma di scegliere liberamente la gomma da utilizzare. E anche se Charles e Carlos avrebbero provato delusione e rabbia per quel undicesimo e dodicesimo posto, in gara avrebbero ringraziato.

Ero pronta ad un'altra sfuriata del pilota numero 16 quando sarebbe tornato ai box. Sapevo che la colpa di quel piazzamento in griglia sarebbe ricaduto su di me, come sempre d'altronde.
Ma al contrario delle mie aspettative, quando uscì dalla sua monoposto, non incrociò il mio sguardo neanche per sbaglio. Tornò a passo svelto verso il motorhome senza neanche togliersi il casco.

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Il modo di comportarsi di Charles era cambiato dalla sera in cui mi chiese chi mi avesse fatto quel livido sul braccio che ormai era scomparso. Ovviamente il nostro rapporto non era mai stato un granché, ma da quella cena, non si avvicinava a me neanche più per litigare. Avevo la strana sensazione che in realtà sapesse tutto ciò che era successo con Verstappen. Il pilota della rossa era già stato informato da Gasly, non so per quale motivo, visto che tutto ciò non lo riguardava, ma comunque ero sicura lo avesse fatto. E Leclerc voleva che glielo dicessi anche io. Credo fosse tutto ricollegato a ciò che mi aveva confessato un paio di settimane fa. Voleva che io avessi fiducia in lui. Ma era difficile per me fidarmi, e a maggior ragione quando l'altra persona aveva il mio stesso problema.
Perciò lasciai stare. Non avevo intenzione di andare da lui e chiedere spiegazioni. Se aveva qualche problema con me, lo avrebbe detto di sua spontanea volontà. Non sarei corsa di nuovo da lui, mettendo il mio orgoglio e il mio muro da parte.

E così arrivò domenica. Ero nei box ad aspettare che la gara iniziasse. Mentre i meccanici si stavano avviando sulla griglia per preparare le macchine alla partenza.
Quando finirono le solite cerimonie di iniziazione, i piloti si prepararono per entrare in macchina. Non potevo fare a meno di guardare, attraverso il grande schermo, il volto concentrato di Charles. Allo stesso tempo sembrava turbato da qualcosa e speravo che la lasciasse perdere per tutto il tempo della gara. Perché si sapeva che nella monoposto dovevi essere solo tu e la macchina da guidare. Avere dei pensieri per la testa, non portava a niente di buono.

Tutto era pronto per l'inizio del giro di formazione e così le auto partirono per riscaldare le gomme. Ero seduta alla mia postazione, con uno strano stato di ansia che si faceva spazio nel mio corpo. Speravo fosse qualcosa di passeggero, ma anche quando al via tutto andò nel modo giusto, non mi lasciò in pace. In passato ne avevo sofferto ed era stato difficile superarlo. Non volevo tornare alle condizioni in cui ero qualche anno fa. L'ansia può essere distruttiva sia fisicamente che mentalmente.

A metà gara, Leclerc era impegnato a cercare di superare la McLaren di Ricciardo, ma era quasi impossibile riuscirci per la velocità che, a differenza della Ferrari, avevano sul rettilineo. Perciò dissi alla squadra che sarebbe stato meglio far rientrare ora il pilota numero 16, in modo da fare l'undercut su Daniel, ma non mi diederono retta. Nonostante la mia pressione, lasciarono Charles fuori, e quando l'australiano rientrò ai box, fu troppo tardi.
Ero arrabbiata che non mi avessero dato fiducia, a maggior ragione quando anche Perez rientrò prima di noi. Quindi oltre ad aver costretto Leclerc a rimanere dietro la McLaren, ora aveva anche perso la sua posizione ritrovandosi la Redbull, che aveva passato già in pista, davanti.
Potevo solo immaginare la sua rabbia nei team radio, che scegliendo di rimanere all'interno dei box, non potevo sentire. Sicuramente stava pensando che la colpa fosse mia, ma questa volta io non c'entravo proprio niente.
Il momento che però mi fece salire il cuore alla gola fu quando, arrivato a pochi millesimi da Perez, cercò di sorpassarlo. Quest'ultimo però, non essendo contento di essere superato da una Ferrari, che in questa stagione non prometteva granché, lo spinse fuori pista, non lasciandogli nessuno spazio. Fortunatamente, però, Charles era riuscito a mantenere il controllo dell'auto.
Doveva essere ancora più incazzato di prima, dopo ciò che era appena successo. Il messicano si era comportato in maniera, a dir poco, scorretta. Poteva causare un incidente e non in maniera imconsapevole, ma proprio con l'intento di farlo.
Mi alzai dal mio posto, come una molla. Il pensiero che Charles poteva seriamente farsi male, aveva portato il mio respiro ad essere irregolare. Dovevo calmarmi e non pensare a ciò che era successo. Lui stava bene.
Feci dei respiri profondi, cercando di passare inosservata alle persone intorno a me. Cosa che mi riuscì facilmente visto che la loro concentrazione era sulla gara.
Non ebbi neanche il tempo di cercare di far passare quell'attacco di panico, che fui costretta a riaprire i miei occhi, chiusi precedentemente, per concentrarmi a tornare a respirare regolarmente. I meccanici stavano protestando di nuovo, e quando mi accorsi che si trattava ancora del pilota numero 16, che era stato di nuovo spinto fuori pista dal messicano, non riuscii più a resistere e uscii fuori a cercare di prendere aria. Mi appoggiai al muretto e con la schiena scivolai, pian piano, a terra. Misi la mia testa tra le gambe, rannicchiandomi su me stessa, in attesa che l'attacco di panico finisse.

Non so per quanto tempo rimasi in quella posizione, ma probabilmente troppo. Ero tornata a respirare tranquillamente da pochi minuti, ma non avevo ancora la forza di rialzarmi. Pensavo che non sarebbe più riaccaduto. Mi sbagliavo. Mi ero lasciata sovrastare di nuovo dall'ansia, non riuscendo a gestire le mie emozioni.
"Che cavolo?!" sentii dire da qualcuno in lontananza. Non alzai la testa, la lasciai ancora tra le mie ginocchia. Ero troppo stanca per fare qualsiasi movimento.
"Catherine, stai bene?" chiese ancora, stavolta più vicina. Avevo riconosciuto la voce di Victoria. E anche se non volevo darle spiegazioni, fui grata che fosse lei e non Charles o qualcun'altro della nostra squadra. Ma proprio mentre pensai questo e Victoria mi afferrò il viso per constatare che non mi fosse successo niente, mi trovai davanti anche il pilota dagli occhi verdi-azzurri.
"Che cazzo è successo?" chiese preoccupato.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora