Capitolo 52

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"Vieni con me" disse senza neanche salutare. Lo guardai confusa, ma non serví a niente perché, a quanto pare, per lui non era una domanda, ma un ordine. Si staccò dal cofano della mia auto e si diresse alla sua. Rimasi ferma al mio posto non capendo il suo atteggiamento. Io non seguivo mai le imposizioni e questo lui lo sapeva benissimo, dato le numerose litigate che avevamo fatto dal mio arrivo qui.

Quando si accorse che non lo stavo seguendo, si girò verso di me.
"Catherine, muoviti" disse tra i denti, lanciandomi uno sguardo di fuoco. Ma che gli prendeva? Ieri era venuto da me alle tre di notte, solo per un bacio e, ora, mi trattava in quel modo.  Non riuscivo a comprendere cosa fosse successo per averlo fatto cambiare così nel giro di neanche 24 ore.
"No, io resto qui. Se vuoi che venga con te, devi chiedermelo. Non seguo i tuoi ordini. Voglio che ti sia ben chiaro, Charles" dissi con sguardo fermo. Sembrò arrabbiarsi definitivamente a queste mie parole. Poteva farlo quanto voleva, ma se era questo che pensava di ottenere iniziando qualsiasi cosa ci fosse tra noi, non aveva capito un bel niente.
"Certo. Tu non puoi stare al mio volere, ma io devo stare al tuo" ribatté con un sorriso sarcastico. Che cosa voleva dire?
"Io non ti ho mai ordinato di fare niente" risposi confusa, aggrottando le sopracciglia. Mi stupivo di quanto le nostre discussioni fossero una più stupida dell'altra. Questa, però, le stava superando tutte perché io ignoravo completamente il motivo della sua collera. E lui sembrava non volermelo neanche spiegare.
"Perché non vuoi mai fare niente!" urlò infuriato. Non risposi subito perché non capivo a cosa si stesse riferendo. Io non avevo voglia di fare cosa? Di obbligarlo a seguire ciò che volevo io?
Cercai di collegare tutte le cose che aveva detto tra loro, ma i pensieri divennero confusi e non trovai nessuna motivazione per il fatto che fosse così arrabbiato con me.
Sospirai frustrata. Mi aveva convinta lui a lasciarmi andare e ora sembrava aver messo di nuovo quel muro tra noi. Non capivo.
"Charles, si può sapere perché stai facendo così?" chiesi, cercando una risposta anche nel suo sguardo. Ma lui sentendosi esaminato, lo distolse.
"Puoi venire con me, per favore?" chiese con tono forzato e senza guardarmi negli occhi.
Perché era così difficile per lui chiedere invece che obbligare? E il fatto che lo avesse fatto perché forzato da me, mi piaceva anche meno. Avrebbe dovuto capire che non ero come le altre ragazze che era abituato a frequentare. Che io volevo rispetto da lui, come lui lo avrebbe avuto da me.
Ma in quel momento lasciai da parte il mio orgoglio. Perché lo avevo visto prima, nei suoi occhi, il bisogno che aveva che lo seguissi.
Perciò senza neanche rispondergli, e ancora leggermente irritata, lo sorpassai, mi diressi alla sua auto e entrai per poi sbattere la portiera. Continuai a guardare davanti a me, quando entrò anche lui nel posto del guidatore. Capí che non avevo voglia di parlare e, senza dire niente, mise in moto e partì.

Stava guidando da mezz'ora ormai e non sapevo dove volesse andare. A quanto pare però neanche lui, visto che continuava a guardare dritto davanti a sé immerso nei suoi pensieri. Sembrava non prestare veramente attenzione e io ero arrabbiata e preoccupata per questo suo atteggiamento.
"Charles, dove vuoi andare?" chiesi stufa di non sapere. Non rispose e continuò a guidare. A quel punto mi irritai ancora di più.
"Accosta" dissi cercando di trattenere la rabbia. Ma ancora una volta non mi prestò attenzione.
"Ti ho detto di accostare" ripetei girandomi verso di lui. Mi rispose, di nuovo, in completo silenzio. Non si girò neanche a guardarmi. Sembrava non importargliene.
"Charles, accosta cazzo!" urlai a quel punto, al limite della ragione. Non volevo stare un secondo di più, in quella macchina, con qualcuno che non mi considerava minimamente, soprattutto dopo avermi ordinato di seguirlo.
Finalmente mi ascoltò e accostò sul ciglio della strada.
Aprii la portiera e uscii, per poi richiuderla dietro di me. Iniziai a incamminarmi per tornare indietro e per mettere tutta la distanza possibile da lui. Non so cosa gli fosse preso, ma aveva fatto perdere la pazienza anche a me. E ora, l'unica cosa che volevo fare, era tornare in hotel e dormire.
"Dove cavolo stai andando?" sentii urlare dietro di me, e poi ci fu il rumore di una portiera che sbatteva con violenza. Non mi girai neanche a guardare se fosse effettivamente sceso anche lui dall'auto.
Poi però dovetti fermare la mia corsa perché mi afferrò per il braccio e mi costrinse a guardarlo.
"Che cavolo credevi di fare?" chiese furioso il pilota numero 16. Lo guardai indifferente e sapevo che facendo così gli avrei fatto del male, ma era la mia difesa quando venivo offesa e lui lo aveva fatto ignorandomi completamente in quell'auto dopo che avevo messo da parte il mio orgoglio per seguirlo. Cosa si aspettava da me?
"Torno in hotel" dissi semplicemente, per poi cercare di fargli mollare la presa. Ma era ben salda.
"A quest'ora? Da sola e in una strada che non conosci? Sei pazza o cosa?" urlò ancora arrabbiato. Quindi la pazza sarei io quando lui cambiava umore continuamente in un solo giorno?
"Quindi ci concentriamo su cosa volevo fare io, tralasciando il fatto che sei stato su a convincermi di venire con te, per poi essere ignorata spudoratamente e stare in auto per mezz'ora con te che non sai neanche dove andare?" chiesi ironica. Non rispose. Si limitò a lanciarmi uno sguardo di fuoco. Sapeva benissimo che avessi ragione, eppure non voleva ammetterlo. Il che faceva ancora più male. Ieri sembrava andare tutto così bene, perché ora si comportava in quel modo?
"Charles, ti prego, puoi dirmi che è successo? Perché mi hai ignorata oggi? Perché sei così arrabbiato?" dissi, dopo aver fatto un lungo respiro per calmarmi e addolcire il tono di voce. Continuare ad urlare non avrebbe portato a nulla, e se non avesse risposto, me ne sarei andata definitivamente.
Sospirò e si calmò leggermente anche lui.
"Mi sembra che tu ti sia pentita di ieri" disse tutto d'un fiato, ammettendo finalmente ciò che lo tormentava. Lo guardai confusa. Perché lo pensava?
"Ma non è così" risposi per poi aggiungere "Perché lo pensi?"
Lasciò la presa su di me, allontanandosi anche di alcuni passi. Poi si passò le mani tra i capelli nervoso e, infine, le poggiò sui suoi fianchi, come se facesse fatica ad ammettere le sue insicurezze. Perché era di questo che si trattava. Non si sentiva sicuro di ciò che provassi io e questo lo mandava fuori di testa, visto che era abituato ad avere sempre il controllo di tutto, come me. Ma entrambi dovevamo accettare il fatto che non avremmo mai avuto il controllo l'uno sull'altro, perché noi non eravamo fatti per questo e anche perché le relazioni non andavano così. I rapporti si basavano sulla fiducia ed era per questo che avevo alcuni dubbi su tutto ciò che stavamo facendo. Noi non eravamo fatti per tutto ciò, eppure mi ero lasciata convincere. Non avrei abbassato la guardia, però. Non potevo uscirne ferita.
"Perché sei distante. Non so come spiegarlo. È una sensazione che sento" disse frustrato e a disagio nell'ammettere i suoi sentimenti. E aveva ragione, io ero distante, ma era tutto nuovo per me, e avevo paura. E l'avrei avuta ancora per molto. Non riuscivo a fidarmi pienamente, a lasciare che i pensieri negativi abbandonassero la mia mente. Era più forte di me. Ma ci volevo provare.
Quindi, cercai di nascondere le mie reali emozioni e mi avvicinai a lui per poi afferrargli con entrambe le mani il viso e portare la mia fronte a contatto con la sua.
"È successo solo ieri. Non sappiamo come comportarci. È tutto nuovo anche per me, Charles. Devi essere più tranquillo" dissi guardandolo dritto negli occhi. Alle mie parole sembrò rilassarsi definitivamente. E quando annuì, non potei fare a meno di baciarlo.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora