Capitolo 32

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Avevo avuto ragione. Fare il pitstop, in quel momento, era stata una mossa azzeccata, e dopo aver fatto dei sorpassi dal cuore in gola, Charles era rimontato fino alla settima posizione, che era la stessa della sua partenza. Jack, non aveva potuto trattenersi dall'abbracciarmi per la gioia e io, a disagio, avevo ricambiato. Ma il merito non era mio, chi era in pista, era il pilota numero 16, e quell'abbraccio spettava a lui. Non avevo dubbi che lo avrebbero festeggiato. Soprattutto dopo aver dimostrato di essere uno dei piloti migliori in formula 1, per il sangue freddo e la guida sicura che aveva avuto in un momento difficile di rimonta. Avevo imparato qual'era l'altro punto di forza di Leclerc: il corpo a corpo. Nessuno aveva saputo fermare il monegasco dalla sua ascesa e nonostante la maggior parte dei sorpassi fossero al millimetro, non aveva mai perso il controllo della sua monoposto. Mi auguravo vivamente che il prossimo anno, avrebbe ricevuto una macchina competitiva, perché se c'era una cosa che meritava, era sicuro il primo posto.

Con questi pensieri stavo lasciando il paddock. Non so perché, ma non avevo voglia di rimanere ad aspettare l'arrivo di Charles nei box. Anzi non avevo voglia di vederlo, anche perché non avevamo niente da dirci. E lo scambio di team radio, mi aveva turbata. Per la prima volta da quando l'avevo conosciuto, mi aveva dato fiducia e non so per quale strano motivo, tutto ciò mi aveva scaturito un emozione all'interno, che non sapevo come decifrare. Sembrava un miscuglio di sollievo, gioia e gratitudine. Probabilmente era solo per il fatto che finalmente aveva seguito un mio consiglio sul lavoro, ma questa sensazione che provavo sotto pelle, non sembrava volersene andare. Dovevo fare appiglio a ciò che mi aveva detto mercoledì sera e a tutte le volte che mi aveva urlato contro, per scacciarla, ma neanche quello mi aiutò.
Perciò chiusa nella mia camera di hotel, cercavo di distrarmi, per non pensare al mio stato d'animo, e sembravo anche esserci riuscita. Però poi qualcuno bussò alla porta e quando la aprii, mi trovai davanti il soggetto della mia inquietudine.
"Ciao" dissi confusa di trovarlo lì. Mi aspettavo sarebbe andato in qualche locale a festeggiare la sua grande corsa. Victoria mi aveva accennato di una festa che si sarebbe svolta quella sera, ma io avevo rifiutato per evitare di incontrare la persona che ora avevo davanti. A questo punto avrei dovuto accettare.
"Ehi, posso entrare?" chiese a disagio, spostando il peso da un piede all'altro.
Era così strano, vederlo per la prima volta in una situazione in cui provava imbarazzo. Di solito era sicuro di sé stesso e di certo non chiedeva niente, faceva e basta.
Perciò stupita del suo comportamento, annuii e, spostandomi di lato, gli permisi di entrare. Si sedette sul divanetto, mentre io rimasi in piedi, con la schiena appoggiata al muro, davanti a lui.
Ci mise un po' a trovare le parole da dire.
"Ecco... volevo dirti che non sei poi così male nel tuo lavoro" disse incerto. Come se non riuscisse a mettere in piedi una frase che faccia uscire ciò che realmente voleva dire. E non c'era riuscito infatti. Se voleva farmi un complimento, questo era il peggiore che avessi mai ricevuto. Ma apprezzavo lo sforzo, visto che tutto ciò non era da lui.
"Grazie?" feci uscire dalla mia bocca, più come una domanda che come un'affermazione. Era venuto fin qui solo per questo?
"Prego" rispose evitando la mia incertezza. Tutto questo era eccessivamente imbarazzante. Sinceramente non vedevo l'ora che uscisse dalla mia stanza. E speravo vivamente che a minuti lo facesse davvero. Ma, a quanto pare, non era qui solo per quello.
"Io... Volevo anche dirti che non avrei mai fatto quello che ti ho detto l'altra sera" tornò a parlare di nuovo, evitando di guardarmi. Avrei voluto stopparlo subito, perché sapevo già quello che avrebbe detto tra pochi secondi, ma parlò prima che io potessi aprire bocca.
"Mi dispiace aver detto quelle cose. Non avrei dovuto. Perciò ti chiedo scusa" aggiunse tutto di un fiato, per poi tirare un sospiro di sollievo e portare finalmente il suo sguardo nel mio.
"Non ti devi scusare. Hai detto esattamente quello che volevi dire" ribattei io, sorprendendolo. Se si aspettava che mi bevessi le sue scuse, non aveva capito niente. Lui aveva volutamente voluto ferirmi e aveva intenzione di dire quelle esatte parole per riuscirci. Perciò non aveva bisogno di scusarsi, perché, in realtà, non gli dispiaceva per niente.
"No, non è vero" controbatté confuso ancora dalle mie parole.
"Invece, si. Hai volutamente voluto ferirmi, rigirandomi una confessione che io stessa ti avevo fatto" dissi con convinzione e senza voler cedere.
Ero convinta di ciò che avevo detto. Ciò che aveva fatto era per un obiettivo ben preciso.
"Okay, ammetto, che in quel momento ero arrabbiato e ho detto quelle cose per ferirti" ammise finalmente.
"Ma me ne sono pentito il secondo dopo" aggiunse con sguardo sincero.
Io però non volevo e potevo credergli, altrimenti avrei abbassato le mie difese e facendomi prendere da un attimo di debolezza, rivelargli qualche altra cosa di me. E se avesse fatto la stessa cosa di mercoledì sera, avrei sofferto di nuovo, se non il doppio. Non potevo permette che accadesse.
"Non ti credo, mi dispiace" risposi ancora rimanendo della mia opinione. Studiò il mio sguardo per un paio di minuti in silenzio, dopodiché si alzò e si avvicinò alla mia figura. Arrivò ad un centimetro dal mio corpo, e dovetti schiacciarmi al muro, per non incontrare il suo. Ma ciò non serví a niente, perché il contatto avvenne lo stesso quando la sua mano destra accarezzò la mia guancia sinistra con delicatezza. Dopo essere stato ad osservare il suo stesso gesto, ritrasse lentamente le sue dita e avvicinò le labbra al mio orecchio.
"Solo perché hai paura, non vuoi credermi, ma sai benissimo che le mie scuse sono sincere. Lo vedo dai tuoi occhi. Stai lottando contro te stessa. Dovresti smetterla di privarti delle tue emozioni" sussurrò per poi sfiorare con le sue labbra il lobo del mio orecchio. Anche se era così intenso questo momento, non potei fare a meno, di rispondere alle sue parole.
"Vale anche per te" sussurrai ad occhi semichiusi, cercando di non cedere al suo corpo che attraeva, come una calamità, il mio.
Alla mia frase si staccò, come risvegliatosi da uno stato di trance e guardandomi per l'ultima volta, con il terrore negli occhi, uscì dalla mia stanza il più in fretta possibile.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora