Capitolo 42

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I raggi di sole che filtravano dalla finestra, disturbarono il mio sonno. E il pulsare della mia testa, mi portò a lamentarmi di essermi svegliata. In un attimo mi tornarono alla mente tutti i ricordi del giorno precedente. Dalla gara, al mio attacco di panico, all'avvicinamento intimo con Charles, alle sue parole che mi avevano ferita e infine al mio stato pietoso in quel bar, dove proprio quest'ultimo, insieme alla mia amica, il fidanzato e l'australiano, mi avevano trovato. E mi ricordavo perfettamente anche il suo mi dispiace sussurrato. Sbuffai contrariata dall'essermi fatta vedere debole da quel ragazzo, che da me non si meritava niente.
Mi rigirai nel letto, cercando una posizione comoda per riaddormentarmi, ma ad un tratto mi scontrai con un altro corpo e subito dopo mi sentii afferrare per la vita. Aprii gli occhi di scatto e mi ritrovai davanti il viso rilassato di Charles. Quella non era la mia stanza. Probabilmente mi aveva portata con lui, non sapendo dove altro lasciarmi. La mia figura era stata a dir poco pessima. Mi maledii mentalmente per essere stata così stupida.
Rimasi qualche istante a pensare che cosa fare, mentre allo stesso tempo contemplavo il ragazzo di fianco a me dormire. Sembrava così rilassato e in pace in quel momento, come non l'avevo mai visto. Per la prima volta non era attanagliato dalla rabbia che portava dentro ed ero contenta che almeno la notte riuscisse a liberare la mente e il corpo da quel sentimento distruttivo. Questo non voleva dire, però, che lo avrei perdonato. Sapevo che nei momenti di collera, tirava fuori parole che forse neanche pensava come maschera di difesa, ma questo non lo giustificava. Mi aveva ferita facendomi sentire solo un oggetto da utilizzare a suo piacimento.
Dovevo andarmene di lì prima che si svegliasse. Altrimenti avrebbe cercato di scusarsi di nuovo, o peggio sarebbe finita con noi due a fare tutt'altro che semplicemente dormire in quel letto. Ma non potevo permettermi di fidarmi di nuovo di lui. Ero ancora troppo vulnerabile per resistergli, perciò, delicatamente, tolsi il braccio con cui aveva avvolto la mia vita e lo riappoggiai sul letto. Facendo il minor rumore possibile, poi, mi alzai e raccolsi le mie cose. Addosso non avevo più la mia t-shirt della Ferrari e il mio jeans nero che usavo per lavorare, ma una sua maglietta nera che mi arrivava fino a metà coscia. Non mi curai del fatto che mi avesse spogliata per metterla, ormai mi aveva già vista nuda e poi, in quel momento, ero troppo impegnata a scappare per pensarci. Quindi appena presi tutto ciò che era mio, mi avviai alla porta e abbassando lentamente la maniglia, cercai di aprirla nella maniera più silenziosa che ero in grado di fare. Quando fui finalmente fuori, tirai un sospiro di sollievo e a piedi nudi, cercando di non farmi vedere da nessuno, mi diressi alla mia camera.
Proprio nel momento in cui stavo inserendo le chiavi nella serratura, il mio piano di passare inosservata, finì miseramente.
"Bene, bene, bene. Da quale letto scappi questa volta?" chiese quello che sicuramente era Max Verstappen. Cosa avevo fatto di male nella mia vita per meritarmi anche questo?
Presi tutta la forza possibile con un bel respiro e mi girai con nonchalance verso di lui, nonostante stessi solo con una maglietta che a malapena mi copriva addosso.
"Sicuramente non dal tuo" risposi con un sorrisetto di scherno sulle labbra. Sapevo che sfotterlo, lo avrebbe fatto infuriare, ma non sarei stata zitta e muta a subire. L'indifferenza era la miglior arma, come avevo già detto, ma comunque rispondere a tono qualche volta non faceva male. Le sue offese non mi facevano nulla, e l'olandese aveva bisogno di qualcuno che gli facesse capire che le sue opinioni non a tutti interessavano.
Come avevo previsto, alla mia provocazione, si arrabbiò e come un paio di giorni fa, mi strattonò per il braccio, per poi sbattermi contro la porta dietro le mie spalle. Non intenzionalmente, mi fece sbattere la testa contro di essa, e ciò non fece bene al mal di testa con cui mi ero svegliata quella mattina.
Strizzai gli occhi per riprendermi. Verstappen, a differenza di Leclerc, la rabbia non la trasformava in parole, ma in gesti. Non lo faceva con cattiveria, questo lo sapevo, e averlo provocato, gli aveva fatto scattare quella molla, che di solito cercava di depistare. Ma a differenza del monegasco, non chiedeva mai scusa.
"Stammi bene a sentire, ragazzina. Se volessi ti porterei a letto senza se e senza ma, però a me non piace la merce usata" disse a pochi centimetri dal mio volto e con la furia nello sguardo.
Aumentai il mio sorriso.
"Ah, davvero? Perché mi sembrava che un paio di giorni fa mi avessi chiesto di venire a letto con te" risposi felice di averlo contraddetto.
"Cosa?" sentii chiedere da una terza voce in quel corridoio. Mi girai di scatto verso la direzione in cui proveniva. Charles, era in piedi, a pochi passi da noi, con solo i pantaloni addosso. Era furioso per ciò che aveva sentito e il sorriso morì subito sulle mie labbra. Sapevo che da lì a poco, sarebbe scoppiato un casino e per quanto l'idea che Verstappen prendesse un altro pugno in faccia, mi allettasse, sapevo che poi il pilota numero 16, avrebbe avuto delle ripercussioni. Perciò mi liberai dalla presa dell'olandese con tutta la forza che avevo e mi piazzai tra i due, con il volto verso il ragazzo con cui avevo dormito fino a pochi minuti prima.
"Le hai chiesto di venire a letto con te?" chiese il monegasco, cercando di mantenere la calma per il momento, ma avvicinandosi a passi lenti verso di noi.
Speravo che Max per una buona volta lasciasse perdere, ma purtroppo non sapeva quando non superare il limite.
"Beh, amico, l'hai vista? Chi non vorrebbe farsi un giro su di lei" sputò fuori dalla sua bocca divertito. Sapeva che aveva l'occasione di mettere nei guai, ancora una volta, il suo nemico numero uno. Il pilota della rossa, strinse la mascella e i pugni delle mani con forza. Stava perdendo il controllo.
"Charles, non starlo a sentire. Sai che lo sta facendo apposta. Non ascoltarlo, guarda me" lo incitai a guardarmi. Mi ascoltò e portò lo sguardo nel mio.
Sembrò rilassarsi un po'.
"Perché non me lo hai detto?" chiese ferito. Perché avrei dovuto dirtelo? Avrei voluto rispondere. Ma in quel momento non era il caso di irritarlo ancora di più, quindi lasciai perdere. Stavo cercando la risposta più adatta per impedirgli di scattare verso l'olandese.
"Amico, credi di essere l'unico a spassartela con lei? Te l'ho già detto che è stata in più letti di quanto ti immagini" si intromise di nuovo quest'ultimo. Mi girai pronta a farlo tornare al suo posto, quando venni bloccata di nuovo.
"Ci sei andata a letto?" chiese d'un tratto Charles. Mi irrigidii. Non potevo credere che l'avesse chiesto sul serio. Mi girai a guardarlo, sperando che fosse solo una mia immaginazione, ma era li che aspettava una mia risposta. Provai una delusione asfissiante per la seconda volta in meno di 24 ore. Chiusi gli occhi, cercando di riprendermi. Sospirai e quando fui certa che non sarei crollata, li riaprii.
"Anche se fosse, non sarebbero comunque affari tuoi" risposi velenosamente. Se voleva continuare a ferirmi lo avrei fatto anche io.
Dopodiché me ne fregai, se si fossero presi a pugni e a passo spedito, entrai finalmente nella mia camera. Una volta dentro mi appoggiai con la schiena alla porta, trascinandomi pian piano a terra. Lasciai cadere le mie cose che tenevo ancora in mano, e rannicchiata su me stessa, cercai di prendere dei respiri profondi per calmarmi.

I Need You // Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora