11. zero

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Noia è un termine maschile derivato dal provenzale enoja e può assumere diversi significati in base alla circostanza in cui un individuo si trova.

Può essere una sensazione sgradevole conseguenza del ripetersi monotono delle azioni o di uno stato di ozio in cui non si sa cosa fare, può essere un qualcosa diventato insopportabile oppure un qualcosa che consideriamo fastidioso. Non è, però, escluso che possa riferirsi ad una persona che ci ha terribilmente stancati oppure seccati, per non dire infastiditi con azioni oppure discorsi insensati.

E non sarebbe esistito termine migliore di "noia" per descrivere quello stressante pranzo di metà novembre a cui Chiara stava partecipando insieme a tutta, letteralmente tutta, la sua famiglia.

Quell'anno si presentò all'appello un nuovo componente del nucleo, un cugino del cugino di Ada, aveva su per giù la stessa età di Chiara, forse si passavano due anni, era molto alto, aveva i capelli di un colore tendente al biondo tenuti indietro grazie al gel che era stato obbligato a mettere e due grandi occhi marroni. Chiara sperava con tutto il suo cuore che sarebbe riuscito a rendere un pochino meno noiosa quella terribile mattinata anche se all'apparenza sembrava uno di quei piccoli lord inglesi senza un capello fuori posto.

Ma Chiara sapeva bene che l'apparenza, troppo spesso, inganna, e anche in questo caso lo aveva fatto.

La casa di zia Ada era proprio come la ricordava: un'immensa villa a due piani e la mansarda che, più che mansarda era un abitacolo, più grande del suo appartamento, contornata da un grande giardino fiorito dove, sotto al grande gazebo bianco, erano soliti porre il tavolo da pranzo con sopra il buffet ricco di piatti raffinati, tra i quali non figurava nemmeno un pezzo di pizza e Chiara sentì un tuffo al cuore non appena se ne rese conto, disgustata da tutte quelle pietanze.

Ma, data la temperatura molto fredda, furono obbligati a trasferire tutto all'interno della casa, nella sala principale che poteva benissimo essere scambiata con un pezzo del castello reale della regina Elisabetta.

Ma nonostante il freddo, c'era chi sembrava non soffrirlo.

Tra l'erba perfettamente tagliata infatti correvano e si rotolavano i suoi cugini di primo e secondo grado, un'immensa folla di bambini che non facevano che urlare, ridere e piangere correndo l'uno dietro l'altro con in mano una palla oppure un camion di plastica.

Quelle urla mandavano Chiara su tutte le furie.

Era stata anche lei una bambina e aveva amato la sua infanzia trascorsa tra le campagne a casa della nonna a correre e sporcarsi di terra ogniqualvolta metteva piede fuori casa venendo sempre sgridata dalla mamma che ogni giorno si trovava costretta a lavarle la maglietta appena uscita dalla lavatrice.

Le piacevano i bambini, ma solo quelli dagli zero ai tre anni, quando si trovano nella fase precedente a quella delle urla e dell'afferrare ogni cosa che gli capiti davanti portandoli a diventare veramente troppo fastidiosi.

Quando però vedeva un bambino in carrozzina o nel passeggino, il suo cuore faceva una capriola e gli occhi le brillavano alla vista di quella minuscola creatura cullata tra le braccia di mamma e papà chiedendosi spesso se, un giorno, anche lei avrebbe vissuto quell'emozione.

Ma quei bambini che avranno avuto sì e no sette anni che urlavano per tutto il prato non li avrebbe sopportati un minuto di più, uno addirittura le si era avvicinato per chiederle se voleva giocare con lui e, quando le rispose di no le fece il dito medio seguito da una linguaccia.

Anche maleducati oltre che fastidiosi, di male in peggio.

Ai bambini si aggiungeva il gruppo delle vecchie: nonna Angela, la madre di Massimo, zia Eliana, zia Giovanna e ovviamente zia Ada, vestita con un abito a fiori e con un sorriso, palesemente finto, dipinto sul volto.

dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora