21. fregene

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Chiara
Fregene è sempre stato il mio posto del cuore.
Era a Fregene che la mia famiglia mi portava le prime domeniche di giugno, quando l'odore d'estate iniziava a farsi sentire; era delle vacanze a Fregene che custodivo i ricordi più belli con la mia famiglia, quando mamma e papà ancora stavano insieme; ed era sempre a Fregene che avevo dato il mio primo bacio, durante un falò con gli amici di Sofia, che però non concluse nulla di buono.
Fregene era sempre stato il mio rifugio, il mio posto sicuro: quando aveva sedici anni, ad esempio, litigai così tanto con mia madre che presi il motorino diretta verso la spiaggia, rimanendoci fino all'alba del mattino seguente quando mia madre mi trovò mezza addormentata sulla sabbia. Inutile dire quanti schiaffi ricevetti, oltre al motorino che fu chiuso in garage, la cui chiave mi fu sempre stata nascosta.

Era a Fregene che avevo vissuto le emozioni più belle: il mio primo falò, i miei primi passi, il primo bacio e la prima volta che riuscii a salire in piedi su una tavola da surf per più di cinque secondi, per poi venire abbattuta da una potente onda.

Ed è sempre a Fregene che mi ritrovo adesso, con persone che fino a un mese fa nemmeno conoscevo, ignorando il compito di fisica per il quale mia madre mi ucciderà sicuramente.

«Dai regà, cantiamo qualcosa» propone Alessandro, seduto sul telo che aveva scoperto avere in macchina qualche minuto fa.

«Già le nuvole non promettono niente di buono, figurati se ci mettiamo a cantare» dico io, guadagnandomi un'occhiataccia da Alessandro.

«Ha ragione Chiara, meglio non aizzare questo tempo» mi da ragione Sara, alzando gli occhi verso il cielo parzialmente ricoperto da nuvoloni grigi.

«Parlate per voi, noi abbiamo delle voci da usignoli, vero Ale?» dice Niccolò cercando conforto nel suo migliore amico.

«Verissimo Nico, e siamo pronti a dimostrarvelo» annuncia prendendo tra le mani la chitarra che, a detta sua, Niccolò aveva lasciato a casa sua un paio di sere fa.

«Famo 'n pezzo de Vasco, ce stai?»

«Vita spericolata?» consiglia Alessandro, ottenendo un sorriso dal moro di fronte a lui.

«Vita spericolata.»

Detto questo Alessandro iniziò ad accarezzare le corde della chitarra con le dita, dando vita a una melodia che ricordava vagamente quella di Vasco, iniziando ad intonare i versi della canzone.

E poi ci ritroveremo come stars
A bere del whisky al Roxy bar
O forse non c'incontreremo mai
Ognuno a rincorrere i suoi guai
Ognuno col suo viaggio
Ognuno diverso
E ognuno infondo perso
Dentro i fatti suoi

Sorrido nel vedere Niccolò spensierato cantare insieme al suo migliore amico.
E mi domando ancora come possa essere io qua, come possa essere lui qua dopo le parole che ci siamo urlati meno di due settimane fa, come possa esserci ancora questa strana cosa che non ha un nome, troppo piccola per definirsi relazione ma allo stesso tempo troppo grande da definirsi amicizia.

Il pensiero che quei baci per lui non abbiano significato niente mi tormenta da un mese ormai, ma il ricordo della sua immagine di fronte alla porta del mio appartamento, con il fiatone a causa della corsa e il disperato bisogno di baciarmi le scaccia tutte.

Voglio una vita spericolata
Voglio una vita come quelle dei film
Voglio una vita esagerata
Voglio una vita come Steve McQueen
Voglio una vita che non è mai tardi
Di quelle che non dormi mai
Voglio una vita, la voglio piena di guai

Le voci di Alessandro e Niccolò sono l'unico suono, oltre a quello del mare, udibile in mezzo a quella distesa di sabbia. Tutti quei suoni mischiati rendono l'atmosfera terribilmente rilassante. Basta una chitarra e quattro persone per essere felici?

dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora