25. buonanotte

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Chiara, 19/12
02:51

«Chi è Eleonora?»

Siamo seduti da mezz'ora sulla spiaggia di Fregene, uno al fianco dell'altro in silenzio, a contemplare il rumore del mare che sembra essere l'unica forma di vita presente nel raggio di cento metri.

«Niccolò, ho il diritto di sapere» dico ad un tratto, puntando i miei occhi sulla sua figura. «Mi inviti al locale, canti una canzone che sembra fatta a posta per noi e poi ti vedo a parlare con la stessa ragazza della foto, sempre quella che ci ha interrotto fuori dalla discoteca quando stavamo per...hai capito, via»

«Quale foto?» domanda lui voltandosi verso di me.

Inizio a balbettare, cercando di mantenere la calma. «Quella in camera tua, proprio spra la scrivania...»

Vedo lo sguardo di Niccolò incupirsi e il respiro farsi più pensaente, ho seriament paura di ciò che possa dirmi. «Hai ficcato il naso nelle mie cose, Chiara?» domanda, il tono della voce è ancora calmo, proprio come lo è il mare poco prima della tempesta.

«Non ho ficcato il naso da nessuna parte, Niccolò. Mentre mi preparavo, la mattina in cui eri uscito per andare da Gabriele mi è caduto l'occhio sulle foto appese, tra cui anche quella» spiego sicura. «Se volevi che nessuno le vedesse dovevi chiuderle dentro ad una scatola, non appenderle al muro» continuo con un tono forse troppo arrogante, che sembra far innervosire il ragazzo al mio fianco.

«Decido io cosa fare con le mie cose, non sei tu che devi dirmelo» sbotta, alzando di poco la voce. «Quelle sono cose mie e tu non hai alcun diritto di ficcarci il naso!»

Lo guardo incredula, sembra completamente impazzito a causa di una cosa insignificante, di cui è lui ad avere torto. Che male c'è se ho visto un paio delle sue foto quando è stato lui ad appenderle in camera così da renderle visibili?

«Niccolò, non so cosa ti stia prendendo. Forse è meglio che vai a casa e ti rilassi un po'...dai, andiamo» dico con il tono più pacato che abbia mai usato, facendo segno di andarcene. Ma con questo, invece di tranquillizzarlo ottengo l'effetto opposto, accendendo in lui un'ira che mai avevo visto.

«Niccolò un cazzo, Chiara!» sbraita alzandosi, nel mezzo della spiaggia vuota e silenziosa in cui si possono udire solamente le sue urla. «Sei stata la prima ragazza che ho portato a casa e la prima che ha dormito nel mio letto. Hai veramente il coraggio di dubitare di me dopo tutto? Dopo quella maledetta canzone che nemmeno avrei dovuto scrivere? Secondo te, se ci fosse stato qualcosa tra me ed Eleonora io sarei venuto fuori da te e ti avrei quasi baciata? Ho provato a fartelo capire in qualsiasi modo, ti ho mandato dei segnali che anche i ciechi sono riusciti a vedere ma tu niente, sei rimasta completamente indifferente.» Assumo uno sguardo corrucciato, io non ho ricevuto alcun segnale da parte sua se non quello di stargli a debita distanza. «Io mi fidavo di te ma a quanto pare eri tu a non a non avere fiducia in me, e forse è meglio così. Forse non dovevamo nemmeno incontrarci io e te, perché se non c'è fiducia non può esserci niente.» la sua voce è rotta, le urla si sono mutate in parole a malapena percebili, ma a mia sfortuna sono riuscita a comprenderle tutte, dalla prima all'ultima.

Annuisco, cercando di reprimere le lacrime che minacciano di uscire. Niccolò non è arrabbiato perché ho guardato le sue foto, è arrabbiato perché ho dubitato di lui dopo tutto ciò che ha fatto per me, non sono riuscita ad aprire gli occhi di fronte ad una cosa più grande di me che non sono stata in grado di gestire, e queste sono le conseguenze.

«Se è questo ciò che pensi va bene, non sono nessuno per poterti far cambiare idea. Sei grande e vaccinato per prendere da solo le tue decisioni.» dico con voce tremante, cercando di evitare il suo sguardo.

Lui rimane in silenzio, forse si aspettava una reazione diversa da parte mia. Forse si aspettava che gli buttassi le braccia al collo supplicando perdono e dicendogli che lo amo alla follia. Ma io non sono una disperata ragazza innamorata in cerca di attenzioni che dipende da lui, ho una vita e lui non è la mia priorità. Adesso però devo solo convincere me stessa che questo sia vero.

Annuisce, poco prima di mettere la mano in tasca estraendola poco dopo con in mano le chiavi della macchina. «È tardi, meglio se andiamo.» dice secco mettendosi in cammino verso la macchina, mentre io mi limito a seguirlo da lontano.

Il viaggio è silenzioso e terribilmente lungo, tanto che sembra non finire più. Lo stereo è spento, si sentono solo i nostri respiri diventati ormai pesanti e il rumore delle ruote che sfrecciano sopra l'asfalto. Nient'altro se non un sacco di parole non dette ma che vorrebbero uscire dalla mia bocca, ad esempio vorrei dirgli che io di lui mi fido, che negli ultimi mesi è diventato il pensiero che non abbandona la mia mente, che è diventato improvvisamente piacevole andare a scuola solo perché c'è lui ad aspettarmi seduto all'ultimo banco con i suoi occhiali che sto imparando ad apprezzare e che non faccio altro che aspettare il sabato sera solo per essere riportata a casa da lui e sapere che non se ne andrà fin quando non mi vedrà entrare in casa, vorrei dirgli che quella che ha cantato stasera è la canzone più bella che io abbia mai sentito e che solo per lui ho iniziato a vedere le partite della Roma, una cosa che nemmeno per mio padre ho mai fatto. Vorrei dirgli che mi piace, che mi piace da morire e che il solo pensiero di non vederlo o sentirlo per un giorno mi fa stare male.

Ma sto zitta. Rimango zitta a fissare la sua mascella contratta e la vena sul collo leggermente visibile, mentre guida con la mente affollata da chissà quanti pensieri negativi su di me. Magari sta pensando a quanto odio provi nei miei confronti, o magari sta pensando al pareggio della Roma con la Sampdoria, che poco fa una notifica del suo telefono ha annunciato.

L'orologio segna le 4:02 quando oltrepassiamo il cartello che ci indica di essere in territorio romano, e la differenza è alquanto visibile. I lampioni illuminato la città e qualche macchina viaggia per le strade, affiancata dalle poche persone che sono uscite per prendere una boccata d'aria: signore con i cani, coppie che camminano per mano e qualcuno che ha avuto il coraggio di correre in pantaloncini corti e in canottiera, a metà dicembre. È proprio vero che questa città non muore mai; che siano le prime luci dell'alba, mezzogiorno o le tre del mattino a Roma c'è sempre gente che corre in qua e là, ed è bellissimo.

Nel giro di quindici minuti la macchina di Niccolò si apposta sotto il mio condominio, nel silenzio più assoluto. Mi slaccio la cintura ed apro lo sportello, prima di lanciare una veloce occhiata al ragazzo di fronte trovandolo a fissare un punto indefinito davanti a se. Nel mio cuore si forma una piccola crepa, il senso di colpa mi sta divorando. Mi sento così impotente, ma la cosa che più mi ferisce è il fatto di non avere il coraggio di parlare e di restare a guardarlo, soffrendo più di lui.

«Allora buonanotte, ci vediamo lunedì...» dico, quasi sussurro, con lo sguardo basso.

«Buonanotte» risponde freddo, senza degnarmi di uno sguardo. Al che annuisco, come per far capire a me stessa che ogni tentativo è inutile e che qualsiasi parola io dica, lui mi ignorerebbe.

Chiudo lo sportello, cercando di fare il minimo rumore data la tarda ora. Roma sarà anche una città viva, ma questo quartiere è peggio di un cimitero quando cala la notte, se non fosse per un'anziana signora che vive nel piano inferiore al mio sempre pronta a ficcare il naso negli affari altrui, tanto che anche alle ore più improbabili si trova in terrazza con le sue parole crociate ormai finite, intenta a guardare cosa succede fuori. Non appena lascio definitivamente il veicolo quest'ultimo, dopo essere stato messo in moto da Niccolò, sfreccia via.

Ed è quando se ne va senza aspettare che sia entrata in casa che capisco di averla fatta grossa, e che farmi perdonare sarà dura.

Asciugo velocemente una lacrima traditrice, dirigendomi a passo svelto verso il palazzo determinata a chiudermi in camera ed uscirne il più tardi possibile, ma una voce mi interrompe. È la signora Barbara, quella del primo piano, che mi richiama con sguardo dolce ed un piccolo sorriso accennato, il pensiero di mostrarmi così agli occhi della gente un po' mi mette in soggezione.

«Stai tranquilla, se veramente tiene a te tornerà, prima che tu te accorga» mi dice, facendo l'occhiolino.

Le rivolgo un sorriso, entrando subito dopo all'interno del palazzo. Sono troppo debole per intraprendere anche la più elementare delle conversazioni, l'unica cosa che desidero è sprofondare nel mio letto e buttare fuori tutto ciò che fino ad ora ho tenuto dentro.

dove il cielo si muove se lo guardi attentamenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora