10. roma

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Roma, una città con duemilasettecento settantaquattro anni di storia alle spalle, una città che ne ha viste di tutti i colori a partire da Romolo che uccise Remo, i gladiatori che combattevano all'interno del Colosseo, tutti i re che si sono susseguiti fino ai giorni nostri, l'addio di Totti al calcio, i vari di turisti che gettano i centesimi nella fontana di Trevi per sperare di tornare in quella città magica, le teste all'insù della gente per ammirare le meraviglie dei musei vaticani e gli occhi meravigliati dei bambini allo scoprire che quelle costruzioni sono lì da più di duemila anni, molto di più.

Roma è la città eterna.

E Chiara la amava, con tutto il suo cuore; non l'aveva mai vista con gli occhi di un turista che si trova di fronte alla chiesa di San Pietro per la prima volta, l'aveva vista come una semplice ragazza che il sabato pomeriggio se ne andava con le amiche a prendere un gelato in piazza Navona; per lei Roma era la sua quotidianità, era la città in cui era nata e cresciuta, quella città che l'aveva vista ridere, piangere, dare il primo bacio, mangiare a prima carbonara e uscire per la prima volta da sola con le amiche.

Ma nonostante fosse ormai la sua quotidianità Chiara l'amava come se fosse la prima volta che metteva piede nei fori, quei luoghi dove tanti anni prima, forse troppi anni prima, aveva camminato lo stesso Giulio Cesare.

Il suo punto preferito di Roma era il Pincio, uno dei colli della città che offriva un piccolo panorama sull'intera piazza de Popolo insieme alle sue chiese gemelle, su Castel Sant'Angelo e sulla maestosa ed imponente cupola di San Pietro, la chiesa più bella al mondo. Lo considerava il luogo più romantico di Roma, un bacio tra due innamorati davanti al panorama che offriva quel piccolo luogo magico lo avrebbe paragonato ad un bacio sotto la pioggia parigina in un giorno d'inverno sotto le feste di Natale.

Non era l'unica ad amare quella città, però.

Roma era tra i pochi punti presenti nella lista delle cose che Niccolò amava anche se ormai non la frequentava più come prima; l'amore di Niccolò verso Roma non aveva bisogno di continue conferme, esisteva e basta: non c'era bisogno che ogni sabato andasse a fare un giro per il centro per ricordarsi quanto bella fosse la sua città, lo sapeva e basta.

Il posto che più frequentava era il Gianicolo, lui e i suoi amici erano soliti bersi una birra sulle panchine di quel luogo che offriva un ottima vista sulla maestosa capitale, e a Niccolò piaceva fottutamente tanto, perdendosi tra discorsi di vario tipo e rimanendo ogni tanto in silenzio a contemplare il panorama che avevano davanti, che forse non sapevano valorizzare abbastanza.

«Per stasera mi affido a te, ma solo perché sono stanca» precisò Chiara una volta che il ragazzo vicino a lei ebbe messo in moto l'auto, diretto verso una meta ad entrambi ancora sconosciuta.

«Io direi che come prima tappa potremmo prendere un gelato, ho 'na certa fame» propose lui come se fossero le cinque del pomeriggio.

«Niccolò sono le quattro di notte, così tanto pe ditte»

«Statte calma, conosco 'na gelateria aperta acca ventiquattro, non te preoccupa ce sono io» si pavoneggiò Niccolò ridendo mentre la radio continuava a passare canzoni sconosciute.

Poi ecco l'illuminazione divina, come nelle favole di Vasco iniziò a rimbombare nella macchina, anche per il fatto che Niccolò aveva alzato il volume al massimo, iniziando a cantare a squarciagola quella canzone, senza sbagliare una parola e rimanendo sempre perfettamente intonato.

Chiara, per la terza volta in una serata, si prese qualche secondo del suo tempo ad ammirare un esemplare di Niccolò spensierato e felice mentre cantava quel capolavoro di canzone senza mai commettere un piccolo errore o stonare, di poco, una nota, era praticamente perfetto.

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