twenty-four

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Non appena lo vidi mi staccai da Christian, stirando nervosamente con le mani la felpa che indossavo. Il ragazzo dinanzi a me, ancora sorridente, restò confuso dal mio gesto. Fece per seguire il mio sguardo, voltandosi di spalle, e notò la figura di Alex.
«Non volevo interrompervi» disse, nascondendo un sorriso schernitore. Poi fece per continuare a parlare; «volevo solo dirti che è quasi ora di cena e che dovremmo cucinare» disse. Mi grattai il gomito, sentendomi a disagio, e annuii. Guardai Christian che sembrava ancora più perplesso di prima. Non mi sembrava il caso di continuare data la presenza del cantante, così gli feci un piccolo sorriso prima di voltargli le spalle. Lo avevo baciato. Lo avevo fatto davvero. E speravo con tutta me stessa di aver soddisfatto le sue aspettative, perché se non gli fosse piaciuto, mi sarei sentita una nullità.
Raggiunsi, dunque, il ripiano della cucina e cercai di darmi da fare. Vidi Alex riempire d'acqua la pentola, la quale appoggiò poi sui fornelli. Non mi parlava e non gliene feci una colpa. Neanche io avrei qualcosa da dire e il fatto che ci abbia colto in flagrante, era già abbastanza imbarazzante di suo. Sospirai e presi il pacco di pasta dal mobile. Nel frattempo che aspettai che l'acqua bollisse, notai Alex stare a braccia conserte mentre era appoggiato al bordo dell'isola.
«Potresti tagliare i pomodorini?» domandai, ma era troppo impegnato a fissare il mobile dinanzi a se.
«Alex?» lo richiamai e lui sembrò essersi appena svegliato dal sonno.
«Cosa?» domandò.
«Ti ho chiesto se potresti tagliare i pomodorini, per la cena» ripetei.
«Dove sono?»
«In quella cesta» gliela indicai, puntando il dito dietro le sue spalle. Lui fece come detto, iniziando a tagliarli, ma in modo sbagliato.
«Dovresti togliere le foglioline» dissi, trattenendo un sorriso. Lui posò lo sguardo su di me, non appena vide avvicinarmi alla sua figura. Le nostre spalle si scontrarono e le mie mani sfiorarono le sue. Sapevo mi stesse guardando e cercai di controllare mentalmente i miei istinti, non facendomi condizionare dalla scarica di brividi che mi procurò quel tocco. Feci finta di niente, continuando a tagliare in due pezzi i pomodorini. Poi mi staccai da lui, prendendo un altro pentolino per cuocerli. Buttai anche la pasta e aspettai che il tutto fosse pronto. Sbuffai leggermente, portandomi i capelli di lato, appoggiando poi le mani sul ripiano in marmo. Lui invece, si mise accanto a me, nella stessa posizione in cui era prima che lo risvegliassi. Lo guardai e lui fece lo stesso. Era come se avessi paura di farlo, come se non ne avessi più la capacità. I suoi occhi marroni erano diversi, forse Maria faceva bene a chiamarlo Malinconia. In questo momento rappresentava di esserlo al massimo. E avrei voluto chiedergli cosa lo tormentasse, a cosa stesse pensando in quell'istante. Ma non lo feci. Sapevo bene che non avrei avuto risposte e che avrei perso tempo. Sembrava già esserci quell'aria di distacco tra noi, quel velo di diffidenza che ci colpì entrambi. Lo sapevo che avrei rovinato tutto.
«Che fame, oh» disse Luigi entrando in cucina. Poi si avvicinò a me ed Alex, notando l'atmosfera silenziosa che si era creata. Si sedette sullo sgabello dinanzi a noi e il cantante si voltò, giacché dapprima stava di spalle. Luigi mi guardò e sembrò capire tutto, cerco di consolarmi con un sorriso che, non riuscii a ricambiare.
«Avete visto cos'ha preparato Maria?» domandò il cantante di Rudy. Alex ed io negammo con un cenno di testa.
«Possiamo scrivere dei biglietti in forma anonima e alcuni verranno letti in puntata» spiegò, nel mentre che scolai la pasta e ci aggiunsi i pomodorini ben conditi.
«Che stronzata» mormorò Alex.
«Avrai modo di dichiararti a me senza dirmelo in modo diretto, amico» scherzò Luigi, facendo spuntare una fossetta sul viso del ragazzo al mio fianco. Sorrisi lievemente e mi soffermai a pensare a quanto fosse bello il loro legame. Ricordava me e Carola.
«Aspettatelo, allora» gli resse il gioco Alex.
«La cena è pronta» dissi io, attirando l'attenzione di Tommaso e Simone. Ognuno prese il suo piatto e si servì autonomamente. Tutti tranne me, che di fame non ne avevo. Come se la bocca del mio stomaco fosse serrata e disgustasse qualsiasi cosa.
«Che cosa stai facendo?» domandò Alex, nel momento in cui feci per andare in stanza.
«Devi mangiare» continuò.
«Non ho fame» feci spallucce e lui non replicò, così continuai per la mia strada giungendo in camera. Mi avvicinai al mio letto, e sfiorai con il polpastrello la piccola foto che tenevo attaccata sulla parete. L'unica foto.
«Non penserai mica di toglierla?» sentii dire alle mie spalle. Prima o poi sarei morta d'infarto.
«Che vuoi, Alex?» sbuffai, girandomi verso di lui. Alzai un sopracciglio nel vederlo con un piatto di pasta tra le mani.
«Sei scemo?»
«Almeno il minimo devi mangiarlo» disse, sedendosi sul mio letto.
«Se avessi voluto mangiare l'avrei fatto di là, in cucina» risposi, restando in piedi al letto.
«Mangia, altrimenti si raffredda» disse, porgendomi il piatto che, di controvoglia, presi. Mi sedetti accanto a lui e lo guardai divertita.
«Che c'è?» disse.
«Devi guardarmi mangiare?»
«Sarebbe un po' strano lasciarti qui in camera, da sola, mentre mangi» disse. Beh, aveva ragione.
«È strano anche mangiare in tua presenza» dissi. Più che strano, direi imbarazzante.
«Non puoi mangiare e basta?» sbuffò.
«Sembri mia madre» dissi, portando della pasta alla mia bocca.
«Non sarebbe contenta se ti vedesse saltare la cena» disse lui, ed io finii di masticare prima di parlare.
«Infatti spero non venga a saperlo» mormorai, continuando a mangiare. Lui si tolse gli scarponi, per poi incrociare le gambe sul letto. In mente pensai a cosa lo spingesse a restare qui, ben sapendo che qualche oretta fa le mie labbra baciavano quelle di un altro. Forse la mia teoria era sbagliata, forse a lui davvero non importava di me e in tutto questo tempo ho solo creato scenari inutili.
«Non ne voglio più» dissi ancora a bocca piena. Lui mi guardò, poi guardò il piatto.
«Avevi detto il minimo» mi difesi.
«Il minimo non significa mangiare solo dieci tubetti di pasta» disse. Alzai gli occhi al cielo e feci per posare il piatto sul comodino accanto al letto. Mi appoggiai allo schienale e mandai giù l'ultimo boccone. La sua piccola risata, però, mi confuse. Si protese verso di me, avvicinando la sua mano al mio viso. Ma come uno scatto veloce, gli presi polso, arrestando ciò che stava per fare. Sembrò restarci male, e scostò il suo polso dalla mia debole presa.
«Sei solo sporca qui» fece per pulirmi l'angolo della bocca, guardando quest'ultima più del dovuto. Sospirai, nel momento in cui le sue dita si allontanarono dalla mia faccia. Poi mi guardò a lungo, con sguardo perso ma senza nessuna forza, io calai il mio. Perché mi sentivo così? Come se avessi sbagliato tutto?
«State insieme, adesso?» sussurrò, e notai a sguardo basso, il suo toccarsi freneticamente le mani.
«No»
«L'hai baciato» pronunciò a bassa voce, come se stesse parlando con se stesso, e non con me.
«Lo so» mormorai, alzando di poco gli occhi su di lui che continuava a guardarmi inespressivamente.
«E quindi?»
«Non ne abbiamo parlato. Perché sei arrivato tu e- adesso sono qui con te» sospirai, guardando le sue labbra che formarono un sorriso malinconico.
«Dovresti essere con lui adesso, non con me» disse, ma io non risposi. Sentivo in me solo quella sensazione di strazio e avevo una gran voglia di urlare a squarciagola quanto io sia stata stupida. Stupida non per aver baciato Christian, ma per l'inutile senso di colpa che provavo.
«Non devi andar via, Alex» mi alzai, seguendo il ragazzo che stava per aprire la porta della camerata.
«Scusa, sono stato un'idiota» sussurrò, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Avrei potuto corrergli dietro, lo so. Ma cosa avrei dovuto dirgli?
Alex aveva ragione ed io non volevo accettarlo. La nostra non era semplice amicizia e le cose con Christian hanno complicato tutto. Hanno reso ancora più difficile la situazione, più di quanto non la fosse stata già. E questo non faceva altro che confermare la mia teoria. L'avevo perso. Ho perso Alex.

«Che sonno, mamma mia» sentii dire da Carola, una volta giunta in camera. Ero nascosta tra le mie coperte, nascondendo di conseguenza il mio mal umore.
«Dormi già, Vale?» chiese la ballerina, sedendosi sul suo letto. Scostai il piumone sotto il mio naso, in modo che potessi vederla.
«No» mormorai.
«Cos'è successo?» domandò poi, notando il mio tono di voce.
«Quello che non ti aspetteresti mai» dissi, portandomi le mani sul viso. Mi misi poi a sedere, facendole segno di sedersi accanto a me e così fece.
«Ci sono tante cose che non mi aspetterei da te. Hai saltato la cena, ad esempio» disse.
«Ho mangiato. Alex ha portato la cena da me, qui in camera» dissi.
«Era per te? Pensavo volesse mangiare da solo in camera sua! È stato dolce, non credi? Si è preoccupato» iniziò a parlare, ed io feci una risata amara.
«Ho baciato Christian» sbottai, calando lo sguardo.
«Cosa?! Cosa hai fatto? Oh mio dio» si portò una mano sulla bocca. La guardai, trattenendo un sorriso per la sua reazione.
«E non sei felice? Hai seguito il mio consiglio» continuò.
«L'ho seguito si. Ma avevo ragione io, Ca'. Scegliendone uno, avrei perso l'altro» mormorai e cercai con tutta me stessa di trattenere le lacrime.
«Non lo hai perso. Vedrai che passerà e sarà come se niente fosse successo» disse.
«Non credo sia tutto così semplice» dissi.
«Non potrà tenerti il muso lungo per tutta la vita, lo vedrai tu stessa. Fidati di me» mi accarezzò la spalla con la sua mano. Lo spero tanto, Ca', lo spero tanto. Perché l'idea di vedere Alex come uno sconosciuto, non mi andava giù.

Quando Carola andò a mettere il pigiama, decisi di andare in cucina. Portai il piatto in lavastoviglie e non appena fu pulito, lo asciugai per rimetterlo a posto. Sul divano c'erano Dario e Sissi, mentre a tavola Rea, che scriveva qualcosa sul computer.
Decisi allora di recarmi fuori e, fortunatamente, non c'era nessuno. Così mi abbandonai alla brezza del vento, portandomi le gambe al petto, le quali abbracciai appoggiando la testa sui ginocchi. Quasi quasi mi addormento, l'idea non è male. Erano appena le undici di sera e alcuni erano già a letto. Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare. Ricordo bene quando, con mio fratello, trascorrevo le ore in giardino di sera sulla nostra amaca. Gli raccontavo le storie e una volta addormentato, lo prendevo in braccio a mo' di sposa, e lo mettevo a letto.
I miei pensieri vennero arrestati quando delle labbra mi baciarono la tempia. Aprii gli occhi e vidi Christian prendere posto accanto a me.
«A che pensavi?» mi domandò.
«A mio fratello, Timmy» risposi.
«Ti manca?» disse ed io annuii.
«Mi manca tanto» sussurrai e mi vennero gli occhi lucidi. A vedermi così, Christian mi prese tra le sue braccia ed io mi appoggiai stretta al suo petto.
«Qual è il suo nome intero?»
«Timothée, l'ha deciso mio padre che è di origine francese» risposi.
«Hai origini francesi?» domandò sorpreso, ed io feci sì con la testa.
«Sei nata in Francia?» chiese poi, incuriosito. Era una curiosità che non mi infastidì, dato che avevo voglia di parlargli di me.
«Sì, mi sono trasferita in Italia a tre anni. Però ci sono ritornata alcune volte, ho avuto anche l'opportunità di esibirmi in diversi teatri francesi» dissi sorridendo. Lui iniziò ad accarezzarmi i capelli nel mentre che raccontavo.
«Ci porterai anche me?»
Mi allontanai dal suo petto per poterlo guardare in faccia. Sorrisi alla sua proposta.
«Guarda che non sono nata mica a Parigi. Ti accontenterai del mio piccolo paesino di Cucuron» dissi.
«Mi basterà visitare Cucuron. Poi a Parigi ti ci porto io personalmente» disse sorridendo. Non ci ero mai stata negli anni, quindi accettai.
«A casa tua non mi porti?» domandai, portando una mano tra i suoi capelli.
«A Bergamo? Quando vuoi. Sono sicuro che andrai d'accordo con mia sorella» disse.
«Si, sembra simpatica» sorrisi.
«Non quanto me»
«Oh si, mi scusi» feci una risatina, accarezzandogli lo zigomo con il pollice. Lui smise di toccarmi il capelli, per spingermi la testa contro di lui. Si sporse verso di me e mi baciò di nuovo. Ricambiai e le nostre lingue iniziarono a rincorrersi. Un bacio voglioso, quasi desiderato. Mi staccai leggermente, rossa sulle guance. Le nostre fronti l'una sull'altra e il suo respiro che picchiettava sulle mie labbra ancora umidite.
«Quindi adesso posso baciarti quando voglio?» domandò, ed io feci spallucce regalandogli un piccolo bacio a stampo. Poi un altro, ed un altro ancora. Lui se la rise, prima di approfondire l'ultimo bacio che gli diedi, per poi dire: «lo prendo come un si»

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora