seventeen

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Il giorno dopo, andai a lezione con Sebastian. Mi trovavo molto bene con lui essendo un ragazzo molto educato e disponibile. Chissà se un giorno in questa scuola avrei potuto esserci io. Mi sarebbe tanto piaciuto, soprattutto stare a contatto con questi ballerini, dei quali avevo seguito il percorso negli anni precedenti.
Ieri sera, tornata in casetta, mi aspettò l'interrogatorio di Carola. Mi trascinò dritta in camera per farsi raccontare qualsiasi cosa fosse successa, per filo e per segno. Anche se una parte di me era contraria, forse per l'imbarazzo forse per ciò che poteva pensare, le raccontai cosa ha portato me ed Alex ad avvicinarci così tanto. Evitai di spiegarle tutto nel dettaglio, omettendo i momenti intimi tra me e il cantante. Mi focalizzai maggiormente sullo scambio di battute, di sguardi e consigli. Su come Alex riuscisse a mostrare quella parte di se che era tutt'altro che timida. Su come lui riuscisse a farmi sentire diversa da come ero solita comportarmi. E alla domanda di Carola, sul fatto se mi piacesse o meno, mi affrettai a rispondere che la nostra era semplicemente amicizia. Sul termine amicizia, molto probabilmente, ci riderete su. Perché anche uno sconosciuto direbbe che non riguarda nessun tipo di rapporto amichevole il nostro. Ma a me Alex non piaceva. Cavolo si, è bello e affascinante ma.. se dovessi mai immaginarmi insieme ad una persona come lui, non ci riuscirei. Sarei quel puntino colorato in mezzo a tutto quel nero: sarei d'intralcio, fuori luogo. Io ed Alex siamo diversi tra noi, ma simili sotto alcuni aspetti. Come la timidezza in pubblico, il carattere riservato e a volte rabbioso. Ma facciamo entrambi parte di due mondi differenti e non so questo quanto avrebbe potuto aiutare. Quindi no, Alex non potrà mai piacermi se ipotizzassimo una relazione. Dio, perché ci sto anche pensando quando a lui non passerà nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di un noi? Ero patetica, non potevo farci niente.

«Come sta papà?» domandai a mia mamma, mentre eravamo in chiamata su FaceTime. Ero fuori in giardino, dove la connessione prendeva meglio, godendomi così anche l'aria fresca di questa giornata di novembre.
«Tutto bene, è a lavoro adesso. Il piccoletto vuole salutarti» disse, facendomi segno col capo che alla sua destra c'era mio fratello.
«Ehi, piccolino» dissi, nascondendo la tristezza che si sparse nei miei occhi. Mi mancava tanto.
«Ciao sorellona, come stai?» domandò, mentre giocava con una macchinina.
«Va tutto bene e a te? Con la scuola?»
«L'altro giorno la maestra mi ha dato un dieci per il tema sulla felicità» disse fiero.
«E sai cosa ha fatto la mamma?» continuò, guardandomi in camera.
«Cos'ha fatto?»
«Indovina» disse, ed io feci per pensarci su.
«Ti ha comprato un nuovo giocattolo?» dissi, ma lui scosse la testa sorridendo.
«Mi ha iscritto alla scuola di hip hop»
«Stai scherzando?» domandai euforica.
«Avevo promesso che lo avrei fatto» si intromise la voce di mia madre. Cavolo se ero contenta, vedere realizzare i sogni di mio fratello era come se stessi realizzando i miei.
«Sono tanto contenta, Timmy» dissi felice.
Iniziammo poi a parlare del più e del meno, per poi chiudere la chiamata.
«Chi è Timmy?»
«Non puoi sbucare da un momento all'altro come se niente fosse» dissi, portandomi una mano al petto. Alex prese posto accanto a me, prendendo le mie gambe per appoggiarle sulle sue. Repressi un sorriso a quel gesto, per poi rispondere alla sua domanda.
«È mio fratello, comunque»
«È più piccolo?» domandò guardandomi, ed io annuii.
«Mia madre lo ha iscritto ad una scuola di ballo, ed è sempre stato il suo sogno. Vorrei essere stata lì per poterlo abbracciare» dissi triste.
«Senti spesso nostalgia di casa?» domandò, accarezzandomi la gamba coperta dal pantalone della tuta.
«No, in realtà. È solo che sono molto legata a lui, quindi ci sta che mi senta così» mormorai, giocando con i lacci della mia felpa.
«Pensa che un giorno uscita da qui, potrai fargli da insegnante tu stessa» disse, facendomi sorridere. L'immagine di me insegnante di ballo sarebbe anche un altro obiettivo da poter raggiungere.
«Ti immagini mai al di fuori di questo contesto?» domandai.
«Credo che se non fossi entrato qui, adesso starei a casa a comporre sul mio letto» disse.
«Ti chiudi spesso in camera a scrivere?»
«Si, la maggior parte delle volte. Evitavo di uscire con i miei amici per far baldoria, perché preferivo stare a casa con la mia chitarra» raccontò. Ed io mi sentii così felice che si stesse raccontando a me.
«Suoni anche il piano, giusto?» domandai, e lui annuì.
«Ho sempre voluto imparare, ma tra scuola e danza non ho mai trovato il tempo» sbuffai.
«Vuol dire che un giorno sarò io ad insegnarti» disse fiero.
«Ti mancano solo gli occhiali e puoi entrare nel ruolo di maestro» scherzai.
«Prenderò quelli di Nicol» sorrise, ed io iniziai ad immaginarmi un Alex con gli occhiali mentre suonava. Perché era così terribilmente sexy?
«Come preferisce, professor Rina» dissi.
«Basta che tu sia una brava alunna» mormorò, strizzando la mia coscia. Mi morsi istintivamente il labbro inferiore alla sua presa salda. Le sue mani, ricoperte da anelli e le vene accentuate, mi fecero andare in tilt il cervello.
«Ci sono gli altri in cucina» dissi, facendogli notare la presenza dei ragazzi oltre le vetrate trasparenti.
«Già sai cosa ne penso» disse. In pratica, non gliene fregava niente.
«E sai anche cosa ne penso io» feci per dire.
«Ed è ciò che voglio farti cambiare, ossia l'idea di farti condizionare da chiunque» disse sbuffando. Prima o poi si stancherà di questa storia, a furia di ripeterlo sempre.
«Ci stanno guardando? Bene. Avranno da dire qualcosa? Bene, che dicano ciò che vogliono. Perché alla fine quella sarà la loro versione, mentre qui, a vivere il momento, ci siamo solo io e te» sbottò.
Ammiravo tanto la sua strafottenza del parere altrui, speravo un giorno di poterla ereditare.
«Va bene» mi limitai a dire.
«Aspetterò quando la tua mente sarà pronta a fare propria questa cosa» disse, ed io gli diedi uno schiaffo divertito.
Poi cambiammo posizione: lui sempre seduto nella stessa maniera, ed io accanto con le gambe incrociate.
«Tu invece?» domandò improvvisamente.
«Cosa?»
«Cosa staresti facendo al di fuori di questo contesto?» fece per voltarsi a guardarmi.
«Molto probabilmente la mia vita di sempre. La mattina a scuola e il pomeriggio in palestra» feci spallucce.
«Vai ancora a scuola?»
«Sono stata bocciata in primo superiore» ammisi e lui spalancò gli occhi.
«Non ci credo, non è possibile» si portò un pugno chiuso dinanzi alla bocca, sorpreso dalla mia confessione.
«Sono sicuro che tu sia quel tipo di persona che si studia anche i punti e le virgole di un capitolo» disse.
«Ehi, guarda che non sono una secchiona come tu credi» mi difesi.
«Mi sorprendi sempre più» mormorò.
«Scemo» dissi scuotendo la testa divertita; ma la nostra conversazione venne interrotta dalla voce di Maria, che ci portò a sederci tutti sulle gradinate.
«Ciao ragazzi, mi riferisco ai cantanti soprattutto» disse la voce della donna.
«Busta?» domandò Luca.
«No, nessuna busta. Voglio solo assegnarvi un compito che mostrerete in puntata» disse.
«Cioè?» domandò Tommaso.
«Vi verrà mostrata una lista di canzoni che riguardano la rabbia e la felicità. Voi dovete scegliere quali dei due sentimenti portare, scrivendo un piccolo appunto su cosa sia per voi» disse.
«Una nota a parte, quindi? Non deve essere introdotta nella canzone» disse Luca, ricevendo conferma dalla donna, prima di chiudere il collegamento. Sul televisore apparvero le diverse canzoni divise per categoria. Molto probabilmente, se avessi dovuto scegliere, avrei optato per la felicità. La rabbia che spesso provo non è perenne, la sfogo su delle piccole cose, a volte causata da inutilità. Mentre ero maggiormente più felice, soprattutto se quella felicità era causata da qualcuno a me speciale.
Mentre gli altri discutevano su quale canzone portare, vidi Christian e Mattia scherzare sulle gradinate. Io e il primo parlavamo di meno rispetto a prima, e forse la mia vicinanza con Alex ne era la causa. Un po' mi dispiaceva, perché tenevo tanto a lui e notavo come il suo sguardo ritornasse cupo nel vedermi col cantante.
Nel momento in cui cercai di aprire bocca, Mattia fece partire la musica iniziando a ballare. Mentre i cantanti erano in cucina, anche Carola e Dario ci raggiunsero. Sulle note di Mala Fama di Danna Paola, iniziarono tutti a muoversi non seguendo nessun ordine e tecnica.
Mattia fece segno di seguirlo nei passi di latino, ci cimentammo tutti in un ballo di gruppo.
«C'è una festa e nessuno mi ha invitato?» entrò nella stanza Luigi, con i suoi tipici occhiali appoggiati sulla testa. Si alzò sul primo gradino e lo raggiunsi prendendo i suoi occhiali per poi indossarli.
«Ladra» disse sorridendo.
«Oh, Gigi, mostra cosa sa fare quel culo» urlò Christian.
«No, che poi sei geloso» rispose l'altro.
«Dai, sono curiosa» mi intromisi, ma Luigi scosse la testa in segno di negazione. La nostra attenzione venne poi spostata su Dario che improvvisò un twerk. Non smisi di ridere per come la sua schiena si muovesse, sembrava una cavalletta.
«Ma cosa succede?» entrò Sissi, seguita da Alex e Albe. Videro gli altri ballare e la nuova arrivata non ci pensò due volte prima di unirsi. Notai come Alex la guardava e sentii nella mia pancia una strana sensazione. Il cantante della Cuccarini restò in piedi, con le mani dentro le tasche del suo pantalone nero. Ringraziai di aver indossato gli occhiali, così che non potesse beccarmi a fissarlo. Sarebbe imbarazzante.
«Vieni» si avvicinò Christian, porgendomi la mano.
«Eh?»
«Balla con me, scema» sorrise.
Senza pensarci due volte, presi la sua mano e scesi dal gradino. Mi portò al centro e in quel momento la canzone cambiò: Pastello Bianco dei Pinguini Tattici Nucleari. Ah, quanto adoravo questa canzone. Iniziai a canticchiarla a bassa voce, mentre Christian mi teneva ancora per mano. Lo vidi cantare insieme a me mentre sorrideva. Questo ragazzo mi trasmetteva un'allegria esagerata.

Mi chiedi come sto
e non te lo dirò,
il nostro vecchio gioco
era di non parlare mai..

Cantò avvicinando il suo corpo al mio. Mi sentivo così strana, come se ciò che sta accadendo sia tutto sbagliato. Mi portò gli occhiali bianchi sulla testa, così che potesse guardarmi. Ma non riuscivo a reggere il suo sguardo, così durante tutta la canzone mi limitai ad abbracciarlo. Sospirai alzando gli occhi dritto dinanzi a me: Alex, appoggiato al muro, mimò con le labbra le parole del testo. Solo che lo fece guardandomi.

E ti auguro il meglio,
i cieli stellati,
le notti migliori
e le docce degli altri
dove tu forse non stonerai più.

Ed io lo osservai, mentre dentro di me si scatenò una tempesta di lampi e tuoni. Sarei voluta andare da lui e chiedergli il perché di tutto questo.
Ma so che non l'avrei fatto e che chiarezza su di noi non l'avrei avuta.

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora