Quella mattina mi svegliai con tanta leggerezza. Ebbi lezione con la Celentano, di ben due ore di durata. Iniziammo a preparare le coreografie per la finale, che si sarebbe tenuta fra esattamente quattro giorni. Meno di una settimana e tutto sarebbe ritornato alla normalità. Se fossi pronta? La mia risposta è negativa. Se avessi potuto sarei rimasta qui per sempre. È diventata casa mia, nel vero senso della parola. Poi casa è un po' dove te la crei. Io l'ho trovata in queste quattro mura e nelle braccia esili di un un cantante malinconico.
Mi ritrovai in camera sua, sia lui che Luigi dormivano ancora, ed erano le dodici appena scattate. Mi bastò accendere la luce e il corpo del mio amico si mosse al di sotto delle coperte azzurre. Le braccia sbucarono fuori, intento a stiracchiarsi. Gli diedi il buongiorno, al che ricambiò con uno sbadiglio. Avendo provato ieri pomeriggio per quattro ore consecutive, le lezioni vennero spostate nei giorni a seguire, per lasciarli riposare. Mi sedetti sul bordo del letto del castano, sorridendo a quella vista. La cosa più bella che avessi mai visto. Gli accarezzai la tempia, spostando via alcuni ciuffetti di capelli che gli ricadevano nulla fronte. Le labbra socchiuse per respirare, il suo non pigiama, essendo a petto nudo a causa del caldo - nonostante fosse ricoperto dal piumone - e il suo petto che si gonfiava e sgonfiava ripetutamente. La voglia di scoprirlo e rimpicciolirmi tra quelle lenzuola era tanta. Ma tra un po' avremmo pranzato e non avrei accettato che lo saltasse per via del sonno.
Dall'altro lato, Luigi si alzò andando in bagno, munito dei suoi vestiti.
«Alex» mormorai, scuotendo la spalla del ragazzo.
Continuai a ripetere il suo nome, ma non ebbe alcuna intenzione di svegliarsi. Mugugnò qualcosa di incomprensibile, per poi aprire un occhio mezzo assonato. Piccola fossetta, viso nascosto nel cuscino, atteggiamento imbarazzato: questo era un tratto di Alex appena sveglio. Uno dei tanti.
«Ho dormito troppo, vero?» disse, con voce ancora impastata dal sonno.
Gli baciai la guancia; «tranquillo» dissi.
Mi prese il volto, poggiando le sue labbra sulle mie in un bacio casto. Si alzò a sedersi, sbadigliò circa due volte di seguito, per poi poggiare i piedi sul pavimento freddo. Lo aiutai a sistemare il proprio letto, lanciandogli una maglia sul petto nudo. Si scontrò con l'altro cantante - appena uscito dal bagno -, occupando il suo interno per circa dieci minuti. Lo aspettai in cucina. Iniziai a mangiare il filetto di manzo preparato da Michele, con il quale mi complimentai. D'improvviso, il telefono squillò. Albe corse a rispondere, guardandomi nel mentre.
«È per te» mi disse.
Alzai un sopracciglio, perplessa e preoccupata. Che avessi fatto qualcosa di grave?
Mi affrettai a portare la cornetta all'orecchio, dove sentii un'assistente della redazione comunicarmi un incontro con la costumista, questo pomeriggio. Lasciai fuoriuscire un sospiro di sollievo e confermai loro la mia presenza. Feci, quindi, per sistemare i piatti nel lavello e pulire il bancone dell'isola. Erano le tre del pomeriggio, mancava un'ora all'appuntamento.
«Cos'è questo musone?» domandai alla riccia, accomodandomi al suo fianco, in giardino. Dopo l'uscita di Dario, nella scorsa puntata, Sissi è rimasta chiusa nel suo silenzio. Anche in camera, la notte stessa, non volle proferire parola.
«Lascia stare, sono solo pensierosa» mi disse.
«Vuoi farmi conoscere i tuoi pensieri?»
Scosse la testa divertita; «Alex mi aveva detto che eri molto insistente» disse.
Feci un mezzo sorriso, sapendo che Sissi non mi avrebbe giudicata male per questo. Sapeva che parlarne con qualcuno l'avrebbe alleggerita.
«È per Dario?» insinuai.
«Non solo per lui. Percepisco brutte vibrazioni per la finale, e non vorrei» mormorò; «in saletta, con Lorella, ho dato libero sfogo alle mie lacrime. Avrò provato una decina di volte e mi sono fatta sorprendere dalle emozioni in ognuna di esse. Sto alimentando solo le mie paranoie, così. Vedo tutto in una prospettiva sbagliata. Poi- l'uscita di Dario, è stata la ciliegina sulla torta. Non sono triste per la mancanza di giorni, ma perché meritava di essere qui con noi» sbuffò.
«Lo so. Ci sono rimasta male anch'io, tanto. Vi ho sentiti parlare, quella sera. Ti ha detto di vincere, di provarci. Dovresti davvero, Sissi. Abbattersi è l'unica arma da mettere da parte, adesso. Siamo alla fine del gioco. Le emozioni ci saranno sempre, anche fuori di qui, dinanzi al tuo pubblico. E loro ti capiranno, se mai dovessero sopraffarti» le dissi, accarezzando la sua mano, com'ero solita fare.
«Ne hai parlato con Alex?» domandai, ma lei negò.
«Non ho voluto parlarne con nessuno» disse; «ma farlo con te è un sollievo ogni volta» sorrise.
Quelle parole provocarono un lieve solletico al mio cuore, sapere che qualcuno apprezzi la mia presenza, che nutra abbastanza fiducia da potersi confidare. Mi rendeva felice.
«Quando vuoi, lo sai, io sono qui» le dissi.
Mi baciò la guancia, offrendomi un tramezzino al cioccolato per merenda. Accettai e presi posto su uno sgabello accanto al bancone. Sussultai quando due mani si poggiarono sui miei fianchi, e delle labbra mi baciarono velocemente i capelli. Dal freddo metallico degli anelli, capii che si trattasse di Alex.
«Sono stato richiamato per delle prove generali in studio. Non so per quale motivo. Vale lo stesso anche per Gigi, quindi credo sia normale. Quella è cioccolata?» indicò il vasetto in vetro, cambiando discorso così di getto.
Prese tra le mani delle fette di pancarrè farcite, afferrandolo con i denti; «ti racconterò tutto dopo, okay?» mi guardò, lasciandomi un bacio.
Non ebbi tempo di rispondere che i suoi piedi si incamminarono frettolosamente al di fuori della casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Guardai Sissi che quasi non mi scoppiò a ridere in faccia. Successe tutto così in fretta che, dopo aver trascorso una buon'ora parlando di quanto impacciato Alex fosse, mi ritrovai in sala relax.
Entrai nella palestra, seguendo il corridoio, e una schiera di vestiti mi venne posta dinanzi. Non vi era nessun altro, però.
«C'è qualcuno?» domandai all'aria, guardandomi attorno. Ma nessuna risposta.
Forse sarebbero giunti tra qualche minuto, eppure mi ritrovai in anticipo. Così mi focalizzai sulle giacche e sugli abiti posti sulle grucce, sfogliandoli uno ad uno. Presi un vestito azzurro, color pastello, come il cielo di agosto. Mi guardai allo specchio, ponendolo dinanzi al mio corpo. Il contrasto creato con i miei capelli e il candido colore della mia pelle, mi illusero quanto potesse calzarmi bene. Lo rimisi al suo posto, fin quando le mie mani non toccarono il tessuto di una stoffa familiare. Stesso colore, stessa taglia, stessi dettagli. Quel maglione di lana colorato di viola era stato realizzato da mia madre, circa tre anni fa.
«Perché è qui?» mi chiesi.
Continuavo a guardarmi attorno. Incominciai a non capirci nulla, e desideravo che qualcuno potesse dare risposte alle mie domande. Poi il cigolio di una porta, una maniglia calata e dei stivali neri avanzarono verso la mia persona.
Dinanzi a me, mia madre.
Le gambe si fecero deboli, mi accasciai su di esse, portandomi una mano alla bocca.
«Piccola mia» mormorò con voce spezzata.
«Non ci credo- mamma, sei qui» dissi con voce tremolante. Mi avvicinai al plexiglass, facendo congiungere le mie mani alle sue. La guardai e sorrisi. Non era cambiata di una virgola. Forse, solamente il taglio di capelli, leggermente più corto. Ma sempre castani e lucenti, come i suoi occhi, tanto simili ai miei.
«Come stai? Papà? Timothée? I nonni?» domandai.
«Stiamo tutti benissimo. Tuo fratello non vede l'ora di vederti, così come tutti gli altri. Papà sarebbe venuto a trovarti, ma è in viaggio da ieri sera. Noi siamo molto orgogliosi di te, Vale. Sei diventata ciò che hai sempre desiderato. E guardati- sei cambiata tanto dall'ultima volta» sorrise, mentre una lacrima le sfuggì dagli occhi; «saremo con te fino alla fine. Manca veramente poco e come ben sai, devi dare il tuo massimo, più di quanto tu non lo abbia già fatto. Comunque andranno le cose, sappi che non sarà mai una sconfitta. Sei arrivata fin qui, e hai fatto tutto da sola, con l'aiuto di chi ti vuole bene. Ti seguiamo ogni giorno e siamo pronti per fare il tifo per te ed Alex, tutta la famiglia lo è» continuò, facendomi ridere imbarazzata.
«Grazie mamma, ringrazia tutti quando ne avrai la possibilità» dissi; «mi sei mancata tanto».
«Vorrei tanto abbracciarti in questo momento, tesoro. Sapere che tra meno di una settimana ti avrò tra le mie abbraccia, mi dà la forza di andare avanti. Ricordi quel maglione?» lo indicò; «l'ho lavorato all'uncinetto durante uno dei nostri viaggi in Francia. Papà mi ha detto di portartelo, così che potesse portarti fortuna. È ormai calda stagione, ma non è detto che tu debba indossarlo. In ogni caso, è grande abbastanza da calzarti ancora. Tu come stai?» mi guardò, nella sua giacca nera.
Sorrisi, tra le lacrime; «sto benissimo. Sta andando tutto bene, sebbene abbia tanta ansia per la fine di tutto. È stato un lungo percorso. Ci credi che sono passati circa otto mesi? Com'è la vita fuori? Come stanno Camilla e Federica? E i gatti della nonna?» le domandai, mentre lei se la rise per le troppe domande. Le ero mancata.
«Le ho incontrate qualche settimana fa. Mi dicono che va tutto bene e che c'è tantissima gente lì fuori a sostenerti. La vita ti aspetta, Vale. Aspetta solo un tuo ritorno, ed io ti auguro che tutto possa andarti per il meglio. Anche i gatti della nonna tifano per te, e manchi tanto anche a loro» ridacchiò; «e dimmi, come sta Alex?» aggiunse.
«Andrei a chiamarlo per fartelo conoscere, ma non penso sia possibile. Lo incontrerai presto, però. Lui sta bene, è felice, anche se tende a far prevalere la preoccupazione. È una persona meravigliosa, mamma. Vorrei tanto che andaste d'accordo. Ha tante cose in comune con papà, e non vede l'ora di intrufolarsi nella nostra libreria, di cui gli ho parlato. Gli ho promesso di stare da noi, tu sei d'accordo, vero? Non si tratta di un soggiorno permanente, solamente qualche-»
«Tesoro-» rise; «certo che va bene. Sai che ciò che rende felice te, rende felice anche me. E non vedo l'ora di conoscerlo. Sembra davvero un bravo ragazzo. Ed è entrato subito nelle grazie di Timothée, quindi direi che è perfetto» continuò.
I miei occhi si fecero limpidi, il mio cuore più leggero. Avrei sempre potuto contare su di loro.
«Piace tanto anche a papà. Una volta a cena, mentre guardavamo il serale, non smetteva di sorridere quando cantava. Ne va molto fiero. Dice che ha degli ottimi gusti musicali e che, se Alex volesse, potrebbe insegnargli a suonare la chitarra, come i vecchi tempi. Ha un po' perso la mano, e se Alex riuscisse a far fiorire nuovamente questa sua passione, renderebbe noi tanto felici. Ricordi quant'era spensierato quando suonava?» sorrise malinconica.
«Certo che lo ricordo» sorrisi; «mi manca vederlo così» dissi.
«Sei la sua unica distrazione. Sicuramente non vede l'ora di acquistare i biglietti per il teatro per venire a guardarti. Perché potrebbe farlo sempre. Scarica le tue esibizioni, se controllassi il suo cellulare sarebbe pieno zeppo di essi. Ti guarda addirittura in aereo, in treno, quando ha le pause lavorative. Sei davvero una soddisfazione, tesoro. Non potrei chiedere di meglio» mi disse.
Mi avvicinai maggiormente alla plastica trasparente, aprendo le braccia, invitandola ad abbracciarmi. Così fece, e ridemmo entrambe.
«Ti voglio bene, mamma» mormorai.
«Tanto, piccola. Mi raccomando, vinci» mi guardò.
Tirai su col naso, sospirando; «farò di tutto, per me e per voi» le dissi, prima che mi mandasse un bacio e poi andare via.
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DIFFERENT | Alex Wyse
Fanfiction"Il mio stupido cuore aveva scelto, stupidamente, te" Dove il bianco incontra il nero. La fusione di due bolle e mondi diversi tra loro, che creeranno una storia d'amore completamente incasinata. Lei, con solo la danza nella testa. Timida, delica...