twenty-six

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Era passato un giorno dalla scorsa puntata di domenica. Ieri mattina in casetta arrivò una comunicazione da parte della De Filippi: un'assegnazione per i cantanti e una per Carola. Per quanto riguarda i primi, venne affidato loro il compito di scegliere una cover e scrivere qualcosa sul sentimento dell'amore. Mentre per quanto riguarda Carola, le venne assegnata una coreografia di Veronica Peparini per indirizzarla nello studio di stili lontani dal suo. Proprio com'era successo a me.
La maglia di Simone venne sospesa nuovamente da Rudy Zerbi e il cantante non avrebbe partecipato alla prossima puntata, a meno che il professore non decida di metterlo in sfida. Quando uscii dalla mia camerata, lo vidi con la testa appoggiata sul mobile del corridoio. Stava piangendo e in quel momento, non sapevo cosa fare.
«Ehi, Simo» sussurrai, avvicinandomi alla sua figura. Gli misi una mano sulla spalla, ma lui non parlò. Sperai vivamente di non infastidirlo, ma se fosse stato così me lo avrebbe fatto notare.
«Vieni qui» gli dissi, una volta che si decise a guardarmi. Lo abbracciai forte con le mie esili braccia e lo sentii tirare su con il naso. Simone era un gran talento e trovavo insensata la sospensione della sua maglia.
«Scusa» disse, allontanandosi da me e fece per indicarmi la spalla. La mia felpa restò bagnata dalle sue lacrime, ma a me non importava. Gli sorrisi e feci spallucce, per poi accarezzargli il braccio.
«Mi dispiace che tu stia così» gli dissi.
«Passerà» mormorò con voce rotta, asciugandosi le guance bagnate con le sue mani.
«Perché non vai a farti una doccia calda e ti riposi un po'?» gli proposi e lui annuì debolmente, ringraziandomi in un veloce abbraccio, prima di andare via.
«Sembra a pezzi» mormorò una voce alle mie spalle, era Rea, appoggiata allo stipite della porta. Indossava il suo pigiama grigio e una maschera per la notte con un gatto, portata sopra i capelli.
«Lo è. Sta male ma cerca di mostrarsi impassibile, credo che il fatto che l'abbia colto sul pianto gli sia dispiaciuto. Non ama farsi vedere debole» spiegai, e Rea annuì.
«Lo capisco, lo faccio anch'io. A volte tendo a creare un accumulo dentro di rabbia o tristezza, e non riesco mai a tirarlo fuori ma-» iniziò, ma feci per continuare la sua frase.
«Ma quando arriva il momento, scoppi come una bomba ad orologeria. Succede spesso anche a me» sorrisi malinconica.
«Credo che una seduta psicologica comune ci farebbe bene, che dici?» scherzò.
«Quando vuoi, sono pronta» risi anch'io.
«Abbraccio?» domandò, aprendo le braccia e venendomi incontro.
«Abbraccio» confermai, stringendola forte a me. Era possibile notare la nostra differenza d'altezza, le arrivavo alle spalle, nonostante non stesse indossando i suoi soliti stivali alti. Poi fece per salutarmi e andò in camera da Nicol, per dormire.

Era l'una di notte, in cucina c'erano solo Luigi e Carola che parlavano.
«Se avessi avuto bisogno di me, ti avrei portata a letto. Ma hai appena detto il contrario, quindi..» sentii dire dal ragazzo, che si alzò dal divano rosato.
«Dai, scherzavo. Forse ho bisogno di te, ma solo per andare a letto» disse la ballerina, ed io repressi una risatina. Sapevo bene che Carola non avesse bisogno di Luigi solo per quello.
«Fai il gentleman e accompagnala» mi intromisi.
«Non si origliano le conversazioni altrui» disse Luigi e la testa di Carola sbucò da sopra il divano, e fu sorpresa nel vedermi.
«Siamo solo noi in questa stanza, come potrei non sentirvi battibeccare?» domandai ovvia, ponendomi dietro l'isola.
«Dai, andiamo» si alzò Carola, prendendolo per il braccio.
«Buonanotte» dissi io, vedendoli andar via, non prima di aver ricambiato il saluto.
Scossi la testa divertita perché, da quel che potevo constatare, era impossibile che Luigi non provasse niente. Neanche la minima forma di attrazione. Una persona non interessata non si comporterebbe così. 

E poi pensai a me, che sembravo saperne tanto di comportamenti strani tra due persone. Mi appoggiai con i gomiti sulla superficie marmorea, portandomi entrambi le mani sul viso e feci un verso frustato. Dovevo smetterla di pensare, di pensare a lui. Non potevo, non ora che ho fatto una decisione.

Poi le luci, improvvisamente, si spensero. Tranne quella della cappa, che come sempre restava accesa. Per tenermi impegnata, non avendo sonno, decisi di prepararmi una cioccolata calda. Non ne gustavo una da tanto tempo. Mi munii di un pentolino, latte e bustine di cacao. Cercai di non far prendere fuoco a tutto e quando fu pronto, presi posto su uno sgabello.
«Che hai preparato?» sentii una voce. La sua.
Pensai che avevo davvero bisogno di un allarme che mi avvisasse a qualsiasi avvicinamento, sarei potuta morire di infarto un giorno.
«Una cioccolata, ne vuoi un po'? Ne è rimasta, è nel pentolino» dissi, indicandoglielo. Lui fece allora per prendere una tazza e dei biscotti. Prese posto accanto a me e sentii il suo ginocchio toccare il mio.  Aveva addosso il suo pigiama, composto da una maglia a maniche corte bianca e un pantalone grigio.
«Non hai freddo?» gli chiesi.
«No, mi basta che la porta sia chiusa» ammiccò, riferendosi a una breve discussione tra noi due qualche settimana prima. Feci un sorrisetto tirato di lato e presi i biscotti, inzuppandoli nel liquido caldo. Lui mi seguì, scimmiottando i miei movimenti. Cercai di osservarlo, senza sembrare una pazza posseduta. E notai il suo pomo d'Adamo salire e scendere mentre sorseggiava dalla sua tazza, le vene sulle sue mani e i vari bracciali che indossava.
«Non guardarmi» mormorò.
Merda, ero stata colta in flagrante.
«Io- io non ti stavo guardando» mi schiarii la voce, ritornando composta. Fece una risatina, poggiando la tazza sul tavolo.
«Buona, comunque» disse, riferendosi alla cioccolata.
«È solo una cioccolata» mormorai, passando con i polpastrelli il bordo della tazza.
«Non tutti la sanno preparare bene. Qualche anno fa, mio padre la bruciò tutta» disse, facendo un sorriso amaro. Non mi aveva mai parlato della sua famiglia.
«Sbagliando si impara, Alex» canzonai.
«A volte, troppo impegnato dal lavoro, si dimentica di star facendo altro. Ti direi che è vero, sbagliando si impara, ma non per lui» spiegò, per poi masticare un biscotto.
«Ha sempre la testa altrove?» domandai.
«Si, spesso»
«Un po' come te» dissi io, appoggiando la mia testa sulla mano.
«Non è vero» si mise subito sulla difensiva.
«Invece si. Credi che non ti abbia mai visto perso nei tuoi pensieri?» domandai, girandomi con lo sgabello verso di lui.
«Penso sia qualcosa che caratterizza tutti» disse guardandomi.
«Beh, si. Non mento di farlo anch'io» mormorai.
«Tu sei sempre con la testa da tutt'altra parte, non prendermi in giro. Sembri stare in un altro pianeta, ti perdi nello sguardo e nell'essenza» disse, facendo un piccolo sorriso. Alzai gli occhi al cielo perché era vero. Mia mamma era solita chiamarmi Sognatrice, colei che immagina ad occhi aperti.
«Cosa tiene occupata la tua mente?» domandò poi, bevendo il suo ultimo sorso di cioccolata.
«Potrei farti la stessa domanda»
«Te l'ho fatta prima io» mi sfidò.
«E cosa ti fa pensare che ti risponderò?» domandai a mia volta. Lui assottigliò lo sguardo e mi guardò per bene. Era troppo buffo.
«Oh beh, questo non lo so» disse, facendo spallucce.
«Facciamo un gioco» proposi, ma lui scosse la testa.
«Odio i giochi»
«A me non pare che tu li odia. Mi sa di aver conosciuto un Alex diverso. All'altro piacevano le sfide e non vedeva l'ora di mettersi in gioco» ironizzai.
«Osi servirti dei miei stessi atteggiamenti contro di me?» mi domandò, alzando le sopracciglia.
«Dai, lo facciamo o no?» domandai insistente. Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Di che si tratta?»
«È semplice: abbiamo cinque domande ognuno, alle quali possiamo rispondere solo con verità» dissi.
«È un modo per estrarre informazioni da me. Sei furba, V. Lo sei eccome» disse, mordendosi il labbro inferiore. Cercai di far passare in secondo piano questo suo gesto e il nomignolo che era solito attribuirmi.
«Inizia tu» dissi.
«Fammi pensare» disse, girovagando con lo sguardo in tutta la stanza.
«Hai mai fatto il bagno nuda a mare?»
«Sei serio?» domandai. Restai stupita dalla sua domanda.
«Tra tutte le domande, proprio questa?» dissi, e lui annuì convito.
«Sono curioso»
«No, non l'ho mai fatto» risposi.
«Devi dire la verità» disse, puntandomi il dito contro.
«L'ho detta, idiota. Ora tocca a me» dissi, guardandolo per bene. Avevo tanta voglia di sapere di più su di lui. Perché sapevo che Alex avesse un mondo dentro che non era in grado di mostrare.
«Con quali tre aggettivi ti descriveresti?» domandai.
«Mh, testardo, forse. Poi- direi orgoglioso e gentile, quando voglio» disse, contando gli aggettivi sulle dita della mano.
«Andiamo sul divano, si sta più comodi» disse alzandosi ed io lo seguii. Si appoggiò allo schienale, divaricando di poco le gambe dinanzi a se. Mentre io, a gambe incrociate, mi misi di fronte a lui, in modo che potessi guardarlo.
«La prossima è la seconda domanda, giusto?» domandò ed io annuii.
«Devo giocarmi bene le mie carte, allora» pensò ad alta voce, tra sé e sé.
«Finirai con l'uscirtene con la stessa inutilità della domanda di prima» dissi, ma lui negò.
«Mi dici a cosa pensi di solito?» domandò, accarezzandomi il ginocchio con le dita. Sussultai a quel tocco e sapevo bene che avrei dovuto allontanarlo da me. Ma non ci riuscivo.
«Penso a tante cose» feci una risata amara.
«Ti ascolto»
Presi un respiro e cercai di elaborare frasi di senso compiuto. Dovevo dar voce ai miei pensieri e farlo dinanzi a lui mi spaventava.
«Non sto qui ad elencarti tutti i soggetti dei miei pensieri. Sarebbero troppi e ti annoierei. Fai caso che, anche se prendessi in considerazione un foglio di carta, ci penserei così tanto da ingigantire la cosa. E questo lo faccio sempre, complico tutto ciò che è semplice» mormorai, calando lo sguardo sulle mie mani.
«Inizio e non riesco a smettere. Penso a tutti i modi per migliorarmi, per andare avanti senza paura, per far si che non venga più condizionata. I miei pensieri sono per lo più negativi. Non mi fanno dormire la notte. Un continuo susseguirsi di paranoie che mi frenano dal fare. Ed è questo che mi porta a chiudermi in me stessa. Non so nemmeno perché te lo stia dicendo, scusa-»
«Non devi scusarti. Non con me» mi interruppe. Alex non aveva smesso un secondo di toccarmi delicatamente la gamba e gliene ero grato, come se quel gesto mi recasse conforto.
«Ti ho delusa?» domandai.
«È questa la tua prossima domanda?» disse. In realtà no, ma mi importava saperlo. Quindi annuii.
«Perché dovresti deludermi? Hai solo sfogato ciò che ti porti dentro da chissà quanto. Forse ti ha fatto bene, forse no. Non posso di certo dirti che dovresti smetterla di pensare, sarebbe impossibile. Ma dovresti allenare la mente, e a far si che tu riesca ad accrescere la tua autostima. Perché è questo che ti manca» disse, spostandosi di qualche centimetro verso di me. Prese le mie gambe e le appoggiò sulle sue, in modo che potesse toccarle da più vicino. Non dovevo, non dovevo permetterglielo. Ma non ci riuscivo. Il mio corpo sembrava non avere controllo quando si trattava di lui.
«Fa' si che la prossima domanda sia meno articolata, okay?» scherzai.
«Cinque domande non mi bastano, lo sai?» disse.
«Neanche a me bastano per conoscerti» risposi.
«Eppure sappi che mi stai conoscendo abbastanza, a modo mio, con i miei tempi» disse, iniziando una serie di grattini. Feci un verso compiaciuto che lo fece smuovere di poco, lo guardai imbarazzata mentre lui gettò la testa all'indietro.
«Non farlo mai più»
«Mi è scappato» mi difesi, sentendo la pressione sulla mia gamba aumentare. Le sue vene si fecero più evidenti e deglutii al pensiero contorto che mi si creò in testa. Lui si leccò di poco le labbra, strofinandosi il viso con la mano libera. Ritornò a guardarmi, facendo oscillare i suoi occhi tra i miei e le mie labbra. Non parlava. C'era solo tensione, una tensione strana.
«Stai bene?» chiesi.
Lui scosse la testa negando; «per niente» disse, sospirando. Accigliai un sopracciglio, confusa dal suo cambiamento d'umore.
«Cosa ti è preso?»
«Se queste sono le tue domande, sappi che le hai esaurite» disse.
«Lascia perdere le domande, ora. Voglio solo sapere cos'hai» dissi io, accostandomi ancor di più a lui. Le mie gambe erano appoggiate al suo petto e lui le teneva ancora salde con la sua mano.
«Posso farti una domanda io?» continuò a guardarmi.
«Prima dimmi cos-» mormorai, ma lui mi interruppe.
«Perché l'hai baciato?»
In un secondo la mia mente fu messa in totale disordine. Sapevo che prima o poi la conversazione sarebbe finita su Christian. E odiavo parlare di lui in sua assenza, soprattutto con Alex.
«Dovrebbe esserci un motivo?» domandai io e lui fece spallucce, in un'espressione indifferente.
«Non lo so» risposi con una mezza verità. In parte l'avevo fatto per chiarirmi le idee.
«Ho sentito il bisogno di farlo» continuai e gli provocai un'amara risata. Non capivo cosa gli prendeva, non riuscivo a comprenderlo.
«Avresti mai baciato me?» domandò improvvisamente. Pensai stesse scherzando, ma la sua faccia alludeva che l'avesse detto seriamente. Non sapevo che rispondere e i suoi occhi attendevano le mie parole. Mi guardava così tanto che dovetti abbassare lo sguardo, non riuscivo a reggere quel marrone spento.
«Non posso, Alex» mormorai, quasi in un sussurro. Stavo con un altro, seppur non ufficialmente, e non riuscivo a parlare con lui di questo argomento.
«Devi solo rispondermi» fece per mettermi seduta su di lui, ma cercai di oppormi. Ma essendo più testardo di me e con la poca forza che avevo, mi arresi al suo tocco. Mi trovai a cavalcioni su di lui e quando alzai gli occhi verso i suoi, mi sentii sprofondare.
«Mi avresti mai baciato?» sussurrò sulle mie labbra, facendo scorrere le sue mani sui miei fianchi. Non ce la facevo più. Ogni parte del mio corpo stava prendendo fuoco.
«Perché vuoi saperlo?» sussurrai e maledii la mia voce, che risultò spezzata dall'imbarazzo.
«Perché ogni volta che ti guardo muoio dalla voglia di farlo. Di prenderti e baciarti, indipendentemente da tutto» pronunciò sulla mia bocca.
Se mi fossi appoggiata ancor più al suo petto, avrebbe sentito quanto il mio cuore stesse battendo.
«Alex..»
«Lui ora non c'è» disse, pronunciando velenosamente il pronome che sottintese Christian.
Si avvicinò al mio collo, sfiorandolo con il naso e il suo respiro caldo mi fece rabbrividire. Mi portò i capelli su una sola spalla per avere più spazio e in quel momento sussultai nel sentire le sue labbra morbide baciarmi il collo, salendo man mano all'orecchio. Prese tra i denti il mio lobo e istintivamente un piccolo gemito mi uscì dalla bocca.
«Ti è scappato anche 'sta volta?» mormorò con voce roca, ma non risposi.
Non avevo più capacità di parlare.
Lasciò un ultimo bacio sulla mandibola per poi allontanarsi di poco per guardarmi. Le sue mani stringevano i miei fianchi e sapevo che tutta questa situazione era un completo sbaglio. Uno sbaglio che nessuno avrebbe dovuto sapere.
Ma lui era così bello questa notte. I ciuffi gli ricadevano sulla fronte e la sua maglia bianca gli contornava tutto il busto. Spontaneamente mi morsi il labbro e lui lo notò, facendo una risatina soddisfatta.
«Allora, non mi rispondi?» disse, con la sua solita fossetta. Io scossi la testa negando, non gli avrei mai detto se avessi voluto baciarlo o meno. Avrei solo peggiorato le cose.
«Vado a dormire» mormorai, spostandomi da lui prima che potesse fermarmi. Mi misi in piedi e andai vicino all'isola, raccogliendo le tazze per metterle nella lavastoviglie. Lo vidi alzarsi e sistemarsi i capelli con la propria mano.
Mi accorsi che erano le due e mezzo di notte, e che domani avrei dovuto svegliarmi presto per la lezione di danza. E sapevo bene che non avrei dormito, avrei pensato troppo anche a quanto successo adesso.
«È fortunato, comunque» sentii dire. Mi voltai verso di lui, prima che potessi andare in camera. Lo guardai perplessa e lui fece un sorriso beffardo.
«Christian. Lui può averti, e non hai idea di quanto lo invidi per questo» disse, avvicinandosi a me ancora una volta. Mi appoggiò entrambe le mani sulle guance e le mie gambe erano sul punto di cedere.
«Sei geloso?»
«Tremendamente»

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora