seventy-nine

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ALEX'S POV

Due piccole mani intente a testare il tessuto dei miei jeans scuri, furono tutto ciò su cui riuscii a focalizzarmi. Oscillai il mio sguardo dai suoi occhi alle sue dita, con le unghie laccate di rosa. La baciai, non potendo farne a meno. Indietreggiai, scontrandomi contro la porta nera della cabina bagno. Sorrisi beffardamente a quel gesto, strofinandomi il viso con la mano, sospirando. Quest'aria maliziosa e provocante le donava così tanto da mandarmi in fumo il cervello. Calò la zip, finché i pantaloni non caddero, raggiungendo le mie caviglie. Si morse leggermente il labbro, prima di toccarmi. Strofinò la sua mano sul cotone bianco dei miei boxer, alzando poi lo sguardo verso il mio. Non avrebbe dovuto, perché sarei stato capace di raggiungere l'apice solo attraverso quel gesto. Strizzai gli occhi, con voglia assoluta di ricevere appagamento. Ma V. amava l'attesa e la disperazione nel vedermi stare in questo stato. Era perfida, senza volerlo.
«V-» ansimai, gettando la testa all'indietro.
Ero come un castello di sabbia compatto, che con una sola mossa avrebbe potuto sgretolarsi.
Non riuscendo più a sopportare quella situazione, misi fine alla sua tortura, prendendo la sua mano, intrufolandola all'interno dei boxer. Un sorrisetto furbo si fece spazio sul suo viso, osservando in basso quello che, fino ad ora, tenni nascosto. Con piccoli cerchi accarezzò la mia punta. Lentamente, fin troppo, iniziò a far scivolare la sua mano sulla mia lunghezza. La spinsi in avanti, così che potesse nuovamente sedersi.
«Non giocare con il fuoco, Alex»
«Credevo ti piacesse» mormorai, posizionandomi dinanzi al suo viso.
Come se avesse ricevuto il mio segnale, la sua bocca si fece vicina al mio basso addome. Mi baciò, leccandomi piano la pelle, giungendo al mio punto più sensibile. La sua lingua percorse una traiettoria retta, partendo dal basso, arrivando alla cima. Stavo impazzendo, e lei lo sapeva. Sapeva bene ciò che stava facendo, e il potere che in quel momento esercitava su di me. Colmai la sua bocca, raggruppando i suoi capelli scuri nel pugno della mia mano destra, mentre l'altra le reggeva la nuca. Si spinse contro di me più volte, appagandomi. Un altro gemito, un altro passo verso il raggiungimento di piacere assoluto. Non avrei mai pensato che sarei stato capace di scopare e farmi toccare nelle mura di un bagno. Con V. mi sentirei in grado anche di farlo in una gabbia contenente tigri e leoni, o peggio, dinanzi ad altre persone. Oh, dimenticavo. È già successo. Non osavo immaginare coloro della produzione volti a interrompere il collegamento, non appena un comportamento fuori luogo, o con doppio fine, venga reso palese. Convivere con una ragazza come lei, però, giustificava il mio comportamento. La sua schiena, le sue gambe, le sue labbra, i suoi occhi. Ogni minima curvatura del suo corpo era da percorrere. La sue pelle candida rischiava ogni qualvolta di sporcarsi, stando a contatto con me. A lei non è mai importato, però. Amava sentirmi tanto quanto io amavo sentire lei. Non saranno delle semplici paranoie a privarmi di tale piacere. Fu in quell'istante che venni, abbandonandomi in un gemito assordante. Calai lo sguardo nel suo, lasciando andare i suoi capelli dalla mia mano. Col polpastrello del pollice, le accarezzai le labbra lentamente. Rosse, gonfie, quasi quanto le mie. Mi rimisi composto, alzandomi i jeans in vita. Lei, in punta di piedi, si sporse per baciarmi ancora una volta. Non esitai. La tenni forte a me, strizzandole i glutei fortemente. Scese verso il mio collo, leccandolo e mordendolo, mentre le dita si intrufolarono tra i miei capelli castani. Si staccò, con mezzo sorriso sul volto, osservando il suo operato. Mi accarezzò gli addominali, che tanto le piacevano, per poi circondarmi il busto con le sue esili braccia. Il fatto che lei abbia bisogno di contatto fisico costante, è ciò che più mi piace.
V. parla, e pure tanto, nonostante agli inizi glielo avessi negato. Ma in ciò che era brava, era l'esprimersi attraverso i gesti. Che sia stata una carezza, un abbraccio, un bacio, uno sguardo. Il linguaggio del corpo la tradiva ogni volta.
«Mi sei mancata, V.» sussurrai, esponendomi a lei come un bambino.
«Sono sempre stata qui» disse lei, con la guancia spiaccicata sul mio petto.
«Non in quel senso-» specificai; «ho temuto che non fossi più capace di attrarti, o che ti fossi stancata di me» mormorai.
«Alex-» mi guardò.
«Non credere di essere l'unica capace di crearsi paranoie inutili» sospirai; «scusa, è stato un pensiero stupido» scossi la testa.
Accennò un sorriso, posando una mano sulla mia guancia arrossata; «credi che potrei mai stancarmi di uno come te?» domandò.
«Questo dovresti saperlo tu» risposi; «io mi limito a far si che ciò non avvenga» continuai.
«Se così fosse, non starei qui con te adesso, non credi? Non potrei stancarmi di una persona con cui vorrei farlo in ogni istante della mia vita» disse frettolosamente, quasi imbarazzata, provocandomi una risata.
«Non ridere» mi colpì il petto.
«Hai ammesso di volerlo fare con me, in ogni-»
«Istante della mia vita, si l'ho detto. Adesso andiamo? Staranno chiedendo di noi» cambiò discorso, mentre le sue guance pizzicarono di rosso. Non potei non ridere. Era troppo buffa.
«Andiamo» sospirai, indossando la maglia.
Uscimmo entrambi dal bagno, dandoci una sistemata veloce, fallendo miseramente. L'aria fredda ci colpì i volti in modo piacevole. La sera calava, nascondendo le ultime sfumature di tramonto, confondendosi con un blu profondo. La mora aprì il cancello della casetta, entrandovi.
«V, hai messo dei turbo ai piedi?» sbuffai.
«Sei tu ad essere troppo lento» ribatté, calando la maniglia della porta vetrata.
«Cinque minuti o trenta?» domandò Carola, non appena ci vide entrare in cucina.
«Problemi di percorso» borbottai, togliendo la giacca, appoggiandola sull'appendiabiti, accanto a quello nero della mora.
«Se fossi in te, alzerei la cerniera lampo dei pantaloni, Alex» ridacchiò Luca, seduto sulla sedia. Lanciai uno sguardo in basso, sul cavallo dei jeans, affrettandomi a tirar su la zip. Sentii ridere V, la quale fulminai con lo sguardo.
«Siamo pari» disse.
«A me non pare ti sia dispiaciuto-»
«Alex» mi fermò subito, coprendomi la bocca con la sua mano.
«Farò finta di non aver sentito» mormorò Carola, trattenendo una risata.
«Sentito, cosa?» chiese Luigi, entrando, seguito da Dario e Gio.
«Nulla» si affrettò a dire la mora. Cercai di parlare, scostando il suo palmo dalle mie labbra. Comunicai che sarei andato semplicemente a fare una doccia, lasciando quel luogo affollato di sguardi sospetti.

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora