sixty-seven

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Quella stessa mattina ebbi occasione di poter eseguire tre lezioni consecutive, che si sbilanciassero dal classico, al modern e al latino. Sulla via del serale, volli frequentare più lezioni possibili, che potessero garantirmi una formazione omogenea di tutti gli stili. Prima che giungessi in sala sei, ebbi trascorso del tempo con Alex in palestra. Mi ha seguita, più che altro. Ma succedeva spesso ultimamente, dato il mio tentativo di allontanamento nei suoi confronti. Anche se, arrivato al culmine della pressione, ha deciso di scusarsi. Sapevo bene che con Calma non avrebbe mai creato un rapporto pacifico, ma mi bastava sapere che non avrebbe più continuato con i suoi futili insulti e paragoni. Dietro quel gesto, si nascondeva un doppio fine: il voler ritornare quelli di una volta, e mentirei se dicessi che non era anche un mio desiderio. Alex mi mancava da morire, ogni giorno di più e nel bacio della buonanotte di questa sera, ho cercato di trasmettergli tutta la malinconia che nutrivo dentro. Una malinconia dovuta non solo al suo atteggiamento, ma soprattutto a quelle famose parole da lui non pronunciate. Era così difficile ammettere di essersi innamorati di una persona? O semplicemente perché, alla fine, non ci si è innamorati per davvero?

«Sta dormendo» mormorò Carola, uscendo dalla camera azzurra.
Ero appena tornata in casetta, munita ancora di giubbotto e borsone alle spalle. Il mio primo pensiero è stato quello di trovare Alex e parlarci, dirgli che l'avrei perdonato e che, nonostante il mio essere pignolo, avrei messo da parte quell'aspetto del suo carattere che tanto ho odiato. Ma lui dormiva, appoggiato al piumone azzurro della sua stanza. Sospirai nel guardarlo da lontano, osservando le sue labbra socchiuse per favorirgli la respirazione. Una mano sulla pancia, l'altra a penzoloni sul margine del letto. Sorrisi senza volerlo, pensando a quanto fossi stata stupida a lasciarmelo andare via. Non lo avrei lasciato, non avrei potuto mai. Necessitavo di un tempo indispensabile per capire fin dove la questione si sarebbe dilungata. Qualche mese fa, immaginarmi con Alex era un'utopia. Adesso, invece, non riuscivo a vedermici senza. Siamo diventati un punto di riferimento per l'altro. Se avessi avuto bisogno di lui, non avrebbe esitato a darmelo, e viceversa. Lui, il mio polo negativo, ed io quello positivo, costretti ad attrarci per un'immutabile legge fisica. Vedevo in lui tutto quello che non ho mai ricevuto da nessun altro. Vedevo un'anima buona, un'anima incompresa, racchiusa nel suo mondo fatto di musica e malinconia. Il nero nel mio bianco, il nero nell'arcobaleno. Alex è il pezzo mancante del mio puzzle, e senza, mi sentirei persa. Totalmente.

Decisi di fare una doccia veloce, indossando il pigiama. Dopo una veloce videochiamata alla mia famiglia, decisi di appuntarmi qualche tratto di letteratura dallo schema inviatomi da Camilla. Lei e Federica erano a conoscenza solo di una misera parte di ciò che stava accendendo tra me e il cantante. Non volevo pesarle entrambe con i miei problemi, che ai loro occhi sarebbero potuti sembrare superficiali. Certe cose preferivo tenerle per me. Sono sempre stata una persona riservata, tendenzialmente chiusa in me stessa, anche con soggetti di cerchia stretta. Alex è stato l'unico a cui ho avuto modo di aprirmi del tutto. Passavamo le giornate a letto, sul divano o sulle gradinate, a parlare e parlare delle nostre rispettive lezioni o assegnazioni. Chissà in che modo sarebbero cambiate le cose fuori da qui. Non costretti più a vivere nelle mura della casetta, non aspettando l'altro al ritorno di una lezione, non condividendo i turni delle pulizie.. sarebbe stato tutto diverso. E mancava così poco. Alex contava i giorni, non vedendo l'ora di arrivare al serale, con me al suo fianco. Ed io non vedevo l'ora di vederlo alzare la coppa, perché, per me, lui aveva già vinto. E se così non fosse stato, saremmo stati contenti lo stesso. Mi bastava stare qui, ed aver conosciuto lui. Sarò grata di questo programma soprattutto per questo, oltre che alla possibilità che mi è stata offerta per realizzare il mio sogno.
«Disturbo?» una voce interruppe i miei pensieri, ed alzai lo sguardo verso di essa, proveniente da Calma. Fece un passo in avanti, sorpassando l'uscio della porta, la quale chiuse alle sue spalle.
«No, tranquillo» dissi, facendogli segno di accomodarsi. Così fece, sedendosi sul bordo del letto, non prima di aver scostato dei fogli di carta lasciati sparsi su di esso.
Li raccolsi e li appoggiai sul comodino, insieme al portatile grigio ancora in funzione.
«Non pensavo portassi gli occhiali» gli indicai la plastica rotonda appoggiata sul suo naso.
«Ti piacciono?»
«Ti fanno più.. intellettuale» scherzai.
Se la rise, scorrendo verso mia figura, che si trovava a gambe incrociate con la schiena allo schienale. Le sue gambe sfiorarono le mie ginocchia, i suoi occhi mi guardavano insistenti. La situazione iniziava a puzzarmi e speravo vivamente che qualcuno entrasse da quella porta, com'ero solita venire interrotta.
«Mh, ti serviva qualcosa?» cercai di cambiare argomento, andando al punto.
«Volevo passare del tempo con te»
«Calma-»
«Ti infastidisco?» domandò subito, ma non con tono colpevole. Stava cercando di provocarmi.
«In realtà- volevo dirti, beh, sai che non potrai ancorarti a me per sempre. Non voglio risultare menefreghista o quant'altro, sai perfettamente quanto patisca la tua situazione. Ma prima o poi, tutto questo avrà fine. Ognuno seguirà la propria strada e tu dovrai fare i conti con la realtà-»
«Perché deve avere fine?» mi interruppe.
«Perché è così che deve essere»
«E se io non volessi? Non è detto che, una volta fuori, io e te dovremmo separarci. Mi sei stata molto d'aiuto. Sei stata l'unica, in verità, a starmi vicino. Cosa ti nega di farlo anche in futuro?» chiese, avvicinandosi ancora.
«È qui che sbagli, Marco. Non posso star dietro i tuoi problemi, sei autonomo e capace di gestirteli da solo. E poi non credo che tu non abbia nessuno con cui stare. Avrai sicuramente qualche amico, la tua famiglia-»
«Ma io voglio te» disse deciso, interrompendomi un'altra volta.
Il suo sguardo divenne più duro, quasi a convincermi che dovessi sottopormi al suo dominio di parole. Ma questa volta, non gli avrei dato la soddisfazione di essere vincente.
«Calma, ti prego, pensa quando parli»
«Lo faccio, e continuo a pensare di voler te. Qui, al di fuori, nella mia vita-»
«No» fui io a bloccarlo; «stai esagerando» dissi.
In quel momento, pensai a quanto avessi sbagliato a soccorrerlo così tante volte, quando avrebbe dovuto risolvere da solo i suoi problemi. Ci sono stata, e lui se n'è approfittato per costruire un sentimento ossessivo nei miei confronti.
«Non sto esagerando, sono solo realista. Tu sei come una sigaretta, Va'. Ti consumi tra le mie dita, e finisci con l'essere cenere. Ci si calpesta il mozzicone, ma si è consapevoli di averne altri nel pacchetto nascosto nella tasca del jeans. Tu sei tutte quelle altre sigarette. Sei dipendenza. Ed io non riesco a farne a meno» disse, accostando il suo viso al mio, senza sfiorarlo; «quando ti guardo, impazzisco, sembro essere su un altro pianeta. Mi hai capito, mi hai aiutato. Sei energia positiva, della quale ho costantemente bisogno. Mi piaci, e so di piacerti. Altrimenti perché stare tutto il tempo con me?» ridacchiò modesto; «ti guardo e penso a quanto potrebbe essere paradisiaco avere il tuo corpo tra le mie mani, assaporarti e toccarti quanto mi pare. Lo vuoi anche tu, non mentirmi. Quindi, cosa ti costa esattamente?» appoggiò una mano sulla mia coscia, e sentii un fastidio alla gola che mi stringeva tanto da bloccarmi il respiro.
Ad ogni sua parola detta, percepivo il mio cuore accelerare, e non positivamente. Come se avessi la sensazione di aver creato un ulteriore casino a cui non sarei riuscita dare ordine. Il rigetto di ogni sua frase pronunciata, un conato di vomito represso dato il tocco della sua mano sul mio corpo. Un tocco a cui non ero abituata, e che non avrei mai sostituito per nessuna ragione al mondo.
«Smettila, Marco» dissi, cercando di spostarlo da me, mentre le sue parole rimbombavano nella mia testa come pulsioni di un tamburo. Era convinto che provassi qualcosa per lui, e che avrei voluto averlo tanto quanto lui voleva me. No, non riuscivo ad accettare una cosa del genere. Ma lui, cocciuto, non volle darsi sconfitta.
«Dimmi che è lo stesso per te» si avvicinò, portando la sua mano nel mio interno coscia.
Avevo paura. Trasalii visibilmente ma lui non osò arrestare le sue gesta.
«No» mi lamentai, cercando di vincolarmi dalla sua presa, ma il suo corpo massiccio me lo impedì. In un istante percepii qualcosa toccarmi il collo: erano le sue labbra. Mi baciava, mordeva, contro il mio volere. Avevo le mani bloccate nella sua forte presa, così che non riuscissi a scostarmi. Cercai di scalciare qualche colpo con le gambe, ma la pressione del suo peso impedì anche questo. Mi sentivo in trappola, e le mie stesse corde vocali si attorcigliarono tra loro, ostacolando il fuoriuscire di urla. Tremavo. Vedevo nero. La mia vista venne appannata da uno strato lucido trasparente. Una lacrima mi rigò il viso.
«Basta, per favore» provai a dire.
E fu in quel momento che, mentre una mano mi bloccò entrambi i polsi, l'altra si introdusse sotto la mia maglia. Le sue labbra si staccarono dal mio collo, apprestandosi a baciare la mia bocca. Mi toccò il seno. Un viscido senso di colpa mi stava inghiottendo sotto terra. Spostai la testa di lato, e nel farlo, lasciò la presa dai miei polsi per affrettarsi a cingermi il volto con le sue mani. Mi bloccò e poi lo vidi: un sorrisetto soddisfatto sulla bocca, e l'aria di colui che è ancora assetato di piacere.
Senza curarsi delle mie lacrime e della paura che nutrivo dentro, approfittai per spintonarlo lontano da me, con più forza che avessi nelle braccia. Ed era poca, rispetto a quella che ho sempre avuto.
«Esci immediatamente da qui!» dissi, alzandomi dal letto, indicandogli la porta.
Lui alzò le mani in segno di resa, con un tono ironico sulla faccia. Che stupida che ero stata, a credere che ci fosse del buono in lui. Ho sempre avuto il vizio di offrire tanto alle persone, seppur non le conoscessi perfettamente. Un'altruista ingenua, ecco cos'ero. Una completa idiota, col cuore spezzato. Chiusi la porta, accasciandomi su di essa con la schiena. Scivolai fino al pavimento, con le lacrime agli occhi, decise a non fermarsi. Mi portai le ginocchia al petto e ci appoggiai sopra la testa. Repressi i singhiozzi, che nel silenzio, sarebbero giunti anche a chi era lontano. E lui lo era. Lui era lontano, e ora come ora, sentivo il bisogno di averlo il più possibile vicino.
Come glielo avrei spiegato? Mi sentivo così in colpa nell'avermelo lasciato fare. Il mio essere impotente mi aveva sovrastata e sapevo bene che sarei stata odiata per questo.

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora