fifty-two

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«Alex, posso parlarti?» bussai alla porta della camera azzurra.
Erano le dieci di mattina. Oggi si sarebbe tenuta la prima puntata dell'anno, dopo questo periodo di pausa. Mi trovavo ai piedi di questa porta per parlare con il cantante, che da tre giorni a questa parte sembrava snobbarmi come se niente fosse.
«È in bagno» fu Luca a parlare, aprendo la porta della camera che dapprima era chiusa.
Sospirai, sorpassandolo, per poi sedermi sul letto alla parete aspettando che uscisse.
Mi morsi l'interno guancia. Ero nervosa, se non ansiosa di questa situazione strana che si era venuta a creare tra noi. Come se Alex si fosse deciso ad allontanarsi, così da un punto in bianco, senza alcuna ragione. Dopo averlo ascoltato parlare con Cosmery, non mi ha più rivolto parola. Gli sono andata dietro parecchie volte, cercandone il motivo, ma sembrava sempre non intenzionato a parlarne. Che sia successo qualcosa?
«Che ci fai qui?»
«Possiamo parlare?» domandai, non appena uscì dal bagno con addosso i pantaloni scuri e la sua solita giacchetta in jeans.
«Di cosa dovremmo parlare?»
«Cos'hai, Alex?» alzai un sopracciglio, mentre lui continuava a tenere lo sguardo basso sul pavimento.
Non era da lui. Non era da Alex evitare il mio contatto visivo.
«Ho l'aria di qualcuno che ha qualcosa? Sto bene, non preoccuparti» fece spallucce.
Mi alzai dal letto, cercando di accarezzargli il volto, ma con un gesto fulmineo portò la mia mano a netta distanza da lui.
Finsi che quel gesto non mi avesse appena colpito il cuore, e lo guardai confusa e delusa al tempo stesso.
«Cos'è successo, Alex?» insistetti.
«Niente» rispose, iniziando a spazientirsi.
Fece qualche passo indietro, recandosi vicino alla porta della camera.
«Guardami» dissi.
«Basta, V.»
«Basta? Sei il primo ad opprimermi ogni volta che mi vedi strana, ed ora che mi preoccupo per te, tu te ne esci così? Non mi guardi nemmeno, Alex. Che diavolo ti prende?» domandai, avvicinandomi ancor di più a lui.
Gli presi il volto tra le mani, costringendo i suoi occhi a guardare i miei. Era vuoto, perso, pentito.
Ma perché era così?
«Ti prego, V. Lasciami stare» mi pregò, appoggiando le sue mani sulle mie, portandole via lentamente.
Le tenne strette nelle sue per una manciata di secondi. La sua pelle era fredda, mentre la mia iniziava ad accaldarsi per l'ansia che provavo.
«Cosa ti ho fatto?» domandai, mentre la mia voce uscì a tratti bassa e flebile.
Avevo paura. Paura di aver fatto qualcosa. Paura che in qualche modo si sarebbe allontanato.
«Niente» disse; «è tutta colpa mia» mormorò, scuotendo il capo afflitto.
Colpa sua? Per cosa? Cos'era successo e perché non voleva dirmi niente a riguardo?
«Non-»
«Alex?» un'altra voce fece capolino nella stanza.
«Mh?» fece lui alla ragazza.
«Ti cercavo» disse Cosmery.
Era più sorridente del solito e mi guardava con una certa altezzosità.
«L'hai trovato» dissi io.
«Ci lasci soli?» domandò lei, a braccia conserte.
«Perché dovrei?»
Ma chi si credeva di essere questa qui?
«Capisco, Alex ancora non ti ha detto nulla» rise beffarda.
Esattamente, di cosa stava parlando?
Slittai lo sguardo da lei al ragazzo dinanzi a me, che per tutto il tempo ha continuato a guardare il nero dei suoi anfibi.
«Cosa dovresti dirmi?»
«Niente»
«Smettila di rispondermi così, Alex. Si può sapere cosa ti succede?» fui io a spazientirmi questa volta.
«Se vuoi parlo io-» iniziò Cosmery, per essere poi interrotta da lui.
«Hai parlato già abbastanza» le disse Alex; «adesso lasciatemi in pace» continuò, lasciando un sospiro per poi dirigersi in cucina.
Diedi una spallata alla ballerina, raggiungendo il ragazzo. Perché io non avevo alcuna voglia di lasciare un'altra conversazione in sospeso.
«Buongiorno, Va'» mi salutò Francesco, che era in piedi al bancone.
Mi offrì una tazza di latte e caffè, che non tardai ad accettare in quanto ne sentissi il bisogno.
«Non mi dirai cos'hai?» bisbigliai ad Alex, che si era seduto dinanzi a noi.
Mi appoggiai alla superficie, tentando di avvicinarmi a lui il più possibile. Scosse la testa negando, ma i suoi occhi dimostravano dire altro.
«Come vuoi» sospirai, sorseggiando il liquido dalla tazza fumante, ritornando dritta in piedi.
«Tutto bene?» domandò Luigi, passandomi una mano sulla schiena.
Gli indicai con gli occhi la figura di Alex, che oggi si mostrava più distratto e perso del solito. Avevo davvero paura che fosse successo qualcosa per causa mia, forse dopo avermi vista così vicina a Francesco quella volta in cucina. Ma dubitavo stesse così per questa ragione, era davvero una futilità. Cosa avrei dovuto dire io? Ogni volta che mi giravo a guardarlo, Cosmery gli stava addosso indipendentemente dalla mia presenza. Ho cercato di evitare di guardarli insieme. Una fitta al petto ogni volta che vedevo Alex sorridere. Mi sono allontanata di poco, ma l'ho comunque ricercato per saperne il perché di questo suo atteggiamento. Era strano. Non era Alex.
I miei pensieri vennero interrotti da Cosmery, che raggiunse il bancone mettendosi accanto al cantante malinconico. Gli accarezzò i capelli velocemente, bisbigliando qualcosa al suo orecchio che non riuscii a percepire. Lui scosse la testa, e lei si apprestò a lasciargli un bacio sulla guancia.
Feci per parlare, ma lei mi ammonì.
«Evita di stargli addosso, va bene?»
«Come, scusa?» alzai un sopracciglio.
«Hai sentito bene» disse Cosmery, che si trovava di fronte a me.
Luigi mi fermò, prima che potessi risponderle a tono, dicendomi con gli occhi che avrei solamente complicato le cose.
«Alex, parliamo un secondo?» fu il mio amico a rivolgergli parola, ma il ragazzo non sembrava volerlo ascoltare.
Si alzò dallo sgabello e in un attimo fu fuori dalla casetta. Presi il giubbotto e, correndo, cercai di raggiungerlo.
«Alex! Fermati, per favore» urlai alle sue spalle.
«Non ho voglia di parlare, V. Non è così difficile da capire. Smettila di seguirmi» si fermò di scatto, permettendomi di accostarmi a lui.
«Mi preoccupi, tutto qui» risposi a fatica.
Si morse il labbro, e in quel momento mi guardò di sua volontà. Aveva gli occhi lucidi, ma non piangeva. Sentii una morsa allo stomaco, perché in quel momento iniziavo a non capirci più niente.
«Stai bene?» sussurrai.
«No, V. Sto una merda» tirò su con il naso.
La mia mano, titubante, si accostò per accarezzargli il volto lentamente e fui sollevata quando me lo lasciò fare.
«Cosa intendevi con è tutta colpa mia?» domandai.
«Che sono stato un'idiota»
«Alex-»
«Mi odierai» appoggiò la sua fronte alla mia; «mi odierai da morire» sussurrò.
Sentii il mio pollice bagnarsi, mentre continuavo a tenergli la mano sulla guancia. Stava.. piangendo.
Si allontanò da me, non appena si rese conto del fatto che io l'abbia colto in questo stato. Cercò di ricomporsi, mentre i suoi piedi iniziarono ad incamminarsi nella grande struttura, lasciandomi lì sola con il vento a tenermi compagnia.

DIFFERENT | Alex Wyse Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora