CAPITOLO 20

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Non volevo rientrare in casa, stranamente volevo stare ancora con lui e anche se da quando ha parcheggiato a quando mi ha effettivamente lasciato andare è passato non so quanto tempo.

Siamo rimasti sulla moto a divorarci a vicenda con i baci, peggio di due adolescenti porca miseria, il che è ridicolo, poi controvoglia sono entrata dentro.

Mi ha fatto tenere il casco, mi ha chiesto di portarlo sempre con me, ho accettato con le guance arrossate e un po' di stupore per questa sua richiesta.

Tutta scombussolata ma sorprendentemente libera dai pensieri mi sono lavata e poi messa a letto, osservando il casco sulla scrivania fino ad addormentarmi profondamente.

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Sono in Accademia da qualche ora e ci stiamo concentrando sulla coreografia extra della signora Smith ma non ci convince nulla.

Will ha preparato la traccia subito così da poter lavorarci sopra.

È un mix particolare che emana energie calde e fredde, un intreccio unico che ricorda tanto il dolore grazie alla voce graffiante Jessie Reyez
e la combinazione della voce poi dolce e melodica d'inverno Dean Lewis, ma non riusciamo a trovare i passi giusti per le emozioni da rappresentare.
Siamo abbastanza stanchi, infatti, ci sediamo a terra poggiati al muro

-è dannatamente difficile cazzo-

si lamenta per l'ennesima volta Will grattandosi la testa, lo ascolto mentre bevo un po' di acqua dalla bottiglietta

-è questo l'obiettivo dei giudici vedere chi è in grado di superare tutto-

concordo con lui che sia difficile anzi difficilissimo ma dobbiamo farcela.

Will mentre sbuffa esasperato mi dice

-ma il dolore è difficile da rappresentare per me, ho provato i tipici dolori di quando ti fai male ma non un dolore profondo come quello che dovremmo rappresentare-

ammette amareggiato guardandomi e mi fa piacere che lui non abbia provato determinate sofferenze ma da una parte lo invidio anche.

È sempre solare e allegro con tutti, si offre di aiutare chiunque e fa amicizia anche con le pietre e le persone lo adorano per il suo sorriso. Devo dire che sto iniziando ad apprezzarlo molto e anche ad essere più tranquilla nel parlare con lui senza avere paura di quello che dico e forse per questo le parole mi escono da sole

-il dolore è come un buco nero profondo e oscuro, che ti attrae a sé per trascinarti nelle tenebre con catene che ti stringono in una morsa talmente forte che ti leva il respiro, ti schiaccia e ti sembra di non avere via di scampo perché lui si nutre delle tue paure, delle tue ansie e insicurezze, si nutre di te fino a non lasciare l'ombra di quello che eri-

parlo senza guardarlo in volto fissando il vuoto davanti a me

-e come si fa a uscire dal buco nero? -

Mi chiede soltanto e lo sorrido debolmente per ringraziarlo mentre giro il volto verso di lui

-è difficile, impossibile alle volte ma...-

ammetto chiudendo gli occhi poggiando la testa contro la parete alle mie spalle e le braccia sulle ginocchia, sentendo la morsa del dolore e dei ricordi incombere su di me, stringo la bottiglia tra le mani forte, per controllare il mostro che mi si avviluppa come un serpente intorno

-ma? -

mi chiede Will che si è avvicinato a me riportandomi alla realtà

-ma alle volte succede che delle piccole luci, come delle lucciole riescono a tenerti a galla e ti aiutano, guidandoti per non perdere il tuo punto di riferimento. Però quel mare di oscurità non è dovuto a te, perché tu non sei un errore, non sei sbagliata, tu sei giusta così come sei e grazie a quelle lucciole a volte si raggiunge la meta che punta dritto fino la tua stella polare, anche se non sempre la strada è limpida, ma non è neanche detto che fuori dal buco nero, alla fine, la tua stella la ritrovi-

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