Capitolo 40 - Benvenuta

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Quello che avevo davanti non era di certo un palazzo. Forse neanche c'era un palazzo dentro quelle mura eppure la sua maestosità incuteva disagio e sottomissione allo stesso modo.

Non ricordavo di aver mai letto di mura decorate con creature magiche, alte e impetuose, in mezzo ad un bosco di Birkenslow. E io di libri ne avevo letti tanti.

Eppure quel luogo mi era sconosciuto.

Non era un castello, questo era certo, ma avrebbe potuto trattarsi di una sede alternativa staccata dove i Reali praticavano le loro faccende sporche.

"Casa", l'aveva chiamata il mutaforma lupo.

Ma casa per chi?
Per me?
O per loro?

Rimasi senza fiato.

Più ci avvicinavamo, più il portone d'ingresso si ingrandiva. Mi sentivo una piccola formichina pronta ad essere schiacciata, perché in fin dei conti la sensazione era esattamente quella.

Chiusi la bocca temendo potesse entrarci qualche insetto ed emisi un sospiro di frustrazione. Non sapevo dov'ero e temevo vivamente quello che sarebbe accaduto tra pochi secondi.

Il suono di un corno dal suono cupo e basso ci accolse non appena arrivammo dinanzi all'entrata.

«Sei pronta?» chiese il demone con un'espressione mista a divertimento e apprensione.

«Pronta per cosa?» sibilai.

Avrei voluto essere più coraggiosa ma in questo momento avevo perso tutta l'audacia e la strafottenza che di solito mi contraddistinguevano.

Provavo così tante sensazioni contrastanti che il mio stomaco era diventato una poltiglia vorticante.

Il corno fu suonato ancora due volte e improvvisamente le due ante del portone si aprirono in modo così lento da tormentarmi.
Piano piano, la fessura si allargò sempre di più lasciando intravedere scorci di una grande piazza.

I cavalli si mossero in avanti e proseguirono verso l'entrata. Mi tartassai le cuticole delle mani, le braccia, i palmi e persino le labbra.

Ma ben presto capii che non mi trovavo in nessuna sede regale.

«Benvenuta alla Città dei Sicari, bestiolina.»

Una luce folgorante illuminava l'intera piazza dove persone comuni camminavano a braccetto o si sedevano in quella che era una fontana centrale, ampia, colma di acqua dove qualcuno stava immergendo le mani o i piedi per rinfrescarsi. Dei bambini di varie età giocavano con un pezzo di stoffa arrotolato più volte che sembrava un pallone improvvisato, altri avevano dei modellini di legno da far scivolare sulla pietra.

Il suolo era compatto e ben tenuto, in alcuni punti delle pietre piatte erano state posizionate come piccoli sentieri che portavano a varie zone.

Quello che mi colpì fu il brusio della piazza, piena di gente che rideva e parlava e viveva. Non c'era tristezza in quel luogo. Non c'era rabbia, desolazione, povertà.

C'erano risate. Tante risate.

Tutti erano vestiti da capo a piedi con abiti normali ma puliti e decorosi. Nessuno era scalzo come avevo visto al villaggio di Surya.

Era pieno di negozi.
Una locanda con porticato dove alcune femmine stavano spazzando il pavimento, un ristorante chiamato "da Speed" con un'insegna grande quanto la stalla in cui avevo vissuto, una lavanderia a parte con tutte le attrezzature e i prodotti necessari, vari negozi di abbigliamento e calzature super accessoriate, una gioielleria con una vetrina piena di zirconi, un fabbro e altre locande e negozi vari.

La regina della vita e della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora