Capitolo 50 - Inseguita

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Corsi verso il nulla.

L'aria mi sferzava il viso ma non mi bastava. Sciolsi la treccia che acconciava i miei capelli e li lasciai liberi di svolazzarmi attorno.
La tuta che indossavo dal giorno prima era così aderente che mi faceva da seconda pelle, ma era la sensazione di sporcizia a irritarmi.
Abbassai leggermente la cerniera per permettermi di incamerare più aria, mi strofinai le braccia per mandar via quella finta sensazione di sporco dal mio corpo.

Avevo bisogno di calmarmi, di placare il fuoco che mi dominava. Ma più ossigeno c'era, più le fiamme diventavano voraci.

Ero sempre stata così. Avevo sempre avuto l'istinto di esplodere quando cercavano di manipolarmi. Ed era proprio per questo che i miei genitori mi avevano ingabbiata. Per tenermi buona.

Ma io non ero buona. Una parte di me era selvaggia, amante della libertà e del rischio, spietata.

Potevo essere la persona più gentile del mondo e trasformarmi nel mostro più spregevole.

Per questo stavo scappando. Perché dopo che il demone mi aveva ferita e rifiutata, io lo avevo ferito a mia volta raddoppiando però la dose. Avevo pensato che in questo modo mi sarei sentita meglio, che il peso nel petto si sarebbe alleggerito.

Non era successo.

La ferita era rimasta e faceva ancora male e il peso nel petto gravava ancor di più. E come se non bastasse, stavo di merda.

Era andato tutto bene, il demone si era finalmente lasciato andare e avevamo passato una bellissima serata. Bramavo ancora i suoi baci, sentivo ancora i suoi denti nel mio seno, desideravo ancora la sua lingua intrecciarsi con la mia.

Ma avevo rovinato tutto.
Soltanto per dimostrargli che non ero una debole, che non mi poteva prendere in giro, che non poteva comportarsi come cazzo voleva con me.

Soltanto per dimostrargli che ogni azione aveva una conseguenza. E la conseguenza sarebbe stata pesante.

Avevo finalmente rallentato l'andatura fino a fermarmi del tutto. Avevo corso per mezz'ora, forse, o comunque fino a quando le gambe non avevano iniziato ad appesantirsi e a tremare.

Tutto pur di non pensare, tutto pur di sfogare quell'eccesso di rabbia che ribolliva nelle mie vene.

Andava sempre così. Quando contenevo tutta quella furia avevo sempre bisogno di una valvola di sfogo. Che fosse una bella corsetta o un allenamento intenso.

Avevo bisogno di sentire i muscoli contrarsi sotto sforzo. Avevo bisogno di mettere il cervello a lavoro. Avevo bisogno che le mie mani facessero qualcosa. Qualsiasi cosa.

Il movimento, per me, era come una dose di camomilla sparata in vena.

Osservai la natura che mi circondava. Tenendo conto della velocità sostenuta e del tempo, avevo percorso almeno sette chilometri. Ciò significava che ero sola, la città troppo lontana, i miei amici distanti da me.

Amici.

Chiamavo "amici" quelle stesse persone che quando avevo varcato il cancello d'acciaio avevano stampato sul volto uno sguardo di preoccupazione, o terrore.

Avevo visto il volto di Surya, di Zy, di Rick e di tutti gli altri. Li avevo visti e mi erano rimasti impressi nella mente.

Erano spaventati da me, dalla mia sfuriata, da quello che avrei potuto fare.
E questo mi feriva in un modo che non comprendevo.

Ero una persona instabile, molto impulsiva, schietta. Ero imprevedibile, ma non avrei mai fatto del male a qualcuno se non per difendermi o proteggere le persone che amavo.

La regina della vita e della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora