Capitolo 54 - Non ho paura

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Di solito le persone sentivano un allarme dentro di sé, qualcosa di talmente intenso da star male, una scossa emotiva talmente violenta da far innescare l'istinto di sopravvivenza.

La paura, scientificamente, era nient'altro che una forma di difesa. Chi provava paura, registrava nella sua mente l'azione o la situazione che innescava quell'emozione in modo da ricordarla per il futuro quando si sarebbe ripresentata.

La paura, in me, innescava una reazione differente.

Invece di scappare, io andavo incontro al nemico.

Allo stesso modo la paura stimolante che percepivo ogni volta che stavo vicino al demone, la paura del suo potere, la paura di essere schiacciata dalla sua indole selvaggia e potente, non mi spingeva ad allontanarmi. Al contrario, azionava un'attrazione straziante e disperata a cui non sapevo resistere.

E a quel punto non era più paura, ma desiderio.

Non avevo paura di lui, di questo ero certa. Quello che provavo era la paura per la situazione, per il fatto che mi avrebbe riportata dai Reali o forse neanche questo mi spaventava. Forse era la paura di lasciarmi andare, di permettere a qualcun altro di conoscermi a fondo, di permettergli di vedere quanto in realtà fossi irrimediabilmente rotta.

Ma molte volte, paura e desiderio, avevano una linea sottilissima, quasi impercettibile, ed era difficile distinguerle.

Il tonfo dell'acciaio che sbatteva sulla pietra mi fece capire che entrambi avevamo lasciato le nostre armi ricadere sul pavimento. Il mio pugnale di Diamante di Drago sulla sua gola ormai non c'era più, così come la punta del suo coltello puntata sulla mia schiena.

Mi arresi, al duello o alla seduzione. Non sapevo bene a quale delle due. Tuttavia sentii ancora una volta l'odore fresco e pungente del demone che si mischiava al mio diventando un profumo letale capace di suscitare in me la pazzia.

Guidata dall'istinto mi aggrappai alle sue spalle massicce, cosparse di linee scure e interrotte da cicatrici chiare. Mi aggrappai sentendone il calore e mi lasciai trascinare in un mondo di lussuria.

«So che mi vuoi...» disse stringendomi forte a sé.

Gli stavo per dire di andare a farsi fottere, che non lo avrei desiderato neanche se fosse stato l'ultimo maschio su questa terra, che non mi importava un bel niente di lui, né del suo cazzo che mi premeva contro. Ma cosa sarebbe servito mentire?

Gli saltai sopra aggrovigliandogli le gambe sulla vita, stringendo il mio petto al suo, in modo da sentirlo e percepirlo ovunque.

E scoppiò il caos.

Con un movimento del braccio scagliò per terra tutte le armi e gli altri oggetti posati sopra al tavolo posizionato al lato della sala, mentre con la sola forza dell'altro mi teneva ancorata a sé.
Con un altro movimento sgraziato mi ritrovai col culo sul tavolo di legno, il demone tra le mie gambe che mi spingeva contro la sua enorme erezione.

Mi ritrovai in bilico.
Fermarmi o andare avanti.
Sbagliare o tirarsi indietro.

Le mani callose del demone salirono lentamente sondando i miei fianchi, poi le spalle, poi il collo, fino ad arrivare alle mie guance. Non c'era modo, di fermarsi, capii. Lo lessi nel suo sguardo limpido, che ormai eravamo persi.

Persi l'uno nell'altra.

Le sue labbra si schiantarono sulle mie senza un minimo di ritegno, con aggressività e possesso. Le sentivo risucchiare via l'ultima parte di anima che mi era rimasta. Le sentivo sulla mia bocca, morbide ma affamate e sentii la sua lingua rivendicare ciò che le era sempre appartenuto.
Unii la mia alla sua come se fosse la cosa più giusta che potesse esistere. Era così, dopotutto, che mi sentivo.

La regina della vita e della morteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora