cap. 42 i colpi

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-prima che cominciate a leggere il capitolo: scusate tanto se non è scritto alla perfezione, ma ammetto di aver sentito un po' di fastidio durante alcune parti, spero che vi piacciano ugualmente perchè ci ho messo molto impegno-

il telefono.
mi alzai di scatto dal materasso e andai a vedere chi fosse <<pronto?>>
<<esci da lì, scarlett>>
<<come sai...griffin!>>
<<credo di si...non ricordo il mio nome. esci da lì>>
<<come faccio?!>>
<<rompi il vetro della finestra>>
<<come?! ci ho giá provato! griffin, ti prego, non riattaccare. dimmi come fare>>
<<non riattaccherò. ascoltami, c'è una corda intorno ad ogni muro, staccala ed usala per prendere la manopola sotto la finestra>>
staccai la corda.
provai a prendere la manopola, ma non ci riuscivo.
<<falla passare attraverso qualcosa!>> suggerì.
<<tipo cosa?>> chiesi io, quasi sfinita.
<<scarlett, non sei stupida. ti ho conosciuta e non lo sei, per niente. so che ci arriverai da sola. fallo per te, per vendicare me. per robin e per i tuoi genitori. scappa>>
<<lo farò>>
<<ciao, scarlett>>
<<griffin...addio, e grazie>>
aveva ragione, non ero stupida.
sarei uscita da lì.
<<ok, adesso sei sola>> dissi tra me e me.
presi un tubo che avevo trovato in quella stanza, lo appoggiai dove c'era la finestra e infilai dentro la cordicina che cominciò a passare dentro di esso, fino ad arrivare alla manopola.
dopo un paio di tentativi, la prese.
<<si!>> esultai.
afferrai la corda da entrambi i lati e la legai.
misi un piede sopra di essa, tentando di romperla.
dato che non ci riuscivo, inziai a fare dei piccoli saltelli.
finalmente la ruppi.
caddi a terra, mi feci male, molto male.
ma, dopo una parolaccia per sfogo, realizzai di avercela fatta.
tentai di nascondere la prova, ma entrò il rapitore, di nuovo, e mi vide.
<<che cosa stai fecendo, ragazzina?>>
ingoiai rumorosamente la saliva, senza rispondere.
<<non mi rispondi?>>
le mani cominciavano a tremarmi come se dovesse accadere qualcosa.
effettivamente qualcosa successe.
<<bene>>
si svilò la cintura dalla vita <<stendi le braccia>> ordinò.
<<no>> risposi con le lacrime che cominciavano a colarmi.
<<cosa?>>
scossi semplicemente la testa.
il rapitore si avvicinò a me, prendendomi con forza per un braccio in modo da farmelo stendere ed iniziò a colpirmi.
<<basta!>> gridai <<mi dispiace!>>
<<troppo tardi, ragazzina!>> sbraitò lui, dandomi altri colpi, questa volta sull'altro braccio.
le lacrime scendevano dal mio viso e non riuscivo a fermarle.
faceva male.
così male che ad un certo punto cominciai a non sentire più il dolore.
per abitudine, o forse perchè mi si era totalmente gelato il sangue.
una volta finito mi spinse ed io caddi a terra.
mi minacciò dicendomi che la prossima volta le botte sarebbero state sulla schiena.
tremavo.
ero arrabbiata, spaventata ed addolorata e queste sensazioni insieme mi facero venire ancora più voglia di scappare.
possibile che nessuno al difuori mi avesse sentiro gridare?

passarono circa un paio d'ore, era arrivata sera ed io notai una cosa: quel bastardo aveva lasciato la porta aperta.
feci per andare di sopra, ma qualcosa mi fermò.
e se fosse una trappola ideata da lui?
ma se non lo fosse stata?
mi feci coraggio e salì le scale, pensando se quella fosse stata la scelta giusta.
sarei potuta starmene nel seminterrato e aspettare che...arrivasse la mia ora, forse. ma la mia voglia di rivedere robin arellano era irrefrenabile.
volevo riabbracciare mio cugino, dirgli ancora "vaffanculo" per quando, al sabato, mi svegliava imprecando dopo aver perso alla PlayStation.
volevo rivedere gwen e raccontarle di quanto amassi il mio fidanzato e volevo rivedere finney per costringerlo a vedere dei film horror per fargli gelare il sangue.
e, soprattutto, volevo uscire di lì perchè non ero pronta a raggiungere i miei genitori ed ero sicura che mia madre non avrebbe voluto che la vedessi così presto.
non mi chiesi che cosa avrebbe fatto lei, a proposito, perchè sarebbe stato inutile. non avrei avuto risposta. lei non era stata rapita.
peccato, avevo fatto una scelta sbagliata.
<<hai fegato, vedo>> disse il rapitore con la sua cintura in mano, mentre si alzava da una sedia.
<<no, volevo solo un po' d'acqua. devi credermi>> dissi, tentando di non destare emozioni sospette per non fargli capire che stavo dicendo una balla <<non mi hai ancora dato niente. passa per il cibo, ma, davvero, ho bisogno di bere qualcosa>> continuai.
<<mi credi forse stupido?>> disse il rapitore, ormai davanti a me, alzando la cindia con la mano, per poi farla cadere sulla mia spalla.
<<certo che no!>> risposi io, con una lacrima che mi rigava il viso <<davvero, ho bisogno d'acqua>>
non mi credette.
mi diede una spinta, cominciando a colpirmi più volte la schiena.
il rumore della cinta sulla mia pelle mi faceva gelare il sangue, e il dolore che provocava era inapiegabile.
gridavo, lo pregavo si smettere, di lasciarmi andare, ma non lo fece.
alla fine, avevo contato i colpi: 18.
<<adesso torna giù>> ordinò una volta finito <<la prossima volta ti taglierò la gola>> mi minacciò.
tornai nel seminterrato, piangendo.
mi chiusi la porta alle spalle e mo sdraiai sul materasso.
<<dio, che cazzo devo fare?!>> gridai con tutto il fiato che mi restava in corpo e che mi rifiutavo di usare per versare altre lacrime <<porca puttana, che cazzo devo fare per uscire da qui?!>>.
tentavo di riprendere il controllo del mio respiro, ma quel respirare si alternava ad un fastidioso singhiozzare che mi impediva di calmarmi.
poi il telefono squillò.
<<no!>> gridai.
squillò ancora.
<<ho detto no!>>
squillò di nuovo.
<<cazzo!>>
andai a rispondere.
<<chi è?!>>
<<non piangere>> disse una voce che non riconobbi <<voglio aiutarti a scappare da qui>>
<<non posso scappare da qui>>
<<puoi. ti do una mano io>>
<<quello mi ammazza>>
<<domani>> cominciò lui <<devi farlo domani. non hai molto tempo ancora>>
sospirai.
<<davvero vuoi buttare la tua vita così? quello si è divertito con te. non ha colpito così forte e così a lungo noialtri come ha fatto con te>>
abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo subito.
<<parla>> dissi, con quel briciolo di convinzione che mi rimaneva.
<<domani se ne andrá al lavoro. tu devi scappare. c'è un lucchetto sulla porta di ingresso, lui ha la chiave, ma tu puoi indovinare la combinazione. era il codice del lucchetto della mia bici. due, tre, tre, uno, sette>>
annuì anche se lui non poteva vedermi.
oppure si, ma io non potevo vedere lui.
<<ma è ventitré, tre, diciassette o due, ventuno, sette...o...?>>
<<ventitré, tre, diciassette>>
<<e come faccio a sapere che è andato via?>>
<<appena senti il rumore di un motore che si accende, è lui. lo puoi sentire dalla finestra che hai spaccato. fidati di me, funzionerá>>
<<grazie del tuo aiuto, davvero>>
<<figurati. anche se non ci conosciamo, vivi anche per me>>
<<lo farò>> promisi.
riattaccai e tornai a sedere sul materasso aspettando di addormentarmi, ma era difficile.
le mie braccia erano piene di tagli, formatisi dopo gli innunerevoli colpi che il rapitore mi aveva dato, e la mia schiena...forse anche peggio.
arrivò l'alba ed io non avevo chiuso occhio, come gli altri giorni passati lì, del resto.
<<ventitrè, tre, diciassette>> ripetevo per non scordarmelo <<ventitrè, tre, diciassette>>.
pensai a robin.
gli ero mancata almeno un po'?
era preoccupato per me?
certo che lo era, non dovevo farmi queste paranoie.

sentì il motore di un auto e con la coda dell'occhio vidi un furgone nero, quello del rapitore, andare via.
era il momento di agire.

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