Se dovessi pensare a tutte le volte in cui sono quasi morto, non so quante immagini apparirebbero nella mia testa, probabilmente nessuna.
Quando vivi una vita tranquilla come la mia, il rischio è il pericolo di sicuro non sono all’ordine del giorno ed il fatto che tu riesca a vivere un’esistenza lunga, inizia a diventare una speranza sempre più fondata.
Eppure, arriva un momento in cui il destino ti mette davanti a degli scenari che non ti saresti mai aspettato di poter toccare con mano.
Uno di quelli di cui senti raccontare spesso, ma che, in fin dei conti, non pensi mai che potrebbe realmente accaderti e, a volte, ti dimentichi persino del fatto che questa situazione potrebbe realmente verificarsi.
Quando alcune immagini distorte iniziano a sfocarsi, senza scomparire totalmente dalla mia vista, il senso di tepore in cui mi sono trovato per tutto questo tempo, svanisce ed, improvvisamente, sento la testa farsi pesante ed un suono, simile ad un fischio, assordarmi.
Non mi sento pienamente cosciente della realtà che mi circonda e non riesco a distinguere per bene ciò che vedono i miei occhi da quello che percepisce la mia mente.
Eppure, qualcosa di concreto, riesco a vederlo.
Una figura si avvicina me con agitazione, per quanto mi risulti poco nitida, riesco a captarla.
Dopo pochi secondi, percepisco un lieve e flebile contatto contro la pelle della mia mano destra… o forse è la sinistra? Non riesco a capirlo.Vengo leggermente scosso, ma le mie orecchie sono ovattate e non mi sento nel pieno delle mie facoltà cognitive.
Eppure, questi occhi, riesco a percepirli perfettamente.
Grandi ed espressivi, scuri e pericolosi come il fondo dell’oceano atlantico.
Solo un attimo, li vedo solo per un attimo, senza riuscirne a decifrare neanche un’emozione.
«Jimin, resta sveglio, ora chiamo qualcuno!» Odo poco chiaramente questa frase, quasi come se la mia testa fosse sott’acqua e tutto il resto del mondo si trovasse in superficie, vivendo una vita che ho quasi perso.
Non riesco a tenere gli occhi aperti e, quando vengo investito da un’ulteriore fitta alla testa, crollo totalmente, lasciando che la realtà torni a distotcersi.
Passano delle ore o forse dei minuti, quando di nuovo la sensazione di star tornando alla realtà, mi strattona, fino quasi a spingermi ed è proprio grazie a questa spinta che, di nuovo, riapro gli occhi, con una lentezza quasi disumana e percependo il fastidio della luce solare, probabilmente da troppo tempo nascosta alle mie iridi, farmi stringere le palpebre.
Quando realizzo di essere finalmente cosciente, per quanto mi sia concesso, inizio a guardarmi intorno, cercando di concretizzare o riconoscere più elementi possibili.
Mi trovo in una camera mai vista prima, dalle pareti bianche ed il pavimento a mattonelle lucide.
L’arredamento è molto essenziale, qualche sedia sparsa qui è là ed una grande finestra, situata proprio accanto a me, da cui mi è possibile avere un’ottima vista sull’esterno che, in questo momento, sceglie di ritrami un parcheggio, con molte auto sostate.
Sono sdraiato in un letto fin troppo comodo, con delle lenzuola sottili e chiare, cerco di riattivare la mia visione periferica, ma lo sforzo mi risulta non indifferente, così decido di spostare il capo verso destra, per poter notare alcuni grandi macchinari in funzione, mentre un dolce e, a tratti rilassante, suono mi regala l’ultimo elemento per poter ricostruire lo scenario, di per sé già abbastanza ovvio.
Questo è un ECG che sembra stia monitorando il mio battito cardiaco.
Abbasso lo sguardo sul mio braccio destro su cui vedo delle pesanti escoriazioni che hanno già iniziato a cicatrizzare, provo ad abbassare il capo, ma la presenza di qualcosa mi ostruisce il movimento, porto una mano a toccare un punto del collo e percepisco qualcosa premere all’interno, in direzione della giugulare, sembra una sorta di cerotto di plastica a cui è attaccato un piccolo tubicino che sale fino all’alto, collegato ad una bustina appesa, con del liquido incolore al proprio interno.
Emetto un pesante sospiro che quasi fatica ad uscire, a causa dell’ennesimo tubo, che sento muoversi nel mio naso.
Guardo poco distante da me e per poco non sorrido, quando vedo una figura, fin troppo conosciuta, rannicchiata su stessa, mentre dorme, cercando di trasformare quella sedia in una specie di letto a due piazze.
Quei capelli bruni e ricci, accompagnati dalla solita espressione vispa che non perde mai, neanche quando riposa beato tra le braccia di Morfeo.
Sogghigno e, sentendo improvvisamente un fastidio alla schiena, probabilmente a causa del tempo che ho trascorso in questa posizione, cerco di tirarmi su, aggrappandomi al piccolo comodino accanto al mio letto.
Le forze, purtroppo, sembrano mancarmi del tutto e, quando cerco di compiere questo semplice movimento, con distrazione, faccio cadere uno scatolo per terra, forse contiene dei biscotti, da quanto riesco a vedere.
Il rumore non è troppo forte, ma abbastanza da far sobbalzare il ragazzo addormentato che, appena si rende conto della mia riacquistata coscienza, si alza immediatamente, fino ad avvicinarsi completamente a me, poggiandosi a sedere su un’altra sedia, stavolta più vicina al mio letto.
«Oh mio dio, Jimin!» Le parole di Kim Taehyung sono quasi affannate ed il tono di voce, fin troppo alto, mi fa rendere conto tutto d’un tratto, del pesante dolore che ha preso il sopravvento della mia intera testa.
Mi porto una mano alla tempie, in reazione ed il bruno stringe le dita attorno alla mia gamba, continuando a guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite e deturpati da un velo di preoccupazione.
«Tae». Sussurro, più come un richiamo. La voce mi esce completamente graffiata e roca, portandomi a tossire per schiarirla, subito dopo.
«Mi hai fatto spaventare così tanto, idiota!» Afferma nuovamente Taehyung, stavolta con sollievo, mentre poggia la testa contro il materasso su cui sono sdraiato e socchiude gli occhi che, per poco, diventano lucidi.
«Dove sono?» Chiedo in primo luogo, anche se credo di aver capito ormai in che posto dovrei trovarmi.
«Sei in ospedale». Replica il bruno e, quando questa frase mi viene comunicata, cerco di tornare in dietro nel tempo, provando a dare una spiegazione alla mia presenza qui. Eppure, ho la testa fin troppo pesante ed un pungente dolore al costato, ogni volta che provo a muovere un solo muscolo, non riesco a pensare.
A quanto pare, il mio migliore amico coglie la mia situazione è, senza che glielo chieda, parla di nuovo. «Non ti ricordi nulla?» Chiede, aggrottando di poco le sopracciglia, disegnando sul proprio volto un’espressione rammaricata.
«Ricordo di essere uscito di casa…» Cerco di rispondergli, ma tutte le informazioni che ho, finiscono qui.
«Sei uscito di casa ubriaco ed in preda ad una crisi. Un’auto ti ha investito, dato che a quanto pare sei passato con il verde ed una ragazza ha perso il controllo dell’auto. È stata lei a chiamare l’ambulanza». Mi spiega, non nascondendo il suo sgomento, in ogni frase che pronuncia.
Io, all’improvviso, ricordo.
Le frasi che blateravo, la mente alleggerita e tutto quell’odio che avevo in corpo, odio indirizzato ad una sola persona.
Stavo andando da lui.
Me lo ricordo perfettamente.
Sguainavo ai quattro venti il fatto di dovergli urlare contro le peggio cose, per avermi abbandonato.
Poi, improvvisamente il suono del clacson e l’impatto con il terreno.
La maggior parte della gente, dice che quando si sta per morire, la tua vita ti passi davanti agli occhi in sette secondi.
Il tempo sembra fermarsi e tu diventi spettatore di tutto quello che è successo durante la tua esistenza.
I sette secondi li ho percepiti, ma il mio cervello ha preferito dedicarli tutti ad una sola persona.
Ricordo ancora l’immagine che mi si è palesata davanti, appena il veicolo si è schiantato contro di me.
Eravamo noi due, quel giorno sulla spiaggia a Busan, aggrovigliati nei nostri stessi vestiti.
Il giorno in cui i sentimenti hanno iniziato a bussare alla mia porta.
Il giorno in cui ho capito che non avrei più potuto farne a meno.
Una lacrima cade lungo la mia guancia.
«Cosa mi è successo?» Chiedo di nuovo, quando una fitta al fianco mi fa quasi vedere le stelle.
«Sei vivo per miracolo!» Afferma, in un primo istante. «I medici hanno detto che sei stato fortunato, te la sei cavata con un trauma cranico e qualche costola rotta, ma niente di troppo grave». Taehyung muove la mano sulla mia gamba, accarezzandomi, mentre io sento il fastidio alla testa continuare a tormentarmi, confermando le parole del mio amico. «Hai dormito per tre giorni».
All’ultima frase, sbarro gli occhi.
Per tre giorni?
Sono in questo letto da tutto questo tempo?
Improvvisamente, un moto di preoccupazione verso Taehyung mi assale, sentendomi fortemente in colpa per avergli fatto passare chissà quale inferno, in questi giorni.
«Mi dispiace, Tae… non dirmi che hai dormito tutto il tempo su quella sedia!» Gli dico, indicando con un cenno del capo, il punto su cui prima il bruno era seduto.
Lui emette un sorrisino malinconico, prima di riprendere a parlare.
«In realtà, io sono stato qui solo la prima notte». Inizia a parlare, evitando di tanto in tanto il mio sguardo, mentre spiega i fatti. «Successivamente, Jungkook ha insistito per rimanere lui qui, dopo la partenza di Lisa…» Quando sento quel nome, il mio cuore sobbalza, mentre distrattamente, stringo un lembo del lenzuolo sotto di me. «È rimasto qui per due giorni, non si è mosso da questa stanza neanche per mangiare. Gli ho dovuto portare io qualcosa, ogni tanto».
Sento il respiro quasi mancarmi, forse anche per lo stato debole in cui verso.
Jungkook è stato qui per due giorni?
D’un tratto, il primo ricordo che mi salta alla mente, la prima volta che i miei occhi si sono aperti, in quest’ospedale, incontrando i suoi.
Non era una proiezione.
Non l’avevo immaginato.
Era reale.
«Ah, si?» Chiedo, più per l’incapacità di poter dire altro che per risultare acido.
«Già, lui era qui quando ti sei svegliato, ha avvertito gli infermieri». Taehyung annuisce, continuando ad espormi i fatti ed io sento una morsa allo stomaco, la stessa che ormai mi accompagna da settimane.
«Dov’è adesso?» Non posso fare a meno di porre questa domanda, nonostante io abbia avuto una piccola lite interna, pur di non pronunciare queste parole.
«È uscito qualche ora fa, mi ha detto di dover andare a prendere qualcuno» Mi risponde il moro e, per un attimo, mi sento più leggero.
Mi lascio cadere sul materasso, con tutto il mio peso, posizionando una mano sui miei occhi, per poterli chiudere meglio.
«Spero non torni». Sussurro, mentendo spudoratamente.
Vorrei vederlo, anche solo da lontano.
Senza proferire alcuna parola.
Semplicemente, contando ogni suo lineamento, come fossero stelle.
Eppure, ogni volta che il suo ricordo fa capolino, io tento di scacciarlo via, per non ricordare di averlo perso, di non poterlo avere.
Perché no, Jeon Jungkook non può e non potrà mai essere mio.
Non dopo le sue parole, non dopo quello che mi è successo, non dopo tutti i nostri sbagli.
«Namjoon e Jin hyung sono passati ieri, ma non eri ancora cosciente, hanno portato dei fiori e dei cioccolatini». M’informa Taehyung, indicando un punto alla mia sinistra, facendomi notare due piccole composizioni floreali, messe in un vaso, assieme ad uno scatolo giallo, contenente delle pepite di cioccolato.
Sorrido amareggiato, pensando a quanto io abbia fatto preoccupare i miei amici, a causa di questo scatto d’incoscienza.
Mi mordo il labbro inferiore, strappando ogni pellicina, mentre Taehyung continua a raccontarmi cose che non riesco ad ascoltare.
«Avanti». Sento dire ad alta voce dal bruno e, inizialmente non riesco a capire, finchè non vedo la porta spalancarsi completamente.
Hanno bussato ed io non me ne sono neanche accorto.
Appena rimetto piede sul pianeta Terra, una folta e perfettamente acconciata chioma rossa, si prende l’intera scena, facendomi rivedere il volto sempre allegro e genuino di Jung Hoseok.
Immediatamente, sorrido.
«Ya, Jimin-ah, ma ti sembra questo il modo d’invitarmi a Seoul? Certo che se ti andava di rivedermi, potevi inventarti qualcosa di meno estremo!» Asserisce il rosso, provocando una mia risata, facendomi quasi dolere il costato.
«Hai ragione, hyung… avrei potuto evitarlo!» Gli rispondo, non riuscendo a non venir contagiato dal suo largo sorriso.
Eppure, quando gli occhi di quest’ultimo si posano poco più a destra della mia figura, qualcosa sembra scalfirli, per quanto impercettibile possa essere.
Resta fermo per qualche secondo, per poi mettere su un’espressione di poco più seria.
«Come va, Taehyung?» Chiede il ragazzo ed io mi volto di scatto verso il mio amico che, nel frattempo, ha messo su la sua solita espressione strafottente, forzando un leggero sorriso di circostanza.
«Tiro avanti». Gli risponde il bruno, mentre la stretta sulla mia gamba si fa più ferrea ed io capisco quanto abbia bisogno di un sostegno, per poter mantenere la sua maschera, adesso.
Hoseok annuisce distrattamente, per poi entrare completamente in camera e, quando questo avviene, mi rendo conto di un’altra figura alle sue spalle ed il mio cuore si ferma.
Che ci fa già qui?
Quando è tornato?
Il mio cuore inizia a battere con più insistenza e, se tutti dessero uno sguardo all’elettrocardiogramma, probabilmente se ne accorgerebbero, visto che segna centoventicinque pulsazioni al minuto.
Cerco con tutto me stesso di darmi una calmata, mentre il viso di Jungkook si posa su qualsiasi altro punto, tranne che su di me.
Una sensazione di fastidio s’impadronisce del mio petto, non totalmente spiegata.
«Jungkookie mi ha detto che sono già tre giorni che sei in questo stato!» Afferma il ragazzo da poco entrato in stanza, incrociando le braccia al petto.
A sentire ancora una volta il suo nome, non posso fare a meno di lanciargli un fugace sguardo, che però il ragazzo sembra non intenzionato a ricambiare, anzi.
Jungkook si limita ad osservare un punto indefinito sul lenzuolo bianco che ricopre il mio corpo, sembra alquanto pensieroso, seppur il suo viso non mi si presenti del tutto.
«A quanto pare, penso di essermi svegliato durante la notte…» Gli rispondo, cercando di fornirgli le informazioni che ricordo.
Alle mie parole, Hoseok annuisce ripetutamente, segnalando di star seguendo le mie parole.
«E hai premuto il pulsante per chiamare i medici, come nei film?» Chiede nuovamente il ragazzo, stavolta con un leggero sorriso divertito ad impreziosirgli il volto.
Sto per replicare, quando una voce… una voce che non sentivo da tanto, troppo tempo, risuona, seppur flebile ed accennata, nelle mie orecchie.
«Li ho chiamati io, c’ero io con lui, stanotte».

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𝐍𝐚𝐤𝐞𝐝 𝐍𝐨𝐢𝐬𝐞 "소음" 𝘑𝘪𝘬𝘰𝘰𝘬
FanficCOMPLETA "소음" «Non dovresti tornare ad evitarmi? » «Mi è molto difficile evitarti, hyung... » Sto bene ed è tutto perfetto! Per quale motivo stai cercando di rovinare la piacevole monotonia della mia vita? Ti prego, non guardarmi! Fissati su altro...