Nascondi le cose lontane...

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"Volete che ve la racconti di nuovo?"

Il portico di legno scuro scricchiolò sotto il loro peso.

La calda estate era infine giunta, portando con sé afa, umidità e quel fastidioso appiccicume con il quale convivevi da quando sorgeva il sole, fin dopo che da ore si era accomiatato all'orizzonte.

Era pur vero che impegnate com'erano a vivere gli anni della loro adolescenza non parevano farci granché caso.

Erano in quell'età nella quale i problemi del mondo si riducevano a minuscoli batuffoli di polvere sul pavimento in soggiorno; una ventata fresca ed energica e tutto svaniva, anche se solo ai loro occhi e solo momentaneamente. L'aria non aveva il potere di cancellare nulla, poteva solo celare brutture e difficoltà, i batuffoli di polvere della vita, negli angoli più nascosti e, in questo caso, l'una era l'aria per l'altra.

Entrambe avevano lunghi capelli biondi, gialle cascate di spighe mature, graziate da qualsivoglia ombra che ne intaccasse la lucentezza e la medesima corporatura. Gli stipiti delle porte delle loro case, segnati ciascuno da sedici tacche, una per ogni anno di età, raccontavano la stessa identica storia di crescita.

Prese di spalle perfino le loro mamme si confondevano quando le chiamavano, specie quando, per scherzare, si vestivano uguali.

Se non fosse stato per i diversi lineamenti del viso sarebbero potute anche passare per gemelle, invece erano solo grandi amiche, nate a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, da due famiglie che si conoscevano da anni ed erano vicine di casa.

La grande fattoria dei Bernardi, composta da centinaia di piccoli campi, per la maggior parte coltivati, confinava con la tenuta, più modesta, dei Paiani.

Erano sempre stati tutti in buoni rapporti; la vita di campagna univa spesso le persone, tra le gioie e le difficoltà. Le fatiche erano tante, spesso per pochi spiccioli, ma poter condividere il tutto con la propria famiglia e i propri cari era motivo di grande orgoglio. Non si mancava mai di darsi man forte in maniera reciproca.

I figli, quelli rimasti, poiché le avversità non guardano in faccia nessuno e non hanno preferenze, diventavano grandi amici e così era stato per le due ultime arrivate. Erano entrambe nate in un momento sereno solo all'apparenza e fortunatamente avevano superato indenni una fase di transizione che, forse in virtù della loro giovane età, non avevano colto o afferrato pienamente. Persino ora, giacché non erano trascorsi troppi anni da quei tragici avvenimenti, non ne serbavano quasi il minimo ricordo; si accorgevano però che qualcosa si era rotto nelle persone a loro vicine.

Nonostante questo entrambe le famiglie le avevano cresciute cercando di non scaricare mai su di loro i propri pesanti fardelli che, come un'enorme fascina di legna, invisibile, parevano portare sempre sulle spalle.

"Al surèli" erano chiamate in dialetto dagli abitanti della borgata, tanto erano simili e legate fin da piccole.

Venivano spesso rimproverate, ma mai per cose gravi e mai per davvero; forse gli adulti ne invidiavano solo la spensieratezza giovanile, cosa che loro non avevano mai realmente avuto.

Tra loro non si consideravano nemmeno amiche; essere cresciute insieme in quel modo le aveva rese davvero come sorelle e il rapporto era ormai quello, solido e indistruttibile.

I cigolii della vecchia sedia a dondolo si spandevano nell'aia notturna, l'eco di un fischio perso nel buio. In lontananza si udivano le oche starnazzare nella pozza di acqua bassa e fangosa, resa putrida dagli escrementi e dagli avanzi di cibo, scavata dal padre di Mery per donare refrigerio agli animali, specialmente in sere come quella, dove l'asticella del termometro, come un impavido alpinista, non voleva arrestare la sua scalata alla vetta.

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