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Carlo rimase ad osservare attonito, pietrificato; la sua mente totalmente incapace di dare un senso alle immagini registrate dai suoi occhi. La trama della realtà si era fatta labile, sottilissimo il confine con l'incubo, perché certe cose possono accedere solo lì, negli incubi. O al massimo nei film. 

La sua testa si rifiutava di accettare l'assurda, impossibile realtà dei fatti, ma l'evidenza era lì, di fronte a lui.

Davanti a lui c'era la sua ragazza, strattonata e sbattuta al suolo da...che cosa cazzo era quella cosa? 

Lo sguardo corse alle mani, quelle mani cadaveriche, rinsecchite come rami secchi in inverno. Una stringeva ancora Adriana in una morsa ferrea, l'altra, che faceva capolino dalle tenebre, orribile, bianca e così chiaramente, inconfutabilmente morta nell'aspetto, stringeva un...cappio?

Sì, non si sbagliava. La corda, vecchia, consunta, marcescente e incrostata di muffa oscillava nell'aria della notte, leggera, quasi ipnotica nel suo dondolio, sussurrando all'oscurità la propria promessa di morte. E in fondo, pronto a serrarsi e a rubare il respiro, quel cappio. 

Le intenzioni di quella...quella...quella cosa, non lasciavano molti dubbi su dove il capestro avrebbe serrato il proprio abbraccio mortale, eppure per alcuni istanti infiniti Carlo continuò a rimanere fermo sul posto, agghiacciato e atterrito

I muscoli sotto la pelle parvero farsi all'improvviso di gelatina. Un braccio tremante perse forza e cedette sotto di lui. Cadde con una spalla al suolo, infradiciandosi parte del pigiama.

Si rialzò appena in tempo per vedere il braccio di quella creatura protendersi verso la sua amata, avvicinandosi inesorabilmente alla sua gola.

Di colpo il torpore che si era impadronito di lui evaporò dalle sue membra, sparito come un sospiro nel vento, sostituito da un'ira così fulgida e totalizzante come mai ne aveva provate prima di allora. La furia inondò di fuoco liquido il suo corpo, un incendio che divampando sfolgorante scacciò via ogni residuo di paura. In modo quasi indipendente dalla sua volontà una mano scattò nella tenda, serrandosi sul primo oggetto disponibile, una bacchetta da trekking ancora chiusa. Un inarticolato ruggito di collera gli fuoriuscì dalle labbra. L'altra mano spinse il suolo con potenza, e grazie allo sforzo subitaneo delle gambe si ritrovò in piedi di scatto. La mano con cui si era issato aveva raccolto da terra, con la rapidità possibile solo alle azioni compiute per puro istinto, un pezzo di legno, e Carlo senza pensare lo scagliò contro la creatura che aveva osato minacciare la ragazza che amava.

Il legno riuscì a colpire solo di striscio la mano che reggeva la corda, poi si infranse sul viso di Adriana, lasciandole un bozzo rosso sulla guancia, subito sotto all'occhio. Carlo non ebbe tempo per dispiacersene. Le avrebbe chiesto scusa dopo, quando entrambi fossero stati al sicuro. 

La mira non era stata affatto perfetta, ma era bastata a farle ritrarre la mano e a far tornare cosciente la giovane. Animato dalla forza dirompente della propria ira, scattò verso le due figure, incurante di tutto, dei calzini che si stavano inzuppando d'acqua nello spugnoso sottobosco e dei sassi, o pigne che fossero, che gli si stavano conficcandosi nei piedi. Vorticando in aria la bacchetta, la infranse con tutta la proprio forza addosso al bianco braccio che faceva penzolare la fune. 

Accadde tutto in una frazione di secondo. Un rumore secco accompagnò la bastonata, la presa sui capelli di Adriana venne meno e la mano scheletrica, che la stava stringendo fino a poco prima, venne portata sull'avambraccio dolorante, colpito dalla bacchetta.

Un urlo raccapricciante esplose.

"AAAHHH...Ninàn, ninàn..."

Adriana si accasciò stremata e tremante al suolo, di nuovo in sé. Mentre le lacrime facevano ancora una volta capolino dai suoi occhi, pronte a imperlarle il viso, ebbe un subitaneo barlume di lucidità.

Proprio come era accaduto al suo ragazzo, prima che il cieco terrore avesse il tempo di tornare a reclamarla per stringerla tra le proprie infide grinfie, si sentì invadere da una rabbia talmente furente da rasentare la furia omicida.

Da stesa a terra in mezzo al fango com'era, fece partire la gamba con lo scarpone più forte che poté. Il duro colpo frantumò qualcosa, che sentì distintamente spaccarsi sotto la potenza di quella suola rinforzata. 

La creatura sussultò nuovamente di dolore e si fece finalmente indietro.

Carlo le si parò davanti, intenzionato a fracassarla a suon di bastonate, colmo d'odio come non mai, ma fu in quel momento che la vide interamente per la prima volta e davanti allo spettacolo che gli si parò innanzi, un conato lo costrinse a fermarsi. 

La figura, avvolta nella nebbia, era rischiarata dalla luce della torcia, ma la prima cosa che lo colpì, prima dell'agghiacciante immagine che gli si impresse nelle retine, fu il fetore che emanava. Era un lezzo dolciastro e stantio, un odore che parlava di foglie, rami, terra e materia organica in decomposizione. Gli bruciò il naso con la propria intensità, ma appena la mente riuscì a elaborare le immagini che gli occhi le inviavano, quasi smise di sentirlo.

Si trovava al cospetto di una vecchia, una vecchia come mai ne aveva viste. Il corpo non era solo esile, era macilento. Le braccia biancastre si protendevano verso l'esterno, secche e scheletriche, da un abito nero che era ridotto a poco più di uno straccio, strappato e consumato com'era. Le gambe, scoperte dalle ossute ginocchia in giù, erano fragili e slavate, rese ancora più orrende dall'intricata ragnatela di sottili vene, scure come il cencio che indossava. 

All'altezza dello stinco, nel punto colpito con lo scarpone, si apriva una ferita che rigettava, invece del sangue, un denso liquido simile a pus. Carlo sperò, pregò che si trattasse di una qualche strana illusione ottica dovuta al buio, alla nebbia, ai violenti sentimenti che lo avevano scosso e animato da quando quell'incubo a occhi aperti aveva avuto inizio ma, per tutti i diavoli, sembrava proprio che quel liquido fosse verde, il verde scuro delle alghe morte e liquefatte.

Ciò che più lo colpì comunque, più del corpo macilento, della ferita che spurgava una sostanza impossibile, fu il suo viso. 

I capelli spuntavano in rade, sparute ciocche, a rivelare in parte un cranio dalla pelle tesa e sottile, e scendevano fin sotto al collo scarno. Il naso sporgeva adunco, una smorfia tendeva le labbra sottili, aprendo solchi profondi nelle guance disseminate di piaghe. Una cosa però risaltava, in mezzo a quello spettacolo agghiacciante: una benda di pelle, nera e logora come il vestito, che le cingeva il capo, nascondendole gli occhi. 

"Bendata, è bendata. Non ci vede. Non può vedere. È bendata!" pensò confusamente.

Erano trascorsi pochi attimi eterni dal momento in cui i giovani, da vittime passive quali erano, si erano riscossi dal torpore ed erano passati al contrattacco, attimi di stasi, rotti bruscamente da un suono acuto e lacerante. Carlo impiegò qualche istante a rendersi conto che il suono veniva da lei, da quella creatura impossibile davanti a lui. La vecchia aveva dischiuso le labbra sottile e violacee, lanciando nella sua direzione un urlo carico di rabbia e odio. Indietreggiò, trascinandosi pateticamente dietro la gamba offesa poi, d'un tratto, si gettò al suolo, rotolando giù per il rivale alle sue spalle e sparendo tra le ombre degli alberi improvvisamente com'era comparsa. 

Ancora una volta guidato dal mero istinto, quell'istinto che nelle situazioni di pericolo lo portava a combattere piuttosto che a fuggire, Carlo si lanciò all'inseguimento. 

Prima di ritrovarsi completamente avviluppato dalla nebbia, in balia della notte brumosa e dei suoi misteri, si ricordò della cosa più importante, la sola che davvero avesse importanza. Adriana. Si girò e, quando la vide stesa immobile a terra, il fiato gli si mozzò in gola come se quella vecchia terribile fosse tornata e avesse stretto il cappio attorno al suo collo. 



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